CronologiaMillenovecento

Correva l’anno 1931

Gli abitanti di Bonifacio sono 3331. L’illuminazione elettrica arriva nella città.

Gli abitanti di Palau sono 1332. Viene terminata la ferrovia Palau-Tempio-Sassari: la prima corsa sarà effettuata nel gennaio 1932.

9 febbraio

Il progetto per la realizzazione del nuovo acquedotto, è già allestito ed in linea di massima è stato approvato dal Comitato presso il Provveditorato per le opere pubbliche di Cagliari. La superficie del bacino di raccolta è di 9,92 ettari; lo sbarramento, lungo circa 340 metri avrà un’altezza utile di circa 15 metri. La capacità di questo bacino sarà di metri cubi 580.000 da cui detraendo metri cubi 69.900 che è l’acqua sotto la quota 5, si ha una quantità utile di metri cubi 510.100 con la quale si conta di fornire in media litri 80 al giorno e per abitante. Si stipula, il 9 febbraio, una convenzione umiliante per la popolazione isolana, tra il Ministero dei Lavori Pubblici, il Ministero della Marina e il Comune per la “costruzione dell’acquedotto promiscuo a servizio della Regia Marina e del Comune predetto”. Dunque gli undicimila abitanti dell’isola contano per il Governo, soltanto in quanto aggregati alle sorti della Regia Marina. Tale concetto viene meglio espresso, nei dettagli, nel corpo della convenzione stessa. Il 10 ottobre 1931 rappresenta una data veramente memorabile per la cittadinanza maddalenina: vengono affidati, finalmente, i lavori all’impresa costruttrice e viene dato in forma ufficiale il primo colpo di piccone per la costruzione dell’acquedotto in località Punti Rossi.

3 marzo

San José – Lettera della Legazione d’Italia (firmata dal cancelliere Antonio Bertolone) al Secretario de Relaciones Exteriores del Costa Rica Octavio Beeche. “L’Associazione Mutilati e Invalidi di Guerra con sede a Ravenna ha sollecitato dati circa il Maggiore Leggero Culiolo Giovanni, figlio di Silvestro e di Rosa che prestò servizio militare con il grado di Maggiore dal 1855 al 1859 alle dipendenze dello Stato di Costa Rica partecipando a numerose guerre e riportando varie ferite nonché la perdita di un braccio in azioni contro i filibustieri. Pensano pubblicare una sua biografia, combatté e fu amico di Garibaldi, chiedono indagini per ricostruire le sue gesta durante la sua permanenza in Costa Rica.”

21 aprile

Il censimento registra in Sardegna 984.000 abitanti. La Maddalena conta 12.330 abitanti. Per la prima volta i dati raccolti vengono elaborati con macchine perforatrici utilizzando due tabulatori Hollerith a schede.

2 giugno

Ezio Garibaldi, figlio di Ricciotti, che occupa nel Regime fascista una posizione importante, ripristina i “pellegrinaggi” e compie una vasta operazione d’immagine sul nome di Garibaldi. Clelia però si oppone quando Ezio progetta di portare la salma di Anita a Caprera, nel 1931. Vince la sua causa. Si pensa allora a seppellire Anita nella tomba offerta dal Governatorato di Roma alla famiglia di Ricciotti, al Verano, ma la famiglia di Menotti giustamente insorge. Cosi’ Anita ottiene finalmente il più bel riposo, sul terreno dove ha combattuto a fianco del suo Generale, nel suo stesso monumento al Gianicolo.

22 giugno

Muore alla Maddalena, il garibaldino Giovanni Del Bianco, anche per lui il certificato di morte dell’anagrafe di La Maddalena riporta la dicitura “pensionato garibaldino”, ad attestare come sopra detto la sua condizione di reduce garibaldino, non abbiamo per lui attestazioni specifiche se non la considerazione che la sua presenza all’isola confermerebbe l’esistenza nel tempo di un certa realtà di reduci garibaldini che in vario modo vollero dimostrare con la loro permanenza vicino al Generale l’attaccamento, la stima e l’affetto che nutrivano nei suoi confronti. (Archivio Anagrafe Comune di La Maddalena. I dati riportati lo certificano nato in Volterra, il padre Ottaviano era negoziante e la madre Maddalena Elmi casalinga, vedovo di Assunta Ragozzi, risedette a La Maddalena in Via Menotti Garibaldi al n. 14, nella quale abitazione morì il 22 marzo 1939 alla veneranda età di 93 anni e 9 mesi. Anche per lui viene attestata la professione di Pensionato ed il richiamo all’appartenenza garibaldina. Registro dei Morti, anno 1939, Parte I, n. 22 ed inoltre Archivio Parrocchia Santa Maria Maddalena di La Maddalena. Libro dei morti, anno 1939 pag. 26 n. 50.)

luglio

L’immigrazione clandestina registra in quest’anno una impennata. Nel mese di giugno arrivano a Bonifacio 15 sardi in 20 giorni, alcuni dei quali sono maddalenini. Nel mese di luglio ne arrivano cinque, partiti da Cala Francese con una barchetta rubata a Felicino Chinelli. Poiché nella regione di Bonifacio stanno per partire importanti lavori di difesa, il commissario di polizia della città sospetta la presenza di spie e chiede misure speciali contro gli immigrati.

3 luglio

Ultimata la linea ferroviaria Sassari-Palau.

20 settembre

In pieno stile Mussoliniano, il Duce fece in modo di far organizzare alla Lega due partite Ilva-Bonifacio, per mostrare i muscoli sportivi alla Corsica ritenuta imbelle e abbandonata, perché scelse l’Ilva? Perché rispondeva in pieno ai gerarchi fascisti. Le si cambiò il nome (Opera Nazionale Balilla di La Maddalena), per tenerla psicologicamente più vincolata ai valori fascisti. Tuttavia la rinforzarono di nascosto con giocatori del Cagliari, della Torres e di altri club del Continente. Al campo Faravelli, alle ore 15,30, venne disputata la prima partita tra l’Ilva e il Bonifacio. Vinse l’Ilva e che aveva assunto il nome di Avanguardisti di La Maddalena, per motivi evidentemente politici. La partita ebbe uno strascico pesante a livello politico-diplomatico: le due compagini, tra il primo e il secondo tempo, negli spogliatoi, si accordarono per “perdere” il traghetto per Bonifacio, facendo impazzire i sistemi di sicurezza del Fascio, che persero immediatamente di vista le 70 persone arrivate dalla Corsica, ospiti in tutte le case dell’Isola, dopo festeggiamenti fraterni e abbondanti libagioni dovunque.

