Cosa ho trovato (Salvatore Capula)
Appena arrivato don Capula fece una sorta di inventario di quello che aveva “trovato”:
1. chiesa parrocchiale, pavimento di ardesia, pitture (eccetto San Giorgio e San Filippo) sgorbi; statue (eccetto Santa Maria Maddalena, S. Antonio e Croce centrale), nessun valore; altari: eccetto altare maggiore e San Giorgio: di pietra e fango;
2. terreno affittato a Guccini alla vecchia fornace;
3. chiesa di Moneta intestata alle suore di S. Vincenzo con terreno attiguo; messa una volta alla settimana e non sempre;
4. chiesa Due Strade con terreno intestato famiglia Marchioni e in mano ai militari;
5. chiesa Trinità per la quale si consumano molto in divertimenti e corse ippiche e quasi nulla per l’edifìcio. Parte del terreno fu acquistato dall’autorità militare;
6. Isuleddu enfiteusi perpetua alla famiglia Garibaldi. Affittato prima a Collins;
7. Madonnetta.
8. Due croci: una entro chiesa, l’altra vicino a Cala Gavetta in sostituzione di altra logora collocata nel 1332 in occasione delle missioni. Movimenti: GIAC era affidata dopo la scomparsa del don Liccioli Casimiro al don Pietro Maciocco.
GFEra presidente la sig Onorato Ninnuccia.
Vi erano altre pie unioni, quella femminile di Santa Croce, formata da un gruppo di vecchie in permanente discordia; quella delle guardie d’onore sostenuta con molta serietà dalle due sorelle Moriani nubili.
La casa parrocchiale era ” un vecchio rudere” con le due camere a pianterreno completamente separate. Una era abitata dal sacrista Bordignon, uomo semplice e stimato che don Capula così descriveva: “un sacrista modello, Antonio Bordignon, un emigrato veneto veramente timorato di Dio. Conosciuta l’isola in tempo di servizio militare rimase in difficoltà per il lavoro nel suo paese, ma ebbe difficoltà a prendere cittadinanza all’isola e fu per la parrocchia una fortuna. Curava la chiesa come sanno fare i fedeli di quella terra, curava la casa in tutto essendo il parroco solo con una nipote debole di mente e bisognosa di assistenza. Curava la vigna nella periferia orientale dell’isola a metà strada fra la chiesa e frazione Moneta cercando di spremere qualche verdura e qualche grappolo di uva nonostante l’aridità del terreno e la scarsità d’acqua e non conosceva ozio. Si adattava a tutto e si industriava a compensare la sua presenza che largamente compensava. La comunità lo rispettava per la fede, il rispetto al parroco, il servizio ai fedeli; ai famigliari lontani e bisognosi mandava i risparmi e il pane di grano duro non consumato biscottandolo al forno. I parenti lontani misero a profitto questi (… ) e fecero fortuna. Morto il parroco e rientrato al paese lo dimenticarono. Rientrò in parrocchia per riprendere ma non poteva rendere i servigi e rientrò nel suo paese dove morì. Tristezza dell’ingratitudine”.
La chiesa: “Esternamente decente”, ma, ai lati dell’orologio “un groviglio di tubi di zinco per la raccolta delle acque”. All’interno: ” Un tetto blu ben conservato nella navata centrale ma assai difettoso nelle cappelle. Pavimentazione con lastre di ardesia esagonali, in tre lati di esse vi erano collocate mattonelle di marmo bianco da 20 cent. Molti buchi ovunque per il lungo uso e di difficile pulitura. All’ingresso a sinistra, in uno strettissimo spazio appena praticabile, recintato da una modesta balaustrata in comune marmo era collocato il battistero (altrove lo definisce gruppo marmoreo di grande effetto ) che comprendeva una vasca in marmo tipo acquasantiera a forma di conchiglia di 80 centimetri, all’interno divisa in due vaschette, sostenuta da una colonnina di marmo e un basamento quadrato esternamente intarsiato. Era sormontato da un castelletto pentagonale in legno a due ante alto circa 60 cm a tre facciate che si rastremava man mano, (sopra una piccola croce al latterino (?). Era chiuso da una balaustrata in marmo non comoda. Vi erano 8 cappelle, 4 per parte. In quella di S. Antonio altare …atre gradini costruito in pietra comune e fango. Due confessionali: quello più grande, riservato al parroco, di discreta fattura regalato dal sacrista Antonio Bordignon nel 50° di sacerdozio del parroco. Le cappelle di sinistra: la prima dedicata all’Addolorata con una comune statua in gesso, la seconda a S. Filippo con un bel quadro d’autore non sempre sufficientemente lodato, la terza alla Madonna di Pompei con quadro, Madonna assunta in vetrina, S. Salvatore d’Orta; la quarta a S. Erasmo, in gesso di fattura goffa, non bella. A destra: la prima a S. Antonio, con bella statua; la seconda alla Madonna del Carmine, la terza le anime purganti, quadro non bello; la quarta S. Giorgio con grande quadro in tela. Altari di pietra comune e fango mascherati con pitture a olio. Sulla mensa solo la pietra sacra in ardesia; balaustrate alcune in bel marmo altre in marmo di poco pregio. Solo l’altare di S. Giorgio era tutto in marmo, benché il pannello antistante fosse sgretolato sugli intarsi. Tutte le sette cappelle avevano un gradino per accedervi e una balaustrata qualcuna in buon marmo, le più in marmo di poco pregio. La sola cappella di S Giorgio era alla pari col pavimento senza gradino. Il tutto dono del Barone Giorgio Des Geneys…. Vi era un bel pulpito in marmo, tra l’ultima cappella e la penultima. Vi si accedeva scomodamente da una scala praticata nel pilastro che le divideva tutt’e due. Su un piccolo basamento in marmo che persino sembra non adatto, poggiava una bella colonna scanalata sulla quale poggiava una conchiglia pure scanalata e di effetto, attorno ad essa correvano 5 pareti sempre in marmo intarsiato di giallino (?)”.
Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma