Solinas e Pirro, soggettisti senza firma
La storia di questa filmografia irrealizzata, comincia nei primissimi anni .50, quando Ugo Pirro e Franco Solinas decisero di disertare il lavoro in serie che offrivano loro i vari Amidei, Steno e Monicelli che, per quanto generosamente, finivano per essere maestri di eterni “non sceneggiatori” i cui nomi venivano costantemente messi da parte. Franco Solinas aveva già firmato Persiane chiuse di Luigi Comencini (1950), mentre Pirro era prossimo a collaborare con Carlo Carlo Lizzani ad Achtung! Banditi! (1951). Oltre ad Amidei, in quel periodo un po. il centro del cinema italiano, e più di Steno, il loro vero e proprio riferimento e maestro comune fu Mario Monicelli, uno dei pochi a conoscere, lo racconta Pirro, veramente bene la storia dei loro “soggetti mancati” e per il quale i due, come ricordato, lavoravano nella bottega di sceneggiatura, producendo idee, o semplici bozze da vendere velocemente alle case di produzione, battute o scene da inserire in copioni già fatti. A far conoscere i giovani Pirro e Solinas non sarà però Monicelli, ma bensì, lo ricorda lo stesso Pirro, Gino Mordini, sardo maddalenino come Solinas, appassionato di cinema o meglio, per usare le parole di Pirro, “travolto dal cinema mentre insegnava matematica a Vercelli”66 e deciso a diventare produttore cinematografico nonostante la mancanza di fondi ed esperienza. Sotto la forza della reciproca attrazione intellettuale, del gusto per “l’azzardo” e col pretesto di un soggetto sul matrimonio, argomento del quale Pirro si proclamava grande conoscitore a causa del suo recente divorzio, la coppia Solinas-Pirro iniziava questa sgangherata avventura, votata all’insuccesso. I due, è sempre Pirro a ricordarlo, cominciarono a vedersi ogni giorno o in una camera in sub-affitto in via Sallustiana o nella casa materna di Solinas in via Labicana. Accanto al gusto per certe tematiche proibite giocate in chiave leggera, Solinas rivela fin da subito la consistenza e la fiducia in quel suo metodo di lavoro, tanto rimpianto e citato da colleghi sceneggiatori e registi, al momento della sua prematura scomparsa. Il lavoro di creazione seguiva un itinerario fisso, sostenuto fermamente da Solinas con l’accordo, non sempre troppo convinto, di Ugo Pirro, più legato all’estemporaneità di un’idea illuminante, alla luce improvvisa della trovata: il primo passo di questo metodo consisteva nella fissazione del tema, spesso sostenuto da un abbondante periodo di ricerca e raccolta di informazioni; si arrivava poi alla costruzione della scaletta, compilata con precisione matematica per giungere infine ad un soggetto di cui ciascuno dei due scriveva una parte da solo, ma che in Solinas si organizzava poi in una precisa forma letteraria, altra caratteristica dello sceneggiare dell’autore maddalenino, da presentare al produttore di turno.
Sottomessi alle circostanze e alla necessità di imparare, i due accettano di sviluppare idee proposte da fantomatici produttori senza troppe credenziali, come Mordini, lasciandosi spesso abbindolare ingenuamente, rubare idee in cambio di qualche lira a cui non potevano rinunciare. Il soggetto sul matrimonio con il quale Franco Solinas e Ugo Pirro iniziano il loro sodalizio si intitolava Marcia Nuziale ed era composto di sei episodi. La storia, scritta per i registi Sergio Grieco e Gianni Puccini che nel comprarlo vollero eliminare gli autori dalla sceneggiatura, finì a sua volta nelle mani del produttore Forges-Davanzati che fece a meno dei due registi per offrirlo a Luchino Visconti il quale alla fine non ne fece comunque un film ma lo riscrisse insieme a Suso Cecchi D’Amico. Il soggetto venne dunque pubblicato, ormai riscritto e rivisitato, sulla rivista “Cinema Nuovo” (maggio-giugno 1953), senza che né Solinas né Pirro fossero citati, accanto ai nomi illustri di Visconti e della Cecchi D’amico.
