Le motivazioni della dislocazione a La Maddalena
Nella stessa documentazione raccolta presso l’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare (A.U.S.M.M.), nel titolario “Attacchi alle basi”, si leggono diverse motivazioni della nuova collocazione a La Maddalena degli incrociatori pesanti. In particolare , le troviamo organicamente proposte in un “Messaggio urgentissimo” inviato da Supermarina al Comando Supremo il mattino del 12 aprile, a firma dell’Ammiraglio Riccardi, Capo di Stato Maggiore della Marina. In esso, oltre a presentare le condizioni della base al momento dell’attacco aereo, il massimo responsabile della Regia Marina scriveva: “Dislocazione dei due incrociatori era stata mantenuta 1) per tenerli in posizione di più pronto impiego; 2) per impossibilità di tenerli nelle altre basi del basso Tirreno più frequentemente bersagliate; 3) per essere Spezia e Genova già sature; 4) perchè si contava su minore probabilità di colpire dato ampio diradamento”.
Appare evidente che le motivazioni di cui ai punti 2 e 3 sono oggettivamente ineccepibili, mentre desta perplessità la insistita riproposizione, specie a quei livelli, dell’argomento relativo al diradamento di cui al punto 4. Le analisi degli attacchi aerei dei bombardieri anglo-americani, infatti, avrebbero dovuto già da tempo rimuovere la previsione dell’efficacia di una simile precauzione. Di grande interesse appare, invece, il primo punto, relativo al “pronto impiego”, soprattutto se riferito alla necessità di: “contrastare eventuali azioni di importanti forze navali nemiche contro le coste nazionali”, come si legge in altro documento.
Oltre che nei documenti d’archivio rinvenuti, quest’ultima argomentazione sulla soluzione maddalenina la si può ritrovare, seppur riferita ad altro tipo di contrasto, anche nell’abbondante letteratura sulla Marina nella II Guerra mondiale. Si tratta di una plausibile motivazione operativa, che voleva questa dislocazione quale minaccia sul fianco sinistro della linea di operazione degli Alleati, che si ipotizzava diretta da ponente verso il Canale di Sicilia. Più realisticamente, però, gli analisti rilevano che si trattava di un espediente che doveva far ritenere possibile tale azione nelle previsioni degli anglo-americani, piuttosto che di una reale capacità di operare in tal senso. La nostra Flotta, infatti, fu sempre più bloccata dalla crescente insufficienza dei rifornimenti di carburante e dall’inconsistenza della copertura aerea. Ed anche i nostri due incrociatori furono costretti all’interno dei rispettivi recinti retali in attesa della fatidica uscita, con il resto della Squadra, per lo scontro d’onore con le unità nemiche.
Il bluff, che voleva il Gruppo Gorizia approntato in posizione di minaccia alle operazioni navali Alleate in entrata dallo Stretto di Gibilterra, ebbe evidentemente una certa fortuna, almeno per qualche tempo. La riprova la si può ricavare da quanto si seppe, a guerra conclusa, delle azioni di attacco che gli inglesi portarono alle varie basi navali italiane. Il 18 gennaio 1943, dopo un solo mese dal loro arrivo a La Maddalena, i due incrociatori furono oggetto, infatti, di un piano d’attacco che tento di violare il sistema antinsidioso che li proteggeva. La beffa fu tentata, pur senza successo, dai mezzi d’assalto subacquei che utilizzarono i siluri pilotati Chariots, derivati dagli SLC italiani.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma