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Garibaldi c’è, mio nonno l’ha toccato

L’eccezionale storia (pubblicata da Claudio Ronchi sul settimanale Il Vento il 6 febbraio 2010), deriva da un racconto di Yuri Donno, maddalenino e dipendente del Parco Nazionale. E a lui l’ha raccontata il nono Fioravanti Spolvieri, scalpellino, quando aveva 16 anni. Il segreto è stato custodito per molti anni. Morto nel 2003 nonno Fioravanti, al quale era molto legato, il nipote Yuri si è deciso a rivelare il suo segreto.

Tutto risale al 1986 quando lo scalpellino Fioravanti Spolvieri, venne incaricato dalla Sovraintendenza di Sassari ad eseguire un piccolo ma delicato intervento sul sarcofago di granito di Garibaldi. Spolvieri lavorava a Caprera per la stessa Sovraintendenza da circa un anno. Fu lui infatti che realizzò, da solo, il bel lastricato di granito, lungo poco meno d’un centinaio di metri che dalla strada asfaltata e dal parcheggio conduce all’ingresso della Casa-Museo. “E’ stato lui – ricorda il nipote Yuri – che ha selezionato e incastonato quel granito. Lavoro che aveva “firmato”. E prima di morire volle che lo accompagnassi lì, perché quella scritta col suo nome incisa nel granito e posta di lato avesse ancora della pittura nera che mettesse in evidenza la sua firma. Un bel giorno Spolvieri ebbe dalle Sovrintendenza un incarico particolare. “Nel sarcofago di Garibaldi le staffe che lo sigillavano erano in ferro. Questo con gli anni aveva gonfiato e stava spaccando il granito. C’era la necessità, non ricordo bene, o di cambiare staffe o di realizzare degli altri buchi per applicare le nuove staffe sul sarcofago. Un intervento delicato, da eseguire con attenzione certosina, con perizia e regola d’arte”, afferma Donno. Spolvieri iniziò il lavoro che durò alcuni giorni. Il contatto con la tomba dell’Eroe, la vicinanza fisica a quelli che erano i suoi resti, il fascino di quella figura, l’ammirazione che ne aveva sempre avuto, lui, di famiglia socialista, poi comunista, la sua mentalità pratica forgiatasi nella durezza del lavoro, la stessa durezza nell’approccio alla realtà fa esistente ciò che si vede e si sente, insinuarono in quei giorni nella mente di Fioravanti Spolvieri l’idea di esplorare e verificare cosa ci fosse effettivamente all’interno di quella tomba, se quel sarcofago accogliesse e conservasse effettivamente le spoglie di quell’uomo divenuto mito. “Il lavoro veniva eseguito sotto controllo” racconta ancora Donno. “Ma un giorno, all’ora di pranzo, in un momento in cui ci fu un allentamento”, mio nonno deciso di controllare. “Ora o mai più, pensò. Quando potrò avere un’altra occasione simile?” L’occasione era data dal fatto che fosse stato parancato il coperchio di granito. Erano state piazzate le ‘capre’ che si utilizzavano con i paranchi che a loro volta servivano per spostare il coperchio, quanto bastava per eseguire i lavori, probabilmente per arrivare a liberare la parte interna della staffa, racconta Yuri Donno. “Mio nonno sopraffatto dalla curiosità, parancando un po’, spostò con gli attrezzi a disposizione il coperchio, quanto bastava per infilarci la mano, giusto per farci entrare un braccio”. Operazione coraggiosa e temeraria, non solo pe la ‘circostanza’ ma anche perché condotta senza vedere, alla cieca. “Sentì una cassa, era di un metallo molto morbido, probabilmente di rame. Di una morbidezza incredibile, mi ha raccontato”. Donno prosegue: “La cassa l’ha tagliata per un tratto con un “picciacantù”, uno scalpello di ferro con la punta d’acciaio, affilata. Mio nonno era un uomo massiccio, molto forte e l’ha aperta”. Non vedeva dentro, toccava alla cieca. “Infilò la mano e da dentro la bara tirò fuori una cinta e della stoffa. Ha continuato, ha tastato, ha toccato anche delle ossa. Tastò all’altezza del bacino, lui, mio nonno, si trovava dalla parte dei piedi. Significa che Garibaldi la testa l’ha verso ponente ed i piedi verso est, più o meno. Lui è arrivato a toccare all’altezza della cinta, a metà sarcofago”. Donno prosegue nell’avvincente, macabro racconto. “La cinta, mio nonno, l’ha estratta, controllata, era di cuoio marrone scuro, morbida, sottile, un ‘cintino’ lo aveva definito. Con la cinta è fuoriuscito insieme un pezzo di stoffa, forse blu, ma c’era anche qualcosa di rosso. Sentiva le ossa e sentiva tanta polvere. O Yu, mi ha detto, sentivo tanta polvere …. ! Il coperchio fu risistemato alla meglio prima che riprendessero i controlli. “Mio nonno non asportò niente. Mi diceva: cosa facevo, mi tenevo la cinta e dicevo che quella era di Garibaldi?” dichiara ancora Donno. Se dunque dentro il sarcofago di Caprera ci sono delle ossa difficilmente non possono essere che di Giuseppe Garibaldi. Viene difficile infatti pensare che in passato, nell’operazione di un ipotetico trafugamento del corpo, già di per sé complessa e rischiosa, gli autori possano anche essersi preoccupati di sostituirlo con un altro ed altre ossa. “Al cento per cento Garibaldi è lì, era lui, l’ho toccato, non se lo sono portato via”, ha ripetuto più volte Fioravanti Spolvieri al nipote Yuri.