Lunedì, 14 settembre 1931, il Regio Console di Corsica Gerolamo Piromalli, stimolato non si sa da chi, con nota n. 543, scrisse al Prefetto di Sassari dott. Giuseppe Caratti, una nota personale riservata per comunicargli quanto segue: “In occasione della venuta in La Maddalena della squadra calcistica locale, onde evitare malintesi e difficoltà prego la S.V. voler impartire e prendere quelle misure necessarie per lo sbarco dei calciatori e accompagnatori i quali, in numero di circa settanta, sbarcherebbero il giorno 19 in La Maddalena, mediante elenco nominativo collettivo”. Di quale partita si trattava? Chi l’aveva organizzata? Soprattutto dal punto di vista calcistico che senso aveva far incontrare l’Ilva, squadra che si era già misurata con successo da anni contro squadre nazionali come l’Ambrosiana, il Torino, la Roma, con un inesistente Bonifacio? E ancora, da quando in qua per una semplice partita di pallone si scomodava un Regio Console (Gerolamo Piromalli), un Prefetto (Giuseppe Caratti), un Ammiraglio (Vincenzo De Feo), un Commissario Prefettizio (Onorio Agnesa), un Commissariato di PS (quello di Santa Teresa). Siamo in pieno fascismo e sembra giusto e opportuno porsele certe domande. Vi dico subito che la documentazione di cui dispongo in copia parla di un evento ormai in corso di definizione. Viene quindi da pensare che l’idea di questa partita di pallone non possa essere per nulla improvvisata e tanto meno casuale: qualcosa stava fermentando da tempo dietro la pur bizzarra facciata sportiva. Mussolini, in quegli anni, si era dimostrato molto sensibile alla ventata di irredentismo che avrebbe voluto allargare i confini dell’Italia, inglobando la Corsica. Un certo Marco Angeli, nativo di Sartene da famiglia nobile di origini genovesi mentre studiava in Italia e pubblicava un paio di libri, aveva progettato di fondare i primi “gruppi di azione corsa” che, stando ai dati del periodo, potevano contare già dopo soli pochi mesi su un migliaio di aderenti: attivisti pronti a sensibilizzare in vari modi l’opinione pubblica per rendere credibile e utile in tutta Italia l’annessione della Corsica. Fin da subito aveva fatto da pendant ad Angeli il dott. Petru Giovacchini, anche lui di una famiglia dalle nobili origini italiane, che laureatosi in medicina a Pisa, aveva fatto sodalizio con Bertino Poli, pure corso, in procinto di laurearsi in lettere. I tre, Angeli, Giovacchini e Poli credevano davvero di poter attuare il loro sogno di diventare italiani, indipendentemente dalle implicazioni internazionali. Nel 1931 avevano iniziato così ad aprire sedi in varie città italiane, ricevendo sovvenzioni direttamente dallo stesso Mussolini. Il progetto, per quanto frutto di esaltazione, veniva venduto al popolo come credibile, se non addirittura imminente. In questo clima era stata valutata l’opportunità di un incontro di calcio tra l’Ilva e il Bonifacio, squadre appartenenti a terre che in qualche modo avevano subito l’inclemenza della storia, che le aveva separate e “allontanate”. Il Comando Militare dell’Isola, messo al corrente per tempo del ventilato match calcistico, aveva preso le proprie misure per evitare che tra i visitatori corsi al seguito della squadra si potesse nascondere qualche spia o qualche idiota che volesse rendersi utile alla causa francese, fotografando o facendo rilievi, sia pure sommari, di bersagli sensibili del sistema difensivo isolano. Per l’occasione l’ufficio di propaganda del Regime aveva provveduto a cambiare il nome dell’Ilva, affinché la già nota squadra isolana risultasse testimonial ufficiale della gagliarda gioventù fascista. Era stata ribattezzata infatti “Avanguardia Giovanile Fascista”. La squadra di Bonifacio, invece, si sarebbe chiamata “Giovinezza Sportiva Bonifacina”, quasi a confermare che non si dovessero confrontare sul terreno di gioco due realtà calcistiche, bensì movimenti spontanei giovanili (di cui uno orgogliosamente fascista) che si tendevano la mano sullo Stretto di Bonifacio. Due comunità separate da accadimenti storici non voluti, che grazie al gioco del calcio si potevano finalmente riabbracciare. L’incontro “internazionale”, si fa per dire, era stato comunque riconosciuto dal Comitato Regionale del Gioco del Calcio e dalla Division d’Honneur della Lega francese, avendo il sapore di una partita di pallone ufficiale fra due squadre di dilettanti ma con un certo profilo. Sotto banco, poi, chi operava a nome e per conto dell’Ilva, aveva sondato in maniera pressante diversi club regionali e nazionali per ottenere, mediante interposti sodalizi sportivi, qualificati rinforzi per l’Avanguardia, avendo saputo da confidenze raccolte dal Regio Console Piromalli che pure la Francia aveva cercato di rinforzare la squadra corsa, chiedendo innesti al Bastia e per suo tramite, all’Olympique Gymnaste Club de Nice Côte d’Azur e dell’Olympique de Marseille. Come siano andati a finire questi tentativi di barare sottobanco, mostrando cartellini e generalità ad un arbitro italiano che non poteva certo conoscere i giocatori, non lo sappiamo. Ma non vi è dubbio che il Governo Francese, non avendo alcuna intenzione di sottomettersi alla strategia irredentista, aveva cercato a sua volta di correre in qualche modo ai ripari per dimostrare che la sua gioventù non era seconda a quella del Fascio. Sappiamo per certo che oltre alla rosa dei giocatori che sarebbero scesi in campo, erano previste due riserve per compagine da buttare nella mischia in caso di necessità. L’ufficialità dell’incontro era tale che erano stati previsti persino gli inni nazionali. Il Fascio, che in materia di propaganda non si affidava certo al caso, aveva predisposto l’impiego della banda musicale locale per sollecitare l’emozione e il coinvolgimento del pubblico, prima ancora che degli stessi atleti. “Esalteremo-si ripeteva in tutti i documenti ufficiali italiani l’affratellamento degli amici sportivi al solo e unico grido di: Viva la Corsica-Viva Bonifacio”. Vale a dire: vi distruggeremo sul terreno di gioco perché i fascisti sono i più forti, ma vi vogliamo bene ugualmente. Il Commissario Prefettizio Agnesa aveva inviato un invito alle ditte locali “Gaetano Vasino”, “Piana e Spanu”, “Giovanni Fastame”, “Antonio Frau” perché si assicurasse “un degno ricevimento ai graditi ospiti” che sarebbero giunti dalla vicina Corsica. A tal fine aveva chiesto pure che queste ditte lasciassero “liberi gli operai dipendenti verso le ore 15,30, interessandoli a volersi riunire” alle altre associazioni che, con le Autorità, sarebbero andati a ricevere gli ospiti all’arrivo del piroscafo “Gallura”. Altro invito pressante, Agnesa, lo aveva fatto distribuire a tutti i pubblici esercizi e agli Enti Pubblici, perché si presenziasse in maniera massiccia all’arrivo degli ospiti e alle successive cerimonie, dalle 18,30 di sabato alle 9,30 di lunedì. Era certo dunque, che si era prevista la partenza degli ospiti al mattino del lunedì 21. Ma qualcosa al momento dell’arrivo della comitiva dalla Corsica doveva essersi inceppato, dato che il meccanismo così ben predisposto fu improvvisamente sospeso. Spese eccessive? Certo che no, visto il concorso spontaneo della Marina Militare, dei vari imprenditori locali e solo in minima parte del Comune. Forse erano stati accampati ad arte timori di sabotaggio o di furto di informazioni da una piazzaforte che aveva fama di essere blindata e che così doveva mantenersi. La partita, quindi, poiché rispondeva ad approvate esigenze politico-propagandistiche prima ancora che sportive, si sarebbe potuta tenere, ma il soggiorno prolungato quanto ingiustificato di 70 individui di cui si sapeva poco e nulla, che accompagnavano la squadra e che potevano avere le idee più strampalate, bisognava evitarli. Non potendo loro vietare l’ingresso nella piazzaforte a sostenere la loro squadra, a meno di non voler creare un incidente diplomatico di non poco conto, si poteva dare una sforbiciata al programma. Terminata la partita, data ai giovani corsi la lezione sportiva che si meritavano, riaccesa al contempo “nei loro petti la fiamma del fervore italico”, tutti, ma proprio tutti, in base alle nuove disposizioni avrebbero dovuto varcare lo Stretto e tornarsene a casa. Leandro Arpinati sottosegretario con responsabilità di Ministro dell’Interno fascista non voleva certo incutere timore ai tifosi, blindandoli nella struttura sportiva per tenerli sotto controllo, ma proprio per questo motivo non poteva offrire garanzie di sicurezza alla fantasia del Ministro degli Esteri Dino Grandi che, indubbiamente, puntava a far crescere l’entusiasmo nei confronti dell’Italia fascista con questa operazione. Ad un tempo Grandi, proprio perché Ministro degli Esteri, doveva salvaguardare i rapporti con Londra, che, guarda caso, proprio in quei giorni stava puntando a rafforzare l’intesa anglo-francese e mai avrebbe voluto che Parigi lamentasse un troppo palese appoggio del Governo italiano agli striscianti intrighi irredentisti. A questi due colleghi in discreto imbarazzo per essersi fatti prendere forse un po’ la mano, si univa un tormentato Pietro Gazzera, Ministro per la Guerra, Generale di corpo d’Armata già in contrasto con il segretario del Partito Nazionale Fascista, Giovanni Giuriati, per via delle critiche espresse da quest’ultimo sulla Commissione Suprema di Difesa e sullo Stato Maggiore dell’esercito. Anche per questo motivo il Ministro Gazzera non aveva alcuna intenzione di aspettare che succedesse un incidente di qualsivoglia tipo in questa piazzaforte, temendo una ulteriore sua caduta di prestigio e quindi la propria defenestrazione. In poche parole, siccome il cerino rischiava di bruciare le dita proprio a lui, Gazzera pretese dal Ministro dell’Interno Arpinati garanzie di massima sicurezza. Da questo rimpallo di responsabilità, probabilmente, era derivata all’improvviso la sforbiciata al programma: terminata la partita, festa finita e tutti a casa. Avvisati i capi comitiva, che non ci dovevano essere rimasti molto bene, alle 15,30 al campo Faravelli di Moneta, subito dopo l’esecuzione degli inni nazionali e la lettura delle formazioni, (per la squadra di casa scendevano in campo: Enrico Massaro (appena acquistato dalla Torres), Egidio Casazza (capitano e appena acquistato dalla Torres), Pocobelli, Cannarsa, Amato, Picciaredda (acquistato dalla Torres), Girardi I, Di Fraia, Girardi II (portiere), Barago: riserve, ufficialmente, erano Onorato, Porchedda. La formazione ospite era così composta, comprese le due riserve: D. Orrechioni, Rocca (allenatore), Milanini (capitano), Sorba, Lai, Lena, Faure, Santucci, Ferdani, Z. Orrechioni, A. Gazano, P. Tassistro, P. Costa. La partita era scivolata senza troppi sussulti con la squadra di casa che si era lanciata a testa bassa all’attacco ed era sembrata riuscire ad assicurarsi il risultato già nel primo quarto d’ora. Aveva segnato Pocobelli di testa su calcio d’angolo, lasciato incredibilmente libero al centro dell’area piccola. Subito dopo Padua, con uno dei suoi numeri per cui era famoso, la girata volante all’altezza del disco del rigore, inarcatosi spalle alla porta, aveva fatto secco Faure, inutilmente proteso in volo. La reazione degli ospiti non sembrava tale da poter riaprire i discorsi, tanto era palese la superiorità tecnica dell’Ilva, ma inaspettato, quasi alla fine del primo tempo, con un contropiede da manuale i bonifacini avevano riaperto la partita: il pallone da Milanini arrivò lungo al centravanti che tagliò in velocità la difesa isolana per il 2 a 1. Nell’intervallo sugli spalti si incominciò a temere che negli spogliatoi il clima idilliaco potesse guastarsi. Succedette invece qualcosa di impensabile. Due giocatori dell’Ilva s’incontrarono in disparte con una delegazione della squadra di Bonifacio. Qualcuno che assistette negli spogliatoi temette una combine per il risultato finale, ma sbagliava. I giocatori maddalenini proposero, qualunque fosse stato il risultato finale della partita, (che a loro importava relativamente) una notte di bagordi. Ma per prima cosa, bisognava arrivare tardi all’imbarco del vaporetto. Il comandante-si sapeva-era un uomo di una precisione unica. Tre squilli a distanza di pochi minuti uno dall’altro con le macchine già al massimo e il “molla le cime”. Sarebbe stato sufficiente quindi ritardare pure di poco la marcia verso la