La Battaglia di La Maddalena
Negli anni dal 1993 al 1995, nelle ricorrenze cinquantenarie delle vicende che portarono alla fine della seconda Guerra Mondiale ed alla definitiva caduta del nazifascismo, vi è stato in tutta Europa un susseguirsi di manifestazioni che al di là della retorica che quasi sempre accompagna le commemorazioni, sono nate dal bisogno di rinverdire e raccogliere il ricordo di quei giorni e non dimenticare quello che è avvenuto perché sia di monito e di insegnamento alle generazioni attuali e a quelle future.
I ricordi di cupo terrore delle vicende belliche e dell’occupazione nazista in Italia, man mano che scompaiono coloro che quei giorni li hanno vissuti, tendono inevitabilmente ad affievolirsi quasi per rimuovere e dimenticare i fatti gravi e atroci che hanno scandito la vita di quegli anni. Tali ricordi, invece, costituiscono un patrimonio che non è lecito disperdere: essi vanno raccolti e rivisitati con puntigliosa assiduità per capire e far capire quanto siano costate, in termini di sacrifici e di vite umane, la libertà e la democrazia. E ciò appare più necessario in un momento in cui ci giungono quotidianamente le immagini di nuove guerre e di nuove atrocità non solo in paesi lontani, ma anche alle porte di casa nostra.
Sugli eventi che portarono all’occupazione di La Maddalena da parte delle truppe tedesche dal 9 al 16 settembre 1943 e che ebbero il loro epilogo con il conferimento a Carlo Avegno della prima Medaglia d’Oro della Guerra di Liberazione, è stato scritto tanto; ma gli enigmi storici da sciogliere sono ancora tanti e ancora irrisolti e, come sempre, vi sono morti celebrati e morti dimenticati.
Scopo di queste note è dunque quello di ricordare, oltre alla figura di Carlo Avegno, l’eroismo certamente non meno fulgido dei Carabinieri, come sempre in prima linea in tutte le vicende della storia d’Italia, che anche in quell’occasione parteciparono attivamente alla battaglia fino all’estremo sacrificio.
Alcuni documenti e le pagine del diario tenuto in quei giorni dal sottotenenete Renato Manca della locale tenenza dei carabinieri, ci hanno dato modi do ricostruire quei momenti.
Il 3 settembre era stato firmato a Cassibile l’armistizio breve e lo stesso giorno l’ammiraglio De Courten, ministro della Marina, era stato convocato da Badoglio insieme agli altri capi di stato maggiore per essere messo al corrente degli avvenimenti. Si pose subito il problema della dislocazione della nostra flotta al momento dell’annuncio dell’armistizio e quella di La Maddalena apparve la base più idonea ad accogliere tante navi. Gli alleati avevano chiesto che le unità italiane fossero dislocate nei porti di Palermo, Augusta, Malta, Tripoli e Gibilterra, ma De Courten, che mirava a salvaguardare la sicurezza delle navi e soprattutto la dignità della flotta, insistette perchè le navi fossero concentrate nell’arcipelago maddalenino ove era imminente l’arrivo degli anglo-americani. A La Maddalena, poi, secondo precise trattative intraprese dal consigliere diplomatico Lanza d’Ajeta con l’ambasciatore inglese a Lisbona il 4 agosto precedente, unitamente alla flotta sarebbe dovuto giungere il Re, con al seguito il Governo, la famiglia reale e il corpo diplomatico. Precedenti contatti intrapresi dall’ammiraglio Aimone, duca d’Aosta, condotti a Ginevra dal Console Alessandro Marieni, avevano già concretato un’intesa secondo la quale “…un principe di casa Savoia doveva costituire in Sardegna un governo libero che avviasse la collaborazione militare con le truppe di stanza nell’isola”. La proposta era stata ribadita dal generale Castellano nelle ultime trattative di Termini Imerese e infine in quelle di Cassibile. Ma gli accordi, non si è mai saputo perchè, non andarono in porto. All’ultimo momento il generale Castellano, in risposta al promemoria del Comando Generale che rinnovava la richiesta di trasferimento delle navi italiane a La Maddalena “…considerando che vi è la possibilità che la flotta si rifiuti all’ordine di dirigersi ai porti avversari”, aveva telegrafato “…esti impossibile da parte Comando alleato aderire desiderata circa la flotta perchè opinione pubblica anglo-americana non accetterebbe alcun compromesso che possa anche opportunamente diminuire la totalità dell’accettazione delle condizioni”, Forse Mussolini dalla sicura Ponza era stato portato a La Maddalena proprio in previsione del contemporaneo arrivo degli alleati, del Re e della flotta per essere consegnato agli americani e poi portato al Gran Sasso quando, fallite le trattative, apparve inevitabile concedere ai tedeschi di evacuare la Sardegna concentrandosi nel nord dell’isola per varcare le Bocche di Bonifacio. L’ammiraglio Bergamini, comandante in capo della flotta, che alzava le sue insegne sulla corazzata Roma, fu comunque fatto partire alla volta della Maddalena ignaro che al suo arrivo avrebbe ricevuto dall’ammiraglio Brivonesi, chiamato il mattino dell’8 settembre, l’ordine di rimettersi in navigazione per consegnare le navi agli alleati nei porti designati.
