Erica arborea
Erica arborea (nome scientifico Erica arborea, nome locale Scopa)
Arbusto o piccolo albero sempreverde, con fusto fortemente ingrossato al colletto, corteccia grigio-rossastra; rami eretti, i giovani densamente tormentosi. Foglie aghiformi. Dai locali è conosciuta col nome di scopa ed il suo legno rientrava da quelli utilizzati per la fabbricazione del carbone. La brace persistente si prestava al lavoro di fabbri e maniscalchi.
Un altro arbusto sempreverde tipico della macchia mediterranea di altezza variabile da 1 a 6 metri, con rami eretti. La corteccia dei fusti è di colore rossastro, mentre i rami estremi giovani sono ricoperti da una lanugine bianchiccia. Questo è il carattere distintivo che permette di riconoscere l’erica arborea dalle altre eriche che si associano ad essa nella macchia mediterranea, in particolare dall’Erica scoparia. Le foglie sono aghiformi e con una linea bianca di sotto. I fiori sono penduli, raramente eretti, riuniti in racemi terminali più o meno fitti; hanno corolle di colore biancastro, con leggere sfumature rosee. La fioritura avviene da marzo a maggio. L’apparato radicale è costituito da poche diramazioni piuttosto grosse e disposte a raggiera. I rami lunghi e resistenti della pianta, venivano legati insieme ed utilizzati in passato, specie dai netturbini, come scopa, da cui il nome dialettale.
Viene usata per la produzione di miele. Il miele della radica è amarognolo, ma molto apprezzato nonostante sia duro e richieda una difficile lavorazione resa ancora più difficoltosa dal fatto che la sua fioritura precoce e si ha già verso maggio.
In erboristeria si utilizzano i fiori o le sommità fiorite. Poiché manifestano un’azione diuretica assai potente servono per la preparazione delle cosiddette tisane urinarie. Inoltre hanno azione antisettica per la presenza di arbutina; come tali si usano nei casi di cistiti, specie quelle prostatiche.
Viene spesso associato per lo scopo anche a Malva Purpurea, Fumaria e Menta, e sono da preferire ad altri preparati, quali l’Uva orsina, specie nelle cure di lunga durata, in quanto non tossici.
La tisana per la cistite cronica si prepara distribuendo un cucchiaio colmo di fiori di erica in un litro di acqua in decotto per 15 minuti. Va consumata a tazze nella giornata, lontano dai pasti.
E’ opinione diffusa che si possa curare anche il raffreddore con una unica tazza di tisana molto calda prima di coricarsi, addolcita con tanto miele e con un 50% di cognac. Se il raffreddore non passa… almeno ci siamo scaldati!
I bachi da seta nel loro ultimo sviluppo venivano fatti attaccare a rami di erica arborea perché facessero il bozzolo.
Era molto ricercato il carbone di erica per la sua elevata resa calorica.
Dal ceppo basale di Erica arborea detto “ciocco” si ricavano pregiate pipe; l’arbusto deve avere almeno 50 anni perché il ceppo raggiunga il volume minimo necessario. L’assorbimento massiccio del silicio dal terreno, rende il ceppo ignifugo. I “ciocchi” forniscono un legno durissimo, inalterabile, leggero ed estremamente resistente al calore, che fa della radica di Erica un materiale adatto alla costruzione di pipe. Un operaio può estrarre e ripulire fino a 150 kg di ciocco al giorno.
La lavorazione dei ciocchi è lunga e laboriosa: dopo l’estrazione procedendo con due strumenti: uno, detto “maniscure”, con il quale si liberano le radici e l’altro, detto “pennato”, con cui si ripulisce il ciocco liberandolo dalle parti guaste e dandogli una forma tondeggiate.
Effettuata questa prima lavorazione per impedire che i ciocchi si fessurino profondamente, vengono messi sotto uno strato umido di terra; vengono poi tagliati in “abbozzi”, quindi bolliti in pentoloni di rame per eliminare il tannino che potrebbe creare delle crepe durante l’essicazione, e per dare al legno un colore più carico, in seguito messi ad asciugare e stagionare in luoghi a temperatura ed umidità costanti anche per diversi anni. La particolarità della materia prima, il tipo di lavorazione, artigianale, rendono le pipe tutte differenti fra loro. Vi sono inoltre pezzi unici da collezione, ricavati da placche di radica perfette e con caratteristiche estetiche particolari, che presentano venature armoniose, fiammature, occhi di pernice, disegni eccezionali, per cui ogni pezzo acquista la sua unicità.
Riportiamo integralmente un passo di un vecchio manuale di scienze naturali degli anni venti: ”L’estrazione del ciocco avviene subito dopo il taglio del ceduo; gli operai addetti procedono con due strumenti: uno, detto maniscure, con il quale estraggono il ciocco e lo liberano dalle tenaci radici e l’altro, il pennato, con cui lo ripuliscono e lo liberano dalle parti guaste per dargli la forma rotondeggiante adeguata. Un operaio di comune capacità può estrarre e ripulire fino a 150 kg di “ciocco” al giorno. Dopo una prima lavorazione viene tenuto sotto uno strato umido di terra per prevenire screpolature e profonde.
La produzione varia moltissimo; negli ericeti della Maremma, con rotazione di 40-50 anni, si ottiene una quantità di prodotto grezzo per ettaro che oscilla dai 500 ai 1.500 kg. I “ciocchi” migliori si ottengono da piante con vegetazione aerea stentata e che crescono sui versanti esposi a sud.
In fabbrica i “ciocchi” vengono conservati in ammassi sotto tettoie; la resa di lavorazione è del 25-30% e da una tonnellata di “ciocchi” di media qualità, si ottengono circa 4.000 abbozzi aventi le seguenti dimensioni: spessore 2,8 cm, altezza 3,2 cm, lunghezza 5,5 cm.. Se il prodotto grezzo è di buona qualità e le maestranze sono qualificate si possono ottenere anche 5.000 abbozzi per tonnellata. Vengono posti in commercio 25 tipi diversi di abbozzi, corrispondenti alle diverse dimensioni delle pipe.
Dopo la preparazione gli abbozzi vengono fatti bollire per 12 ore per dare al legno una tinta più carica ed uniforme e per eliminare parte dei tannini.”
In passato non si buttava nulla, quindi la parte inferiore della ceppo era impiegata nelle carbonaie, per ottenere un carbone in grado di sviluppare molto calore. Il carbone da legno d’Erica era particolarmente richiesto nelle officine dei fabbri per la forgiatura del ferro.
Oggigiorno la raccolta è regolata da leggi, permessi e autorizzazioni, mentre la fase di lavorazione è pressoché invariata. Colpisce, invece, la dimensione e le misure degli abbozzi descritti: sicuramente all’epoca le pipe erano più piccole di quelle odierne.