banchina, e siccome si ritornava a piedi, in corteo, sarebbe stato sufficiente di tanto in tanto bloccare la testa della fila con gli anziani maddalenini che andavano loro incontro per abbracciarli, fingendo di riconoscerli, chiedendo notizie di casa… Gli atleti, verificato che l’offerta aveva un risvolto più che piacevole, domandarono cosa avrebbe fatto tutta la gente al loro seguito. Sarebbe rimasta all’Isola a divertirsi insieme a noi, fu la risposta. Si sarebbe andati tutti a ballare nelle case private, in giro per la città. Il tempo era bello, considerarono, avrebbero mangiato e bevuto ciò che di buono era già stato preparato, arrosti, dolci o quello che c’era, e vino buono: si sarebbero certamente divertiti. Usciti dallo spogliatoio per il secondo tempo, massaggiatori e accompagnatori fecero partire dai bordi del campo il passa parola: “dobbiamo perdere il vaporetto”. Il secondo tempo ebbe inizio con un lancio lungo per il veloce Frediani che venne atterrato con una spallata da Di Fraia fuori area. Il centravanti che aveva già segnato, con un tiro magistrale fece secco per la seconda volta Girardi II. A questo punto il pubblico maddalenino cominciava a perdere la pazienza e, temendo il peggio, lasciò perdere i convenevoli, incitando i loro beniamini a recuperare il risultato. Il gioco si era animato, ma gli ospiti, chiusi a riccio, cercavano di difendere l’insperato pareggio. Al 70’ tuttavia, nulla poté la folta difesa dei corsi contro le astuzie del “brasiliano” Casazza, che con una giravolta in fase di sfondamento lasciava partire un bolide che superava l’incolpevole Faure, salvato, nella circostanza, dal montante. Sotto porta Girardi I si era fatto largo da par suo ed era riuscito a insaccare. Sul 3 a 2 i maddalenini addormentarono la partita perché il risultato, adesso, sembrava andar bene anche agli avversari, che, dato il nome dell’Ilva, avevano temuto un passivo ben più pesante. Al termine della partita il pubblico, invitato a uscire dal campo, rispose a una voce di voler attendere i propri beniamini per raggiungere insieme il vaporetto. Il fatto che i giocatori stessero ritardando negli spogliatoi ai militari del servizio di sicurezza sembrava inspiegabile. Qualcuno di loro si affacciò dove gli atleti si stavano vestendo per sollecitarli. Notò che se la stavano prendendo con troppa calma, e disse loro di darsi da fare perché il Gallura non li avrebbe aspettati oltre l’orario. Quando finalmente uscirono cambiati e pronti per partire furono accolti dall’ovazione dei tifosi, che in tal modo intendevano far loro capire di essere d’accordo sul rimanere all’Isola. Già fuori dal Faravelli alcune donne di Moneta si fecero incontro ai giocatori con la solita scusa di chiedere notizie dei loro cari a Bonifacio. Alcune consegnavano un dolce, un pensiero. I militari che controllavano quelle scene, cominciarono a mostrare segni d’impazienza. Anche perché per strada lo spettacolo degli isolani che correvano incontro ad abbracciare i giocatori e a chiedere o a dare informazioni per i parenti dall’altra parte delle Bocche, si moltiplicavano, mentre le lancette dell’orologio del comandante del Gallura continuavano a marcare inesorabilmente il tempo. Quando il lungo corteo passò davanti al Circolo Ufficiali il postalino lanciò il suo primo squillo e a quel punto una massa incredibile di maddalenini che veniva da Piazza Umberto I, si strinse nuovamente attorno alla squadra. Il postalino lanciò il secondo squillo quando il corteo era davanti all’Ammiragliato. All’inizio di via Nazionale una nuova ondata di maddalenini bloccò il corteo che a passo svelto, adesso, fingeva di voler recuperare il tempo perduto. Il vaporetto lanciò il terzo squillo e dalla banchina mollarono le cime. L’imbarco era saltato. Ci fu un momento di panico, perché i militari al controllo dei tifosi e della squadra, sentendosi presi in giro, persero per un attimo le staffe. Ma la presenza delle autorità comunali al seguito, li convinse che sarebbe stato del tutto inutile farsi prendere dal panico. Bisognava ragionarci su e farsene una ragione. Del resto inizialmente si era già predisposta ogni cosa perché squadra e ospiti passassero la nottata a La Maddalena. Bastava ripristinare il protocollo iniziale. Obtorto collo, atleti e dirigenti vennero ospitati, come da programma, al Circolo Ufficiali per la cena. I tifosi corsi, catturati e trascinati letteralmente dai tifosi isolani, cominciarono il giro delle sette chiese, raggiunti a fine cena dagli atleti. Si spalancarono le case: la gente mangiava e beveva, e si ballava e si cantava pure: tutto come previsto e predisposto alla vigilia. La polizia militare osservava masticando amaro, con discrezione ma pure con fermezza, cercando di non perdere di vista nessun ospite. Chi visse quella nottata, me la raccontò come qualcosa di memorabile: non ci fu un solo screzio tra le tifoserie, ma chi voleva divertirsi, quella notte, ci riuscì. Al mattino, come previsto dal programma che era stato precedentemente concordato, tutti i corsi, accompagnati ancora da un folto stuolo di maddalenini, si era presentato all’imbarco del Gallura, dove un comandante sornione si teneva pronto, orologio alla mano, a far lanciare i fatidici 3 squilli. La cronaca si dimenticò quasi della partita, ma si soffermò per contro sulla ricchezza di contenuti di quella nottata del 20 settembre del 1931 in cui bonifacini e maddalenini animarono il centro storico: una sorta di onore goliardico alla ricorrenza forse casuale della presa di Porta Pia, sempre molto sentita all’Isola, grazie all’apposita associazione di Mutuo Soccorso. Partiti i compagni di bisboccia, mentre chi poteva andava finalmente a dormire per recuperare il sonno perduto, una staffetta militare raggiunse di corsa il Commissario Prefettizio Agnesa, in Comune. Con una nota scritta, l’Ammiraglio De Feo gli rimproverava ufficialmente di non aver voluto “tagliare” il programma come concordato e di aver impedito alla squadra di raggiungere per tempo il vaporetto, dopo la partita. Agnesa, risentito, rispose all’Ammiraglio De Feo, “aggiustando” in qualche modo la verità dei fatti, anche per tranquillizzarlo in qualche modo. “Mi riferisco alla nota odierna n. 1870 R.R. significando che lo scrivente non ha impedito in alcun modo la partenza dei gitanti di Bonifacio e che anzi il corteo è giunto alla banchina d’imbarco in perfetto e comodo orario. E’ avvenuto piuttosto che i gitanti hanno vivamente richiesto al Console ed al loro Presidente del Gruppo Sportivo di prolungare ancora di un giorno la permanenza in questo paese e ciò per la grande soddisfazione avuta nelle accoglienze e per il piacere di stare ancora in questo <simpatico e indimenticabile paese> (riporto letteralmente-scrisse Agnesa-la lusinghiera espressione ripetuta da molti bonifacini). Lo scrivente ciò nonostante non ha formulato alcun invito ma nemmeno poteva non dimostrare di gradire la permanenza degli ospiti dopo che il Console ha ritenuto di accondiscendere al loro desiderio. Perciò il corteo, giunto alla banchina d’imbarco, è stato fatto proseguire col deliberato proposito di rimandare la partenza al giorno dopo. I Bonifacini hanno trascorso la giornata in paese sempre uniti e nessuna zona militare è stata avvicinata. Non ritiene lo scrivente che a codesto Comando debba rincrescere il fatto che i Bonifacini abbiano desiderato trattenersi ancora un giorno a La Maddalena in unione ad autorità locali, compreso lo scrivente”. Così, con un sistema di mezze verità e di mezze bugie la situazione si ricompose, rimbalzando di tavolo in tavolo fino a Roma, dove qualcuno si illuse di aver fatto un piccolo passo avanti nella riconquista politica della Corsica. La partita venne ripetuta il 26 settembre a Bonifacio e lì la partita, giocata in un terreno impossibile, noto giustamente come “i paduli” (paludi, terreno alluvionale per avvallamenti) si concluse con un pareggio: la festa tra le due comunità si ripeté, ma alla fine il processo agognato da Angeli, Giovacchini e Poli rimase al palo, perché alle migliaia di persone che avevano aderito alla loro causa in Italia, corrispondevano, in realtà, forse appena alcune decine di corsi interessati davvero al loro visionario progetto.

