Il contrabbando
Il conferimento a Bonifacio del limitato eccesso di produzione sia agricola che di allevamento delle isole non era mai stato inteso come contrabbando, o “sfroso”. Furono perfino le autorità bonifacine, con una vera e propria attività di polizia di frontiera anti-contrabbando, che intervennero militarmente per evitare che il grano prodotto dai corsi nelle isole andasse venduto altrove. Dal loro punto di vista, infatti, sarebbe stato contrabbando addirittura venderlo ad altri anche in Corsica. Bonifacio riteneva che oltre il suo presidio e le sue pertinenze in Corsica, anche la Gallura costiera e le isole fossero una sorta di area di libero scambio ma in funzione esclusiva dei propri bisogni. Altrettanto non poteva intendere, invece, la corte torinese, che avviò una azione repressiva, impegnando uomini e mezzi nelle Bocche nel contrasto alla pratica illecita, e progettando l’occupazione delle isole anche in questa direzione. Le istruzioni del viceré al maggiore La Rocchetta, destinato a comandare la spedizione sulle isole, si aprivano proprio evidenziando la questione dei traffici illeciti, dando a ciò l’evidenza della motivazione principale, anche esagerando il ruolo delle isole e degli isolani. Secondo il viceré, Des Hayes, l’operazione era necessaria per stroncare: “lo scandaloso clandestino commercio de’ grani del regno solito farsi in grave pregiudizio della regia cassa e del pubblico da’ pastori abitanti le isole Intermedie denominate comunemente Li Caruggi e situate quasi in faccia di Bonifacio”, oltre che per presidiarle contro i barbareschi.
Di fatto il fenomeno del contrabbando era molto più complesso, si praticava su larga scala in riferimento all’estensione geografica (ben oltre le sole isole) che alla varietà di merci (ben oltre il solo grano). Le isole non producevano neppure in minima parte le carni e i cereali tali da soddisfare le richieste, sempre più crescenti per la presenza delle truppe francesi nel distretto bonifacino e con l’ostilità degli altri corsi. La strumentalità del richiamo ai contrabbandi è ancor più evidente se si considera che sia a Cagliari che a Torino la consapevolezza del problema era adeguata, come risulta da tutta la documentazione del dibattito che preparò l’operazione dell’occupazione delle isole e la sua esecuzione. In molti progetti, pareri e memorie si riconosceva che le isole facevano solo “da scala” ai traffici. Venivano, cioè, spesso utilizzate come deposito temporaneo, mentre la vera attività era praticata direttamente, tra la costa gallurese dove si raccoglievano le bestie, le carni salate e i cereali, si faceva la fumata di avviso e si caricava la merce nelle imbarcazioni per il trasporto clandestino in Corsica. Una citazione interessante la si trae dal progetto dell’intendente Vacha del marzo 1766, in cui si legge che le isole: “abitate da parecchi pastori corsi servono di scala ai contrabbandi, non meno che al tragitto dei banditi che infestano poi con delitti e frequenti incursioni la pubblica tranquillità”. Per quel che attiene ai banditi, in quella terra di tutti e di nessuno, ne passavano tanti. Ma quelli che lasciarono traccia nelle cronache storiche furono il Turco, con i suoi compagni catturati dal sergente maggiore Buttafuoco, e i banditi sardi Giandomenico Moru e Antonio Porcu. Avevano la stessa indicazione di banditi anche i rifugiati per motivi politici, che in quel periodo furono molti, provenienti da entrambe le parti in guerra tra di loro.
Anche un dispaccio del viceré al vassallo Brondel, del settembre 1767, evidenziava la medesima informazione sul ruolo di deposito delle isole. Per evitare le estrazioni clandestine di grano e di altri generi che gli isolani facevano depositare nelle isole e poi passavano di sfroso a Bonifacio, il viceré dispose che si dovessero bloccare le navi cariche di merci in contrabbando al momento della partenza dalle coste galluresi o quando ripartono cariche dalle isole. Il testo contiene anche un’importantissima determinazione politica di tolleranza degli sfrosi dei maddalenini, che nell’imminenza della spedizione venivano sollecitati ad accettare il passaggio sotto il dominio del re sardo. Des Hayes, infatti, per accattivarseli ordinava: “Quando anche si sapesse essere trasportati grani e altri generi nelle isole e che li medesimi vi si trovassero pur anco, non si dovrà procedere a veruna perquisizione e ricerca per non irritare avanti tempo e rendere indisposti gli animi degli isolani nelle note viste”. Una tale circostanza si presentò nello stesso settembre, quando la galeotta guarda coste sarda sequestrò la gondola del patrone bonifacino, Antonio Mamberti, colta in flagranza a imbarcare montoni alla Maddalena con la complicità di quei pastori, e arrestò lo stesso Mamberti. Il rilascio successivo della nave e la liberazione del patrone non fu interpretata dai bonifacini come segno di benevolenza, ma, al contrario, ritennero che si fosse trattato del riconoscimento da parte sarda dell’errore di aver di aver operato un sequestro di merce corsa imbarcata in un’isola di dominio corso.
Un documento eccezionale racconta uno dei tanti episodi di lotta al contrabbando nelle acque dell’arcipelago e delle Bocche, impegnando l’isola per lo stoccaggio temporaneo delle merci. Il testo inedito, che si riporta in stralcio e integralmente, vuole essere un invito al lettore a gustare anche letterariamente questa narrazione difficile da interpretare nel contenuto, per la forma sconclusionata dell’esposizione e per la grammatica approssimata che fu usata dallo scrivano di bordo, certo Antonio Carbonetti: “Giornale del sciabecco in corso per S. M. Dio guardi dal 2 luglio fino al 23 settembre 1749
02.07 “Avendo visto una piccola gondola verso la Corsica dispedirmo la galeotta, giunta a presso terra chiamò in terra la nostra galeotta e li fecero i suddetti una discarica sopra, che ne restò un de’ nostri marinari ferito in un braccio.
03.07 Giunsimo a mezzo giorno a cala Francese all’isola della Maddalena, che verso le tre dopo mezzo giorno spedirmo la nostra galeotta al giro di detta isola, quando fu alla punta della Moneta le fu gridato di terra che bastimento era le rispose i nostri essere il guarda costa che subito le fu fatto due dischariche da venticinque archebugiate nelle vele e nella galeotta senza essere stato nesuno ferito. A due ore di notte giunte a bordo a dare relazione del che si stabilì avanti giorno andare col sciabecco e galeotta a vedere chi erano questi che avevano fatto tal foco che si eseguì.
04.07 Velegiando verso il capo del Lorso vidimo due gondole verso la Cabrara si posimo in caccia …. a parlamento essere due coralline siciliane, voltarmo di bordo con venti a maestrale bordeggiando dettimo fondo a Monte di Figo.
05.07 Alla mattina sul punto del giorno si ritrovarmo alla punta della Moneta a detta isola della Maddalena, quale dettimo disbarco di tutto l’equipaggio. Si ritrovò a una punta due gondole bonifazine senza atrezzi e favellando con li abitanti se erano loro che avevano fatto foco risposero che no ma che erano l’equipaggio delle sudette gondole bonifacine alor che le chiesimo per contrabando e l’atrezzi di detti bastimenti ai genti ne risposero che per tutto si cercassimo che il tanto fecimo e ritrovarmo alla detta punta della Moneta nella machia cierto formagio e lardo di Sardegna come pure si trovò porzione di atrezzi per diverse ….. che il tutto si rapredò e condussero al nostro sciabecco e dalle due doppo mezzo giorno veddimo passare verso il capo del Lorso una gondola che subito si posimo in caccia ed arrivata retattò essere il patron Francesco Pittaluga procedente di Terranova con carico di formaggio in cantaretti 110 come dal certificato presentatoci fatto dalli ministri patrimoniali di Terranova, ma visto che la detta gondola aveva di più carico ne interogarmo il detto patrone ed il tutto negò, lo trattenessimo con l’altre due a Longonsardo e noi col sciabecco aquantarmo (?) la bordata nel mezzo delle Bocche. 06.07—–07.07 abiamo spedito la nostra galeotta in Bonifacio per provvisione di vino come pure del resto del nostro equipaggio fecimo l’armamento di una gondole di quelle rapredate e la spedirmo all’isola del Laveggio, che a quatt’ore di notte fu a saltata da galeotte bonifacine a canonate e spingardate e moschetteria fu costretta la nostra a prendere caccia gridandole sempre siamo cristiani siamo di guarda costa e quelli sempre più facendo foco sopra nostri e furono costretti a rendersi da quali fu domandato il patrone che comandava detta nostra gondola che montasse sopra la galeotta, che tanto fece, che in un subito fecero sopra a i marinari una salva di moschetteria che per missione divina nessuno restò offeso, color che videro non averli ammassati si fecero tutti montar sopra la galeotta e peggio che assassini furono trattati, chi le percuoteva da una parte chi dall’altra, chi con schiaffi chi con pugni e a bochate di fucile furono tutti posti al remo e condotti in Bonifacio il giorno seguente furono tutti esaminati da quel sig. Commissario e furono il proprio giorno …avendole ritenuto due bandoliere delli soldati ed una pistola con cartatuccie essendo questa una galeotta armata il proprio giorno da bonifacini per venire a prendere i nostri bastimenti in quella ora propria che segue il combatto l’udirmo noi che eramo col ciabecco in Longon Sardo uscirmo subitamente e non ne riuscì per il buio della notte veder nessun bastimento.
08.07 Sempre bordeggiando in quelle boche se vedevamo il nostro bastimento, verso mezzo giorno vidimo passare di terra verso Bonifacio una galeotta con una gondola di poppa quale non ne riuscì esser calma poterla avvicinare, se ne ritornarmo a Longon Sardo ed a ore sei della notte spedirmo la nostra galeotta in cerca della nostra gondola, Giunta che fu in Porto Pozzo trovò due gondole, l’una carica di formaggio e lardo l’altra ???? e rapredata la medema giettata a fondo da bonifacini si condusse l’indomane a Longon Sardo.
E’ gionto la nostra gondola di Bonifacio stata rilasciata come sopra è detto e consegnato il tutto a don Francesco Misor per cantara dugento nove formaggio e libre ventidue, e cantara diciotto e ottantotto libre lardo peso di Cagliari per conto della Intendenza Generale assieme le quattro gondole.
Per quel che riguarda il contrabbando, le isole erano, quindi, pensate quale polo logistico per l’armamento marittimo, che crociando nelle acque delle Bocche avrebbe dovuto intercettare e battere i traffici clandestini. Probabilmente il contrabbando per i maddalenini fu più lucroso quando parteciparono come marinai del re a combatterlo per mare, facendo prede e ricevendone le quote nella loro divisione, piuttosto che quando lo facevano direttamente, per conto dei bonifacini.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma