Co.Ri.S.MaLa Maddalena AnticaPreti maddaleniniRubricheSalvatore CapulaSanta Maria Maddalena faro di fede tra Corsica e Sardegna

Salvatore Capula

Nato a Castelsardo nel 1904, morto a La Maddalena nel 2000.
Don Capula è stato parroco di La Maddalena per sessantaquattro anni: ha conosciuto il fascismo, la guerra con il terribile anno 1943, la trasformazione dello Stato e la conseguente lotta per la forma e la conduzione del suo governo, la nascita di nuove amministrazioni locali caratterizzate da forti antagonismi, la decadenza della piazzaforte militare, il periodo della presenza americana, i primi passi e lo sviluppo del fenomeno turistico con le sue implicazioni. È stato un protagonista della storia isolana, controverso, carismatico, molto amato e molto odiato. In tanti hanno scritto su di lui. Qui si parlerà solo della sua attività parrocchiale dei primi trenta anni vista soprattutto attraverso gli occhi dei vescovi che si sono succeduti durante il suo mandato. Il tempo provvedere a decantare i sentimenti e a studiare la sua complessa figura in modo oggettivo.
Il suo primo serio contatto con La Maddalena è del dicembre 1932. Per tutto quell’anno, nella sua qualità di primo assistente diocesano della gioventù maschile, affidatagli dal vescovo Morera, percorse la diocesi instancabilmente mantenendo Tempio come centro di coordinamento. I viaggi in treno e con mezzi di fortuna lo portarono a Bortigiadas, Bulzi, Nuchis, Sedini, Laerru, Terranova. A volte il rientro diventava impossibile, ma non si perdeva d’animo; annotava il 28 marzo a Bulzi: “perso il treno per rientrare a Tempio, (dormito) nella capanna del sig Multineddu”. Il 15 novembre 1932 veniva nominato segretario dell’Opera Vocazioni e, in tale veste, venne inviato a La Maddalena, il 18 dicembre, a predicare il triduo preparatorio. Fu questo il “primo incontro col movimento giovani maddalenini in crisi per l’allontanamento di don Liccioli“. Riportò di questa visita una forte impressione: La Maddalena era un mondo a parte rispetto agli altri paesi della provincia, un campo di lavoro e di azione difficile e, per questo, intrigante.
Per quasi tutto l’anno successivo fu impegnato nella sua attività di organizzazione e rafforzamento dell’Azione Cattolica diocesana e di promotore delle vocazioni, con un periodo particolarmente intenso nel mese di maggio. Il 6 agosto 1933 fu assegnato come viceparroco a La Maddalena e, dopo la morte di don Vico, fu nominato reggente, con la riconsegna delle temporalità della parrocchia come economo spirituale, e, il 9 giugno 1934, parroco.
Scriveva: “quando arrivai il vescovo mons. Morera aveva fatto (a Vico) una buona presentazione. Mi ospitò per qualche settimana in casa. Con Antonio e la nipote … Poi presi alloggio nella vicina casa Volpe quasi di fronte alla casa parrocchiale“.
Erano arrivate le sorelle Agostina e Anna Maria e la casa in affitto era indispensabile “giacché la canonica era troppo piccola per ospitare tutti e tre. Trovammo un’abitazione vicino alla chiesa un alloggio di pochi metri quadrati… I primi giorni di vita isolana. Quanta fame, quante privazioni e tutte in silenzio e contenti. Non avevamo il necessario e il mio predecessore non poteva rendersene conto per l’età e il nostro riserbo. Abitavamo una casa in pietra e fango priva di ogni conforto a piano terreno con un ingresso, una cucinetta, una camera cieca, un’altra camera, senza bagno, solo un angolo con un marmo bucato… Proprio sotto casa passava un corso d’acqua che, soprattutto d’inverno, scorreva vorticosamente muovendo ciottoli e materiale con tal fracasso da disturbare il sonno”. (Quello che sentivano, rumoroso sotto il pavimento della casa, era un piccolo corso d’acqua, la vadina centrale, che scendeva a levante della chiesa andando a sfociare sotto la banchina commerciale. Ricoperta per quasi tutta la sua lunghezza, la vadina scorre sotterranea e quieta, diventando impetuosa nel periodo delle piogge: nella via Vincenzo Sulis, un tempo piazza S. Erasmo, la si sente bene ancora oggi sotto la strada.)

Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma