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Foca monaca – (Monachus Monachus)

Ha abitato il Mediterraneo da tempo immemorabile, colonizzando le spiagge assolate, dove ama riposare per ore al sole senza minimamente risentire del caldo, o le grotte naturali dove cerca la calma per mettere al mondo e allevare il piccolo.

Di dimensioni notevoli, raggiunge facilmente i tre metri di lunghezza per 300 Kg. di peso (determinato soprattutto dallo spesso strato di grasso sottocutaneo), ha mantello grigio scuro, una macchia bianca sul ventre, testa tonda con muso prominente ornato di vibrisse. Quasi niente si sa della sua biologia e del so comportamento sociale e del suo comportamento sociale e ormai, per studiarla, una èquipe di specialisti francesi deve far base in Mauritania dove esiste l’unica colonia superstite di questa foca mediterranea.

Infatti, benché fosse un tempo frequentatrice abituale delle nostre coste, tanto da lasciare in nome con cui è conosciuta in Sardegna, “Bue marino”, a grotte e cale anche del nostro arcipelago, oggi pare sia completamente scomparsa dalle coste sarde.

I nostri pescatori, che prima della guerra la vedevano spesso o trovavano tracce funeste del suo passaggio nei “mestieri” distrutti, ne hanno notato la progressiva diminuzione fino alla scomparsa totale. Le ultime foche sono state avvistate negli anni sessanta sull’isola dei Barrettini (a levante) e a levante di Caprera. Malgrado il buffo modo di muoversi a terra, l’eleganza del nuoto, l’indole curiosa e giocherellona, viene considerata dai pescatori non con simpatia, ma con l’odio e la rabbia spesso impotente di chi vede distrutto il frutto delle sue fatiche. Infatti, infilando la testa nella “gamba” delle nasse per prendere i pesci prigionieri, con la sua mole le distrugge; ruba le prede dai palamiti, preferendo le specie più morbide; si appende alle reti praticando tre buchi caratteristici: due all’altezza delle pinne e uno più grande all’altezza della testa.

Le vengono attribuiti inoltre “dispetti” e comportamenti quasi umani: sono in molti a dire che a Barca Brujata mangiasse l’uva delle vigne prospicenti il mare e che, adagiata sulla spiaggia, scagliasse con le pinne, pietre e sabbione verso i pescatori. Questi le hanno sempre dato una caccia furiosa mettendo all’ingresso della nassa un cappio e non esitando ad usare le bombe per ucciderla: proprio con una bomba Pasquale Semeria ne prese una verso il 1923 e pensò di trarre vantaggio dall’odiata nemica; legata a poppa della sua barca la trainò fino a La Maddalena e, messosi d’accordo con il proprietario del cinema Umberto, preparò una pedana sulla quale il “mostro” fu esposto per la modica cifra di un centesimo ad un pubblico curioso, formato anche dai bambini delle scuole. Prima di sbarazzarsene Semeria la portò a Santo Stefano dove la scuoiò, privandola dell’enorme quantità di grasso: mandò quindi la pelle intera a Cagliari per la concia e la povera foca, divenuta lucido e brillante tappeto ornò la sua casa con soddisfazione di tutti.

Altri, sentendo che si poteva utilizzare la pelle, provarono a scuoiarla nell’intento di ricavarne scarpe, ma rinunciarono per la difficoltà della concia. Se riteniamo più che comprensibile l’atteggiamento dei pescatori nei confronti della foca monaca, non possiamo pensarla allo stesso modo per la caccia immotivata alla quale fu sottoposta nel periodo precedente la guerra di cui troviamo un circostanziato episodio in un libro di memorie di un “valente” cacciatore che nel 1937 si recò a Tavolara, presso il fanalista Zonza (esperto in questo tipo di caccia), per organizzarne una in piena regola, con tanto di schioppo e doppiette, contro una foca sonnacchiosa sulla spiaggia. (Giovanna Sotgiu)

Nello e la foca monaca

La foca monaca o bue marino, come comunemente veniva chiamata da noi maddalenini, è un raro pinnipede che viveva nelle nostre acque fino agli anni 60 per poi scomparire. Pare comunque che ancora oggi si avvisti qualche esemplare. Mentre scrivo vedo Nello Morello che mi sorride e dice: ”Io ho avuto tra le mie mani uno di questi esemplari; sono degli animali eccezionali, furbi e intelligenti “ Rimango un po’ perplesso dalle sue parole. Ormai è diventata normalità. Nello sa tutto. Nello ha vissuto ogni tipo d’avventura a mare.
Comincia così il suo racconto. Correva l’anno 1953 siamo nei pressi di Tavolara dove papà Domenico prestava servizio come fanalista e precisamente a Punta Timone. Nello e zio Bachisio Chinelli (vedi foto), altro personaggio che orbitava nel faro, vedono in lontananza un gruppo di foche, probabilmente un’intera famiglia essendo di colore e taglia diverse, ed avevano il loro rifugio in una grotta fuori Punta Timone. Decidono di catturarne qualche esemplare da tenere nei pressi della spiaggia. Che la foca monaca fosse abile nel cacciare era risaputo, ma non che pur di mangiare la sua abilità arrivasse a devastare le nasse dei pescatori, tanto da renderle inservibili. Zio Bachisio aveva deciso che una foca doveva essere catturata: prepara un rudimentale laccio con un cima e dopo numerosi tentativi riescono nell’impresa: un bellissimo esemplare cade nella trappola. Partono per far ritorno a Tavolara a far vedere a tutti il trofeo che legato a lato della barca cercava disperatamente di fuggire. Arrivati in spiaggia il povero animale viene lasciato legato ad uno scoglio dove poteva essere controllato, gli veniva dato del cibo che rifiutava, mentre cercava la libertà che gli era stata negata. La povera bestia soffriva, sembrava implorasse di essere lasciata libera di andare verso il mare, verso la liberta che gli era stata negata.
La visione di quell’animale provoca in Nello un po’ di rimorso e chiede a zio Bachisio di liberarla. Intanto si viene a conoscenza del fatto e la Guardia di Finanza di Olbia si reca sul posto per vedere di recuperare la foca ed eventualmente portarla al giardino zoologico di Roma. Purtroppo mentre si attrezzavano le strutture per poter effettuare il viaggio a Roma, la povera foca, dopo aver lottato strenuamente in un ultimo strappo, si lacera la coda per la quale sopraggiunge una forte infezione che ne causa la morte. Nello racconta questa storia con un po’ di rammarico, perché non è servito a nulla catturare un bellissimo animale per poi farlo morire in un modo così crudele. (Vincenzo Del Giudice)

L’ultima dimora stabile della foca monaca lungo le coste galluresi è stata l’isola di Tavolara, dove negli anni ‘60 del secolo scorso condivideva la spiaggia di Punta Timone con i pochi abitanti dell’isola e dove si è riprodotta per l’ultima volta nel 1978.

Il grande pinnipede fino al primo dopoguerra era diffuso in molte località costiere e, oltre al ricordo di vecchi pescatori, numerosi toponimi ne attestano la presenza: basti ricordare Cala Bove Marino a Razzoli o Cala Macchione dei Bovi a Santa Maria. L’estinzione della specie ha coinciso con l’introduzione delle reti di nylon e con l’aumento repentino della pressione umana sui siti costieri.

Scomparsa anche dalle altre coste della Sardegna, la foca monaca a livello mondiale è considerata ad altissimo rischio d’estinzione nell’immediato futuro ed è protetta in base alle convenzioni di Berna, Barcellona, Direttiva Habitat e CITES.

Oggi il suo areale di distribuzione è fortemente ridotto sia all’interno del Mediterraneo sia nell’Atlantico, dove rimangono solo due colonie nell’arcipelago di Madeira e lungo le coste del Sahara Occidentale nei pressi di Cabo Blanco.

L’intera popolazione mediterranea è stimata in circa 350 esemplari, concentrati soprattutto tra le coste greche e quelle turche, mentre quella mondiale non dovrebbe superare le 500 unità.

In Italia meridionale, Sardegna compresa, e in alto Adriatico tra la fine del secolo scorso e i primi anni 2000 si registrano osservazioni di esemplari, validate scientificamente, che denotano spostamenti tra le colonie e le nostre coste. L’ultimo avvistamento documentato è relativo al giugno 2009 nei pressi di Campese, all’isola del Giglio.

Lungo le coste galluresi si registra una lunga serie di avvistamenti, alcuni supportati da immagini e molti ritenuti attendibili in base ai contenuti della descrizione. Nel 1991 un esemplare fu fotografato mentre nuotava tra Tavolara e Capo Figari, mentre nell’ultimo decennio le segnalazioni sono concentrate tra l’arcipelago di La Maddalena e l’isola di Mortorio.

Le località sono Porto Raphael, Caprera, La Maddalena, Monti Zoppu in Costa Smeralda e l’ultima segnalazione è riferita allo scoglio di Mortoriotto nel maggio 2009.

Si ritiene che alcuni esemplari probabilmente provenienti dalle coste del Mahgreb in Africa settentrionale compiano ampi spostamenti raggiungendo anche le coste italiane e della Sardegna. Si tratta di movimenti che rientrano nelle abitudini della specie, che nelle zone dove sono insediate le maggiori colonie si allontana fino a 40 miglia per raggiungere i siti di alimentazione. Certo è che lungo le coste della Sardegna non vi sono tracce di attività riproduttiva, né tanto meno di insediamenti di gruppi stabili.

Parzialmente tratto da “Il mondo della pesca” – Co.Ri.S.Ma – Giovanna Sotgiu e dal libro “Storie di mare” di Vincenzo Del Giudice – delgiudicevince@libero.it

  1. Il mondo della pesca – I parte
  2. Il mondo della pesca – II parte
  3. Il mondo della pesca – III parte
  4. Il mondo della pesca – IV parte
  5. La pesca con le reti
  6. La pesca delle aragoste
  7. La pesca con le nasse
  8. La pesca con i palamiti
  9. Erba corallina
  10. Foca monaca – (Monachus Monachus)
  11. Tartaruga di mare – Cuppulata
  12. Pinna Nobilis – Gnacchera
  13. Delfino – U fironu
  14. Le spugne
  15. Le razze
  16. La barca
  17. Provenienze dei pescatori maddalenini