Il secondo progetto nel quale i due sceneggiatori furono coinvolti da Mordini, al pari di Gianni Puccini, fu un soggetto sulla storia dell’anarchico Michele Schirru (fervente antifascista emigrato a New York e, una volta rientrato in Italia, condannato a morte con l.accusa di aver avuto l’intenzione di attentare alla vita di Mussolini). Solinas e Pirro scrivono il soggetto, una volta ricevute le adeguate assicurazioni che il film sarebbe stato finanziato dal fratello stesso di Schirru. Ma dopo varie, grottesche, vicissitudini, il progetto tramonta, sostanzialmente per mancanza di fondi. Un altro soggetto scritto dalla coppia Pirro-Solinas fu Sesso, storia decisamente scabrosa, ambientata in carcere, che venne venduta alla Colonna Film, casa di produzione fondata da Sergio Amidei. Lo sceneggiatore fece in seguito leggere il lavoro al regista Carlo Ludovico Bragaglia il quale ne acquistò i diritti in società con lo stesso Amidei. Il lavoro fruttò ai due un buon anticipo che li convinse a mettersi immediatamente all’opera nello sviluppo della storia. Il film, in origine, doveva essere diretto dal regista statunitense Jules Dassin che però, vittima del maccartismo, i cui echi si fecero sentire anche in Italia, fu estromesso dal progetto il quale al fine non vide mai la luce. Altro suggestivo lavoro sulla falsariga di Sesso, almeno per le tematiche in esso trattate, è Il peccato originale. Il soggetto raccontava i travagli amorosi di un seminarista e fu venduto al produttore Dino De Laurentis per un possibile progetto che avrebbe dovuto coinvolgere anche Monicelli. Tuttavia, la vicenda di un giovane seminarista che scopre il sesso durante una vacanza al mare in occasione delle nozze della sorella, la storia di un peccato rivissuto poi attraverso i turbamenti del rimorso e la necessità di una confessione, non dovevano sembrare troppo opportune nell’Italia di quegli anni (paradossalmente, dieci anni dopo, la storia avrebbe trovato senza problemi decine di acquirenti). Non se ne fece nulla ma resta tuttavia ben più di un’ipotesi quella di Gianni Olla secondo il quale il soggetto de Il peccato originale si possa annoverare tra le eterogenee fonti del film Proibito, diretto nel 1954 da Mario Monicelli (spunto di partenza del film fu certamente il romanzo La madre di Grazia Deledda). Proprio con Monicelli e Sonego, Solinas e Pirro scrissero in seguito una sceneggiatura dal titolo Uomini e dei, anch’essa destinata a non diventare mai un film, e della quale si sa ben poco. Un altro soggetto, scritto a più mani con Amidei, Antonio Ghirelli e l’ex calciatore Adriano Zecca, fu Gli eroi della domenica. La storia, ambientata nel mondo del calcio, narra di un “talent scout” di una grande squadra, interessato ad un giovane e promettente attaccante, al quale prospetta di trasferirsi in città e far parte di una squadra in lotta per lo scudetto. Il giovane naturalmente accetta, ritrovandosi catapultato in una realtà totalmente nuova e straniante. Vittorie, lusso, belle donne e corruzione vanno di pari passo, mettendo in difficoltà il talentuoso ma ingenuo calciatore. Tuttavia, grazie all’aiuto di alcuni suoi compagni di squadra più anziani, il ragazzo rifiuta le proposte di corruzione, proseguendo nella sua promettente carriera. Il soggetto fu acquistato da Mario Camerini che acconsenti ad avere sia Solinas che Pirro tra gli sceneggiatori ma, ricorda Pirro, senza troppa convinzione. Resta il fatto che nel 1952 uscì il film di Mario Camerini, senza che Pirro e Solinas fossero menzionati nei titoli. A questi tentativi della coppia, se ne aggiungono altri: Addio sogni di gloria fu, per esempio, un progetto che morì nel momento in cui Mario Bonnard, che doveva essere il regista del futuro progetto, convocò i due soggettisti, per sottoporli ad un vero e proprio esame di sceneggiatura prima di affidare loro il progetto. Mambo sarebbe invece un lavoro che i due scrissero per Silvana Mangano, la vicenda di questo soggetto è legata al ricordo di Pirro che racconta di una storia ambientata in una di quelle balere mobili che, in quegli anni, percorrevano il Po, fermandosi di paese in paese, in una costante altalena di festa e abbandono. Robert Rossen realizzò effettivamente un film dal titolo Mambo (1954) che, scritto dallo stesso regista con De Concini, Perilli e Piovene, risultava totalmente diverso dal soggetto di Pirro e Solinas.
Apprezzabili attraverso l’archivio del Fondo Franco Solinas sono Maglia rosa. I forzati della strada e Partorirai con dolore. Maglia rosa. I forzati della strada, ugualmente a Gli eroi della domenica, è di argomento sportivo e racconta la storia del ciclista dilettante Serafino Cecchi, il quale […] non aveva mai sognato di diventare corridore ciclista; gli sarebbe piaciuto soltanto divenire capomastro ma per il momento era un muratore addetto al trasporto dei cofani in calce.
Trovatosi, per caso ma anche grazie a grandi qualità fisiche, a far parte, come gregario, di una squadra ciclistica in gara al giro d’Italia, col suo talento oscura il campione e vincitore designato della corsa. Il racconto oppone la semplicità di Serafino e del suo seguito, fatto di amici, compagni di lavoro, parenti e l’amata Maria, al calcolo cinico e spietato proprio dei rappresentanti dello sport professionistico, sottolineato direttamente nel soggetto:
E lo sport? Ma che c’entra lo sport! Si trattava di milioni, milioni da assicurare agli assi, alle industrie delle biciclette, etc.