(Sabato, ore 18,30 ricevimento nel Salone del Comune in onore degli ospiti, con intrattenimento danzante.

Domenica ore 8,30 Partenza per Caprera-Banchina Comando, con la deposizione di una corona di alloro sulla tomba di Garibaldi.

Ore 11 Concerto Banda dell’Opera Nazionale Balilla in Piazza Garibaldi. Bicchierata in onore degli ospiti presso il Caffè Romolo Madrau con la partecipazione di tutte le Autorità di La Maddalena.

Ore 15,30 Campo Faravelli: Partita di Calcio tra “Giovinezza Sportiva Bonifacina” e “Avanguardia Giovanile Fascista La Maddalena”.

Ore 20 Pranzo offerto al Circolo Ufficiali del Comando Militare alle due squadre di calcio.

Ore 22 Teatro Verdi – Rappresentazione cinematografica in onore degli ospiti.

Lunedì 21 ore 8,30 Caffè e latte nel Caffè Madrau.

Ore 9.30 Adunata in Piazza Garibaldi di tutte le Associazioni con Bandiere e Rappresentanze Cittadine per la formazione del Corteo che, attraversando il Corso Garibaldi giungerà innanzi il Comando Marina Militare per poi dirigersi verso la banchina di via Nazionale per la partenza degli ospiti). (Giancarlo Tusceri)

10 ottobre

Rappresenta una data veramente memorabile per la cittadinanza maddalenina: vengono affidati, finalmente, i lavori all’impresa costruttrice e viene dato in forma ufficiale il primo colpo di piccone per la costruzione dell’acquedotto in località Punti Rossi.

13 dicembre

Alle ore 9.30 affonda il rimorchiatore Teseo nelle vicinanze delle coste maddalenine. Il rimorchiatore oceanico era partito dalla Maddalena l’11 dicembre con il suo equipaggio ed altri 68 marinai di leva che tornavano in continente per la licenza natalizia. Per due giorni l’ex rimorchiatore austriaco, era una preda di guerra, rimane in balia del mare in tempesta. I più anziani fra i marittimi civitavecchiesi ricordano che si scatenò un’eccezionale ondata di tramontana che si protrasse per nove giorni. I tentativi di alcune navi di accostarsi e prestare soccorso falliscono per la violenza delle onde. Giunge a prestare aiuto l’incrociatore Trieste. Alle operazioni di soccorso partecipa anche la nave passeggeri Caralis, ma alla fine il rimorchiatore affonda. Sono salvi: 62 uomini di equipaggio su 81, 50 marinai di passaggio su 67.