L’8 settembre venne dato l’annuncio dell’armistizio e per i tedeschi, che avevano deciso di passare nella vicina Corsica, apparve indispensabile occupare La Maddalena. Lo sbarco fu attuato verso mezzogiorno del 9 settembre con alcune motozattere che nascondevano, abilmente mimetizzati, camion carichi di armi e di truppe. Con una azione fulminea, dimostrando di avere perfetta conoscenza della topografia dell’isola e dell’abitato, i tedeschi presero posizione in tutti i punti chiave: occuparono immediatamente il Comando Marina, tenendolo costantemente sotto il controllo delle mitragliatrici posizionate nella piazza antistante, si impadronirono di Guardia Vecchia e neutralizzarono i comandanti circondando il circolo ove quasi tutti gli ufficiali, al termine di una riunione alla quale erano stati convocati da Brivonesi, si erano trattenuti per il pranzo. Sui tetti e agli angoli delle strade furono installate postazioni di mitragliatrici che controllavano l’intero abitato e nel volgere di poche ore dallo sbarco quasi tutti i presidi erano sotto controllo. Soltanto il comandante Vallazzi era riuscito a sfuggire all’accerchiamento del circolo ufficiali e si era diretto a Caprera per organizzare gli uomini nell’isola vicina. Nella casa Susini il tenente colonnello Vittorio Rota e il maggiore Renato Barsotti, ufficiali di collegamento tra esercito e marina, si ponevano al comando delle batterie.
All’atto del blitz, che aveva il duplice scopo di impedire l’arrivo della flotta e di neutralizzare le batterie costiere al fine di consentire il passaggio delle truppe in Corsica attraverso le Bocche di Bonifacio, i carabinieri della tenenza, che si trovava allora a Cala Gavetta nell’antico palazzo Azara, non avendo avuto precisi ordini ed essendo state interrotte tutte le comunicazioni, decisero di attendere gli eventi asserragliandosi in caserma pronti a resistere ed eventualmente a dare battaglia. Il sottotenente Manca così annotava sul suo diario:
“9 settembre, giovedì: Verso le ore 12.30 circa 500 militari tedeschi con azione di sorpresa tentano di impadronirsi della piazzaforte presidiandone i punti più sensibili e disarmando i militari italiani che, isolati o a piccoli gruppi, trovansi fuori caserma. Tra questi il carabiniere richiamato Landoni Pietro e l’aggiunto Mannoni Gavino comandati di pattuglia in città. Il comandante della tenenza Salvatore Genco, interviene subito, e qualificatosi ufficiale della polizia, ottiene l’immediata restituzione delle armi”.
Col rientro in caserma dei due carabinieri rilasciati dai tedeschi mancavano ancora all’appello l’appuntato Salvatore D’Angelo e l’aggiunto Giuseppe Melis che erano stati comandati di pattuglia unitamente ai marinai aggregati Diego Costa e Gesuino Corrias che, come annota il sottotenente Manca, si erano “…ritirati nella vicina carerma del C.R.E.M. schierandosi in difesa del sovrastante fortino ‘Camiciotto’ contro il quale, verso le ore 14.30 i tedeschi aprono il fuoco durato circa un’ora. Due marinai e sette tedeschi cadono nel combattimento. Il fortino è tenuto dai difensori”.
Frattanto l’ammiraglio Bergamini, in navigazione alla volta di La Maddalena, avuta notizia che l’isola era stata occupata, diresse verso il golfo dell’Asinara ove doveva immolarsi al posto di combattimento sulla corazzata Roma che, unitamente agli incrociatori Da Noli e Vivaldi, venne affondata dall’aviazione tedesca che in quell’occasione sperimentò un nuovo tipo di bomba telecomandata. Non sapremo mai perciò quali sarebbero state le reazioni di Bergamini al suo arrivo a La Maddalena ove aveva accettato di dirigersi, anzichè autoaffondare la flotta, nella convinzione che nella piazzaforte isolana avrebbe dovuto mettersi a disposizione del Re e del governo.
Nell’isola, nei tre giorni successivi, la situazione continua a peggiorare. Riviviamola attraverso il diario del sottotenente Manca:
“10 settembre – venerdì: i militari della stazione capoluogo continuano a mantenersi in posizione di difesa della caserma e della piazza antistante; i tedeschi piazzano alcune mitragliatrici”.
“11 settembre – sabato: i militari permangono in stato di difesa della caserma pronti ad ogni evento. Il comandante della tenenza trovasi impossibilitato a comunicare con le stazioni dipendenti per la interruzione di tutte le linee”.
“12 settembre – domenica: la situazione peggiora, …alle ore 16 il comando tedesco fa chiudere il portone d’accesso al comando militare marittimo, mantenendo sotto sequestro l’ammiraglio Brivonesi, il contrammiraglio Bona ed altri ufficiali costretti a rimanere all’interno della palazzina senza comunicazioni. Tale atto accentua fra i militari della piazzaforte il vivo desiderio della rezione. I carabinieri si tengono sempre in caserma pronti a difenderla e, se necessario, partecipare a eventuali combattimenti”.
Lo stesso giorno l’ammiraglio Brivonesi, presso il quale si era recato il colonnello tedesco Almers perchè fossero diramati alle batterie ordini di non reagire e di non ostacolare il transito dei tedeschi, scriveva anche lui sul suo diario:
“Il colonnello Almers…nell’uscire dal Comando Marina ha impartito alcuni ordini in base ai quali io stesso e l’Ammiraglio Bona siamo stati condotti nelle nostre camere sorvegliati da soldati che ci hanno proibito di uscirne; gli altri ufficiali che erano al Comando Marina sono stati bloccati sul posto e sono stati sorvegliati a vista; sono stati invasi completamente gli uffici del Comamdo e l’alloggio Ammiraglio da dove sono stati tolti i telefoni, e di cui è stata presa anche la pianta.
Ho fatto chiamare subito il Colonnello Almers, e dopo avergli chiesto invano la ragione del suo provvedimento, gli ho fatto considerare che la notizia dello inasprimento tanto grave della preesistente limitazione di movimento e di comando dei due Ammiragli e dei loro più diretti collaboratori si sarebbe subito sparsa tra tutto il personale dipendente, ed a avrebbe inevitabilmente prodotto un pericoloso nervosismo, che avrebbe potuto far nascere gravissimi incidenti. E, nelle condizioni in cui mi trovavo, nulla avrei potuto fare per impedirli.
Il Colonnello Tedesco non ha creduto di modificare il suo atteggiamento”.
La battaglia, ormai inevitabile dato lo stato di tensione che si era venuto a creare, si accese il giorno successivo. Si combatteva ovunque, ma erano in gran parte episodi isolati difficili da ricostruire. Molti uomini erano rimasti sbandati e senza comando e le loro iniziative, come quelle dei pochi civili militarizzati rimasti nell’isola dopo lo sfollamento della popolazione, erano personali e senza alcun coordinamento. Gli eventi, descritti in vario modo dai cronisti dell’epoca e dagli storici di oggi, non sempre sono riportati con serenità e rigore storico.
Si è sempre parlato, e ne parla ancora oggi, di tradimenti e di intese soprattutto da parte dell’ammiraglio Brivonesi (“Sposato a una inglese”, commentò Mussolini quando lo vide sul moletto di Padule scendendo dal caccia Pantera che lo aveva condotto alla prigione di villa Webber). E la cosa è stata ripetuta anche in saggi apparsi di recente, nei quali, ad avvalorare l’ipotesi di connivenza col nemico, si rilevano le assenze di Brivonesi in occasione dei bombardamenti e si fanno passare per aerei anglo-americani e subito dopo per inglesi, le fortezze volanti americane che il 10 aprile avevano bombardato La Maddalena e affondato l’incrociatore Trieste. Solo di recente, nell’inedito saggio del 1993 “One bomb will be enough, one bomb was enough” e nel saggio del 1999 “La piazzaforte di latta”, entrambi di Salvatore Sanna, questa “vox populi” viene decisamente disattesa. All’ammiraglio Brivonesi vanno certamente addebitate molte responsabilità, ma non per questo gli si deve attribuire l’etichetta di traditore, e come conclude l’autore, “Se è vero che non tutti e non molti furono eroi, è ancor più vero che non tutti furono traditori, e neppure molti”.
Ancora una volta, dunque, riportiamo gli eventi con le serene e puntuali parole del diario del sottotenente Manca:
“13 settembre – lunedì: alle ore 8.45 circa i tedeschi tentano di impadronirsi di una motozattera. Le batterie della difesa aprono il fuoco. I militari, bloccati nella piazzaforte, già esaperati dalle umiliazioni subite, impugnano le armi e danno battaglia ai tedeschi. La lotta si accende con la partecipazione di tutti i reparti cui si aggiungono i carabinieri al comando del capitano Emilio Marras, capo ufficio della P.M. presso la Regia Marina, del tenente Genco Salvatore, comamdante della tenenza, e dei vari sottufficiali. L’appuntato D’Angelo Alfredo, il carabiniere Gallu Giovanni e l’aggiunto Melis Giuseppe, non potuti rientrare in caserma prendono attiva parte al combattimento coi marinai del C.R.E.M. per la difesa di forte ‘Camiciotto’ dove alla 10 circa l’aggiunto Melis, prima, e il carabiniere Gallu, dopo, cadono gravemente feriti e muoiono con la visione della Patria negli occhi. Alle 13.30 i tedeschi, pressati da ogni parte, chiedono tregua e alle 17.30 l’ammiraglio Brivonesi ordina di cessare le ostilità”.
Nel momento culminante dell’azione Carlo Avegno, lanciato all’attacco alla testa dei suoi uomini, fu colpito a morte; caddero con lui, oltre ai carabinieri, otto marinai e il sottotenente di fanteria Riccardo Veronesi. Poi fu la resa, ma gli ultimi a cadere furono due trombettieri della Marina usciti allo scoperto per suonare il “cessate il fuoco”.
Il colonnello Almers, che pur il giorno prima era stato ammonito da Brivonesi, aveva evidentemente sottovalutato le capacità di reazione delle nostre truppe. La mattina del 13 settembre l’ammiraglio, al quale era stato concesso di scendere nel suo ufficio, si accingeva a scrivere una protesta ufficiale al generale Lungershausen, comandante delle truppe tedesche in Sardegna, quando improvvisamente era scoppiata la battaglia. Ed ecco ciò che scriveva Brivonesi nel suo diario:
“Alle ore 9.30, mentre stavo ancora scrivendo, si è iniziato un intenso cannoneggiamento proveniente da ogni direzione, seguito poco dopo da fuoco di mitragliere e di fucileria che partiva da ogni zona della città.
Qualche minuto dopo il Colonnello Almers è entrato in gran fretta nel mio ufficio, mi ha chiesto che cosa era successo e mi ha pregato di fare il possibile per far cessare questo incidente che rischiava di estendersi e di divenire gravissimo.
Ho fatto leggere al Colonnello Almers la mia protesta, ed ho aggiunto che egli sapeva benissimo che, nell’isolamento in cui ero stato messo fin dal giorno precedente, non ero assolutamente in grado di spiegargli che cosa era successo, e tanto meno poi ero in grado di diramare degli ordini.”
Cedendo alle insistenze di Almers, l’ammiraglio, recatosi a Guardia Vecchia per avere un quadro della situazione e poter diramare degli ordini riuscì ben presto a far tacere la batterie, ma come egli stesso annotava, fu “estremamente difficile frenare l’impeto delle fanterie, le quali si erano sparse per tutta l’Isola ed investivano i tedeschi da ogni parte”. Dopo intense trattative nelle quali era intervenuto il comandante Bondi che aveva posto ad Almers alcune condizioni, fu restituita la libertà di movimento agli ammiragli e agli ufficiali e tolto il presidio tedesco dal Comando Marina.
“Ma la situazione non era ancora del tutto tranquilla – annotava ancora Brivonesi – alla base Navale l’agitazione continuava. Mi sono recato alla Base insieme al Comandante Bondi, ma non è stato possibile ottenere nulla. Gli animi erano estremamente eccitati per la morte del Comandante Avegno, che comandava la Base Navale e aveva ai suoi ordini diretti le compagnie di scaricatori portuali che erano state trasformate in questi ultimi giorni in compagnie di fucilieri. E’ apparso impossibile ottenere in serata il rilascio dei prigionieri e la restituzione delle loro armi. Essendo prossima l’oscurità, ho giudicato opportuno attendere e far continuare l’opera di persuasione l’indomani mattina”.
Il giorno dopo l’opera di convicimento diede i suoi frutti: i prigionieri tedeschi furono liberati e venne iniziato il totale sgombero degli occupanti. Il silenzio cadde sull’isola; i morti italiani erano ventiquattro e sessanta i feriti, quelli tedeschi otto e dieci i feriti. Agli ultimi tedeschi fu concesso di raccogliere i morti e seppellirli nel cimitero. Dopo aver salutato i compagni caduti con le rituali salve di fucile anche loro lasciarono l’isola.
Il 15 settembre Brivonesi annotava:
“Il mattino è ripreso intensamente l’esodo dei tedeschi da La Maddalena. Pure nella mattinata si sono svolti regolarmente i funerali dei caduti italiani e tedeschi della giornata del 13. Sono in totale 8 tedeschi e 24 italiani, fra i quali ultimi due ufficiali.
Per mezzogiorno tutti i militari dell’Esercito tedesco sono partiti, e rimangono solo gli ufficiali di Marina ed il piccolo nucleo che esisteva in precedenza.
Prima del tramonto gli Ufficiali di Marina tedeschi sono venuti a congedarsi e ad annunciare che partiranno subito con tutto il loro personale, essendo ormai ultimato il loro compito. La sera non vi è più un solo tedesco nell’Estuario”.
Qualche giorno dopo, con una lettera del 21 settembre, il II° capo cannoniere Angelo Bocchi del comando Gruppo M21 laconicamente comunicava al comando dell’Arma la morte dei carabinieri Gallu, di Scanu Montiferro, e Melis, di San Vito, e del marinaio aggregato Corrias:
“Relazione circa l’avvenuta morte dei CC.RR. Gallu Giovanni, Melis Giiuseppe e marò Corrias Gesuino in temporanea aggregazione a questo gruppo (forte Camiciotto).
Si attesta che i sonnototati CC.RR. e Marò sono decedutio al loro posto di combattimento assegnatogli dal comandante di questo fortino. Ad eccezione di Gallu Giovanni che decedeva all’ospedale M.R. dopo qualche ora dal suo ricovero. Si fa altresì presente che la morte è stata causata da bombe di mortaio”.
Trovò la morte anche il carabiniere Giovannino Cotza di Muravera, in servizio presso la Base, e rimasero feriti l’appuntato Alfredo D’Angelo ed i marinai aggregati Giuseppe Molteni e Diego Costa. Una relazione del 23 settembre del comando del 250° reggimento costiero, riporta i nomi dei caduti del 391° battaglione: caporal maggiore Vittorio Murgia, di Ardauli (OR); caporale Giovanni Battista Serra, di Aggius (SS); fante Giuseppe Spagnoli, di Rutano (PG); mitragliere Pasquale Sassi, di Val Ganna (VA); mitragliere Giovanni Perotti, di Pernato (NO); fante Giuseppe Emanuele Guyon, di Cimbave (AO). “Essi – dice la relazione – hanno avuto onorata sepoltura a La Maddalena dove si sono svolti i solenni funerali con rito prettamente militare”. Al carabiniere Cotza, caduto mentre cercava di soccorrere il comandante Avegno ferito a morte, fu assegnata la Medaglia di Bronzo alla memoria.
Carlo Avegno riposa oggi, insieme con quei carabinieri caduti al suo fianco, nel sacrario degli Eroi del cimitero di La Maddalena. I suoi familiari, che nel dopoguerra erano venuti nell’isola per traslarne le spoglie nel lontano paese natale, decisero che era quì che doveva rimanere, insieme ai suoi compagni caduti e a quei modesti carabinieri che abbiamo voluto ricordare non come figure di secondo piano, ma come veri protegostisti, ponendo in rilievo come in un momento in cui tutto sembrava dissolversi i carabinieri sono rimasti al loro posto “fedeli” come sempre e pronti a offrire, con istintiva solidarietà, il loro contributo di sangue.
Vedi anche: Settembre 1943 a La Maddalena
LA MOTIVAZIONE DELLA MEDAGLIA D’ORO CARLO AVEGNO
Capitano di Vascello
“Ufficiale superiore di non comune valore, in guerra e in pace aveva sempre sollecitato l’onere degli incarichi più rischiosi e di maggiore responsabilità dando prova, sia a bordo che a terra, di eccezionali virtù militari e professionali, di consapevole audacia e di elevato spirito di abnegazione. ”In occasione di un tentativo di occupazione di una base navale da parte delle truppe tedesche proditoriamente sbarcate, saputo che i Comandanti in carica erano stati posti sotto controllo organizzava con lo slancio che lo aveva sempre distinto, i reparti disponibili per respingere l’avversario, ne prendeva il comando diretto e li conduceva all’azione. “Là dove il combattimento di era acceso più violento, li trascinava all’assalto col suo esempio ed infliggeva all’avversario perdite tali ca costringerlo alla resa. “Colpito da una delle ultime raffiche di mitragliatrice, chiudeva la sua nobile esistenza spesa tutta per la grandezza della Patria”.
La Maddalena, 13 settembre 1943
(D.L. 12 ottobre 1944)