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La gnacchera e il bisso

La “pinna nobilis” a Maddalena meglio conosciuta come “gnacchera“, è il più grande mollusco del Mediterraneo e rischia di scomparire. La Pinna Nobilis può raggiungere gli 80 cm d’altezza e si può trovare a poca profondità sino a 20-40 metri. E’ nata da una piccolissima larva vagante, la pinna si insedia da giovane sul fondale marino (sabbioso) ed inizia a crescere. I giovani hanno una conchiglia fragile, quasi trasparente e ricoperta da escrescenze simili a spine o a scaglie. Gli adulti nascondono, invece, tutta la loro bellezza all’interno che è madreperlaceo, con sfumature grigio-azzurre e rosse-rosate. L’esterno è molto meno appariscente, ma perfettamente mimetizzato con l’ambiente circostante.Il loro nemici principali sono i granchi e le stelle marine. E’ colonizzato da alghe, spugne, vermi, idroidi, antozoi, briozoi, molluschi, che lo ricoprono. Questo bivalve è sedentario e si conficca nel fondo marino, al quale si fissa mediante i filamenti di bisso, con l’estremità appuntita delle valve. Il suo bisso, la sostanza filamentosa con cui il mollusco si fissa sul fondo marino, un tempo era raccolta per trarne tessuti.  A volte si possono trovare anche delle perle (fatto molto raro) che però non valgono nulla. La pinna è abitata anche all’interno da crostacei chiamati “Pontnia-Pinnophylax” o più comunemente “Guardiani delle pinne”. Possono raggiungere i 3-4 cm, sono muniti di chele e vivono sempre in coppia (simbiosi). Vedi anche: Pinna Nobilis – Gnacchera

Il Bisso Marino

“Come capelli di sirene venivano intrecciati e sapientemente lavorati per dar vita nobili e pregiate tessiture…”

Una seta, un filo pregiato che affonda le sue radici fin dai tempi antichi. Si chiama bisso ed è una delle rarità italiane che non tutti conoscono. E’ un vero e proprio filo da tessitura che si ricava dalla più grande conchiglia del Mediterraneo la Pinna nobilis, noto a Maddalena come nacchera o gnacchera. Il bisso marino, si ottiene filando la schiuma-collante che produce in abbondanza il gasteropode, e con appropriati accorgimenti, può essere asportata senza rimuovere la Pinna nobilis dal suo habitat marino.Queste bivalve un tempo erano ricercate per il loro bisso marino, una ciocca di filo finissimo e setoso lungo 10 – 20 cm, che serve per far aderire la propria conchiglia infissa per un terzo della sua lunghezza nel fondo fangoso o renoso del mare. Nell’isola di Maddalena si faceva largo uso delle pinne che al pari degli altri frutti di mare venivano mangiati e soprattutto pescati nei mesi freddi in quanto giudicati di difficile digestione nel periodo estivo. Le donne maddalenine, oltre alla manifattura di reti e di tele filavano comunemente il bisso per la confezione di guanti di lusso che venivano raramente usati nell’isola ma esportati nel continente. L’arte della tessitura e della filatura di fibre uniche e antichissime come il bisso marino fa dire a Domenico Lovisato nella sua “Nota sopra le piccole industrie della Sardegna” pubblicato da Club Alpino Italiano nel 1884 che avrebbe potuto portare notevoli vantaggi economici “al povero paese di Maddalena” dove i tessuti di bisso venivano prodotti in modesta quantità. I pescatori della Maddalena in quel tempo esercitavano la pesca della pinna al solo scopo alimentare e tenevano il bisso in scarsissima considerazione. Tuttavia alcuni manufatti furono esposti nel 1884 all’Esposizione Nazionale Alpina di Torino per interessamento di Giuseppe Fongi, allora Agente a La Maddalena della Società di Navigazione Florio Ribattino. Alla Mostra vennero anche presentati ciuffi di bisso sia naturale che lavato e pettinato e un tubo pieno di perle con una monografia della “nacchera”, opera dello stesso Giuseppe Fongi al quale ci si poteva rivolgere per le eventuali commissioni di manufatti. Oltre a La Maddalena, anche ad Alghero, continuò a sopravvivere fino alla fine dell’ottocento questo tipo di artigianato che trovò nelle imbarcazioni per la pesca del corallo le flotte in grado di rifornire il mercato di “bisso setoso” allora monopolio esclusivo degli italiani. Tuttavia fu la “Bhissus Ichnusa Society” di Londra a riportare nell’uso corrente il tessuto di bisso, già apprezzatissimo nell’antichità tanto da essere riservato per manti reali e per indumenti di culto. Gli abiti del re Salomone erano confezionati in bisso marino ed esiste di questo filato un antico manufatto intarsiato in oro che apparteneva a Filippo il Macedone e che attualmente trova degna collocazione nel museo di Salonicco. L’editore fiorentino Vittorio Alinari nel suo viaggio in Sardegna del 1914 scrive “Ma la lavorazione più curiosa è quella che si fa della Pinna Nobilis, che viene pescata in grande abbondanza nel golfo e la cui appendice terminale (bisso), formata da filamenti setacei, viene, prima, ripulita dalle concrezioni calcaree che vi stanno aderenti, quindi filata e tessuta. Ne deriva una stoffa di bel colore metallico, che si avvicina al rame, con la quale si confezionano sottovesti che, guarnite di bottoni in filigrana d’oro, pure lavorati nel paese e ne Cagliaritano, producono bellissimo effetto. Per ogni sottoveste occorrono almeno 900 code la cui filatura costa, all’incirca, una lira al cento. Questo non può ritenersi un prezzo esagerato perché non può filarsene che un centinaio al giorno essendo il filo delicatissimo e facile da strapparsi”. I pescatori venivano pagati alla giornata affinché si dedicassero alla pesca delle pinne che una volta aperte con un coltello, il ciuffo di bisso veniva asportato assieme al peduncolo al fine di evitare che durante l’esposizione all’aria venissero perduti i filamenti. Gli accordi prevedevano che una volta recuperato il bisso le pinne dovevano essere date ai pescatori per l’alimentazione. Ma la vera novità era la retribuzione dei pescatori con un salario come corrispettivo di manodopera e non come spartizione del pescato. Fu Italo Diana di Sant’Antioco a conservare per tutta la prima metà del Novecento nella tradizione tessile della Sardegna la lavorazione del bisso attraverso la realizzazione di una scuola di tessitura. Le tracce dei manufatti di bisso si perdono dopo la VI Mostra dell’Artigianato e delle Piccole Industrie allestita a Sassari nel 1939 dove la scuola acquisita la notorietà per il tessuto di orbace usato per la confezione della divisa di Benito Mussolini facendo dimenticare che dieci anni prima un pregevole arazzo di bisso e seta locale non fu mai donato all’ allora capo del fascismo. Nella realizzazione di due bisacce tessute per un proprietario di Teulada, nella confezione di un manto per il simulacro di San Francesco di Assisi e di un mantello per la Regina d’Italia. Le oggettive difficoltà di reperimento della materia prima portano a considerare quest’attività di mare oramai perduta per sempre.

Dalla “Relazione sull’Isola di Sardegna” (Italian Edition) del captain William Henry Smyth – 1828: “Gli abitanti sono considerati delle persone vivaci e dei marinai coraggiosi, ma siccome hanno una totale avversione al lavoro sono molto poveri e vivono quasi soltanto di pane e acqua, assistendo tranquillamente allo spettacolo dell’attiva laboriosità dei napoletani, che pescano nelle loro acque le loro aragoste e ne portano via interi carichi. Le grandi quantità di gnacchere nelle tranquille baie di Poglio (Porto Pollo), Liscia, Puzzo (Porto Pozzo) ed Arzachena permetterebbe di dar vita a un facile commercio con la tessitura dei loro filamenti, ma c’è solo una donna che si darà la pena di farne dei guanti; né maschio, né femmina si metterà al lavoro. Durante il suo soggiorno in quest’isola Mr Craig ha fatto del bene a questa gente, persuadendo alcuni fra i più attivi a raccogliere i licheni e i muschi dalle vicine montagne, di cui ogni anno mandava un carico in Scozia; perciò i soldi che spendeva tra di loro sono risultati di straordinaria utilità.”