Interessi economici e corporativi costringeranno insomma Serafino, che scopre che anche i campioni sono battibili e decide di non essere più gregario e andare a vincere per suo conto, al dietro-front. Vero cavaliere, dagli accenti chisciotteschi, in una pista trasformata in itinerario picaresco e microcosmo rappresentate l’intera società, Serafino è l’eroe di contadini e gregari della vita che tenta, non riuscendovi se non moralmente, di prendersi la rivincita contro il luccicante mondo dei campioni, degli sponsor, dei ricchi. Serafino riesce a vincere la gara, ma il beffardo regolamento lo estromette dalla competizione, poiché non possiede una bicicletta regolamentare, ovvero sponsorizzata:
Non bisogna permettere che si crei un “precedente”. Non si può permettere che un ciclista qualunque vinca su di una bicicletta qualunque i Giro d’Italia! Dove finirebbero le grandi case industriali? Cosa accadrebbe dei loro interessi? E i giornali come potrebbero più scrivere: “La Maglia Rosa ha corso su bicicletta X. Usa il cambio Y, i tubolari Z”? No, non può essere, non deve essere. E il regolamento parla chiaro.
Nel soggetto, il melodramma si fonde alla comicità popolare, rendendo un’immagine ingenua e buonista delle popolazioni rurali, da contrapporre alla spietatezza e al calcolo del ciclismo professionistico e delle industrie che hanno interessi economici nelle gare ciclistiche.
Partorirai con dolore ulteriore e decisamente melodrammatico soggetto del duo Solinas-Pirro, racconta invece il dramma di Isabella, una donna che, nel disperato tentativo di avere un bambino, arriverà a perdere prima il marito, poi la ragione, in una escalation di follia che la precipita nel baratro. Isabella è sposata con Mario, il quale aspetta un figlio da Renata, con la quale ha una relazione extraconiugale. La protagonista tenta in ogni modo di avere un bambino, ma non vi riesce, è sterile e questo le crea una forte frustrazione. La delusione si tramuta presto in follia nel momento in cui Isabella decide di rapire il figlio nato dalla relazione extraconiugale del marito. L’ipocrisia borghese sta alla base del soggetto: se per Isabella è una umiliazione insopportabile il fatto non riuscire ad avere un figlio pur essendo sposata, per Renata, il fatto di essere in cinta e non ancora accasata, rappresenta lo scandalo e la vergogna. Tra le due donne, c’è appunto Mario, che lasciata Isabella, accoglie con entusiasmo la gravidanza di Renata (ignorando i timori della donna). L’epilogo della storia è paradossale: Isabella scoprirà per caso, secondo uno schema ben rodato da commedia degli equivoci, della gravidanza di Renata e presa da un raptus di follia, deciderà di rapirne il bambino. Ancor più paradossale è il gesto che Isabella compie subito dopo il rapimento: si precipita all’anagrafe per registrare il bambino a suo nome. Non la realtà dunque, ma il riconoscimento sociale, sta alla base delle frustrazioni di Isabella. Ecco che l’agitazione della donna si placa, con in braccio il bambino e in mano il documento dell’anagrafe la donna sembra trovare pace, precipitando completamente nella follia. La critica spietata alle convenzioni è espressa nelle ultime righe del soggetto, quando si descrive Isabella che, appagata, sembra addormentarsi: Povera donna inutile, Isabella non ha trovato nessun altra ragione valida se non quella di essere madre. E poiché non è riuscita a divenirlo, si è inventata tale. La sua contorta fantasia ora ha trovato pace.
L’inventore del Vesuvio è invece un intrigo comico-sentimental-folcloristico che sembra scritto apposta per Totò, ambientato in un paese della cinta vesuviana con toni quasi da avanspettacolo, mentre il progetto di Squadra buon costume, non arrivò neppure a diventare un soggetto e si caratterizza per una forte dipendenza dai codici del cinema americano di genere. E resta ancora un soggetto, rimasto nel limbo delle idee mai realizzate, si tratta di Le ragazze dell’opera che doveva avere come regista Carlo Ludovico Bragaglia. Secondo la testimonianza di Pirro, sarà lo stesso Bragaglia a non voler lavorare con i due giovani sceneggiatori, dopo averli ritenuti non sufficientemente competenti in seguito ad una sorta di test di sceneggiatura. Resta infine da citare la collaborazione non firmata a Cinque poveri in automobile di Mattoli del 1952 e a Cavalleria rusticana di Carmine Gallone un anno più tardi.
Molti dei soggetti dall’incerta datazione, scritti a quattro mani col sodale Pirro, saranno destinati a restare per sempre nel cassetto. Dovevano essere dei soggetti “alimentari”, servivano per imparare l’artigianalità, il metodo del mestiere che avevano scelto, così come per guadagnarsi da vivere e inserirsi nell’intricato e mobile mondo del cinema di quegli anni. Eppure, scorrendo le trame e i temi, nonostante la leggerezza del genere e la semplicità della scrittura (sembra di rileggere il Solinas dei racconti) e degli intrecci, questi soggetti rivelano già una volontà di critica sociale e una ferocia nel perseguire disparità e ingiustizie che entrambi manifesteranno a modo loro, vinto il blocco dei primi insuccessi. La coppia di sceneggiatori era dunque destinata a dividersi. I due prenderanno le proprie differenti strade, offrendo, come sappiamo, un notevole contributo alla storia del cinema italiano a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta.
Gianni Tetti