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Il relitto della nave romana di Spargi

Il ritrovamento della nave romana presso la secca di Spargi fu un avvenimento straordinario per la nostra città. Mobilitò per molti anni la nostra piccola cittadina. Le ricerche furono effettuate da Gianni Roghi e per la parte scientifica da Nino Lamboglia (cui la città ha intitolato il Museo Navale che si trova nei pressi della panoramica). Forse le cose migliori, tuttavia (e purtroppo), si trovano in case private. Il pezzo è del 1958.

Da alcuni giorni un gruppo di sommozzatori milanesi capeggiati dal dottor Gianni Roghi hanno iniziato i lavori di rilevamento e di riprese fotografiche subacquee della nave romana affondata un secolo a.C. sulla secca di Punta Corsara situata a sud dell’isola di Spargi.
Da alcuni giorni tutte le mattine un vecchio ma elegante peschereccio, il Medusa, parte dal porto di Cala Gavetta con a bordo un gruppo di valorosi giovani che, quotidianamente, quattro per volta, compiono due immersioni per complessive sette ore di lavoro molto spedito, nonostante il tempo non del tutto favorevole, per eseguire il piano fotografico ed il picchettamento della vasta zona dov’è insabbiata la nave e dove sono disseminate un migliaio di anfore romane, e per stendere due grandi reticolati formati da grandi quadrati distinti da numeri e lettere che serviranno per riportare su base scientifica a mezzo di fotografie la vera ubicazione della nave e quelle delle anfore.
È questa la prima volta che viene adoperata questa tecnica di esplorazione per la ricerca scientifica del modo di caricamento della nave, della tecnica delle costruzioni, ecc. ecc. di una nave di circa duemila anni. Nel Mediterraneo si sono fatti altri tentativi di recupero di navi romane: una volta dall’Artiglio, nel 1950, sulla nave di Albenga e due volte sulle coste francesi a Tolone e a Marsiglia da parte dei comandanti Cousteau e Tailliez. Queste operazioni anche se coronate da parziale successo, per il ritrovamento di importante materiale archeologico, non hanno risolto il vero problema delle ricerche: quello scientifico.
Le numerosissime anfore giacenti sulla nave sono di due tipi fondamentali: quella vinaria o italica col collo lungo e slanciato e quello olearia dal collo breve e più panciuta.
Ma oltre a questi due tipi di anfore, altre ne sono state già scoperte unitamente a vasellame e frammenti di varie specie. La qual cosa conferma che la data del naufragio risale intorno al X a.C. al tempo quindi di Mario e Silla.
Il prof. Nino Lamboglia che dirige il Centro Sperimentale di Archeologia sottomarina dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri – che è assistito dalla dottoressa Graziana Grosso e che segue minuto per minuto le fasi delle operazioni a bordo del Medusa – ci ha gentilmente fornito queste informazioni nel corso di una cordiale conversazione nella magnifica hall dell’albergo Excelsior al rientro da una delle sue quotidiane fatiche.
I lavori di recupero che sono finanziati in parte dall’editore Rizzoli e in parte dalla Regione Autonoma della Sardegna sono sotto gli auspici ed il controllo del Ministero dell’Istruzione e della Sovrintendenza delle antichità della Sardegna.
Il gruppo sommozzatori che è costituito da personale culturalmente idoneo e particolarmente preparato, è composto da Renzo Ferrandi, Andrea Pontiroli, Alessandro Pederzini, Giorgio Fontana, Giuseppe Laviano, Idelmiro Callegaro e Duilio Marcante. Guida della spedizione è il signor Salvatore Viggiani di La Maddalena.
Dal dottor Roghi che si è unito successivamente alla nostra conversazione abbiamo inoltre appreso che nel corso dell’ultima immersione è stata accertata l’esistenza della nave che si presume debba essere di notevoli dimensioni e leggermente inclinata. “Sul fondo – ci ha spiegato il dottor Roghi, – si nota ad un tratto un salto verticale e in questo salto hanno inizio le ordinate della nave che sono in ottime condizioni di conservazione. Il legname sembra sia pino ed è chiodato con chiodi di rame. Il relitto si trova ad una profondità di circa 18 metri ed è quindi nelle migliori condizioni per essere recuperato, tanto più che il fondale è sabbioso. Sono state scattate fino ad oggi circa 120 fotografie subacquee oltre a numerose riprese cinematografiche eseguite da due operatori uno dei quali il signor Marino Manunza. La posizione della nave è delimitata da una boa e un gavitello sistemati a cura della Marina Militare che ha messo gentilmente a disposizione della spedizione rimorchiatori, pontoni e magazzini per la conservazione delle anfore recuperate. Nella prossima settimana si inizierà il recupero delle numerosissime anfore. Sarà anche messa in opera una sorbona speciale in plastica che libererà la nave dalla sabbia.”
Siamo comunque certi che l’importante ritrovamento archeologico darà, durante il corso dei lavori, ulteriori sorprese, ciò per il rilevante numero e lo stato di conservazione delle anfore e per l’ottimo stato di conservazione del fasciame scoperto, il quale fa supporre che quello nascosto dalla sabbia sia ancora meglio conservato.
Forse questa volta verrà fatta luce per la prima volta nella storia della tecnica delle costruzioni navali eseguite un secolo a.C. e forse sapremo anche quali strumenti di navigazione erano allora conosciuti e che permettevano ai romani di scorrazzare per il Mediterraneo.

Cronache di un Arcipelago – Pietro Favale – La Maddalena – Ottobre 1989