Il battesimo del tricolore
Articolo dello scrittore Antonio Ciotta
Il Tricolore italiano sventola sul mare sul mare dal 1848. A tenerlo a battesimo furono due sardi: il maddalenino Giovan Battista Millelire, (nel ritratto) figlio di Agostino e nipote del glorioso Domenico e il cagliaritano Giorgio Mameli, padre del patriota Goffredo.
Secondo alcune testimonianze la bandiera navale tricolore fu issata per la prima volta nel porto di Genova il 22 aprile 1848, ma le prime unità a portare in navigazione il vessillo verde, bianco e rosso furono quelle della prima divisione della Marina Sarda salpate da Genova alla volta di Venezia il 30 aprile successivo. La squadra, comandata dal contrammiraglio conte Giuseppe Albini, padre del maddalenino Giovan Battista, futuro ammiraglio e Medaglia d’Oro, anch’egli imbarcato agli ordini del genitore, era così composta:
– Fregata “San Michele”, da 50 cannoni, comandata da Giovan Battista Millelire;
– Fregata “Des Geneys”, da 44 cannoni, comandata da Giorgio Mameli;
– Fregata “Beroldo”, da 44 cannoni, comandata da Villarey;
– Brigantino “Daino”, da 12 cannoni, comandato da Carlo Pellion di Persano;
– Goletta “Staffetta” da 10 cannoni, comandata da Lenchantain.
Qualche giorno dopo salpò da Genova con la nuova bandiera anche la seconda squadra navale composta dalle corvette Aquila e Aurora e dalle fregate Tripoli e Malfatano.
Era l’alba del Risorgimento, i destini dell’Italia stavano maturando ed era necessario dare agli italiani un nuovo vessillo che simboleggiasse l’auspicata unità nazionale. Milano era insorta contro gli austriaci di Radetsky ed il re di Sardegna, dopo la sue tante titubanze, aveva ceduto agli insistenti suggerimenti di Cavour accettando il Tricolore e varcando il Ticino.
Alla mezzanotte del 23 marzo 1848, al termine dello storico consiglio dei ministri durante il quale fu deliberata la guerra all’Austria, Carlo Alberto, affacciatosi ad un balcone della galleria delle armi del palazzo reale di Torino, tenne il famoso discorso preparato da Federico Scolopia, dicendo, tra l’altro: “…per meglio mostrare con segni esteriori il sentimento dell’unità italiana, vogliamo che le Nostre truppe, entrando nei territori della Lombardia e della Venezia, portino lo scudo di Savoia sovrapposto alla bandiera tricolore italiana”. Al termine del discorso, il sovrano, tra le acclamazioni del popolo, sventolò una fascia verde, bianca e rossa.
Il 25 marzo il ministro della guerra, con un dispaccio diretto ai governi di Novara e di Alessandria ed al comandante dei carabinieri reali di Torino, comunicava ufficialmente l’adozione del Tricolore inviando anche un modello della nuova bandiera. Nei giorni seguenti analoga comunicazione fu fatta a tutti i comandi di terra, ma sul momento ci si dimenticò della Marina.
Due giorni dopo, il 27 marzo, il presidente del consiglio dei ministri Cesare Balbo, informava il comandante generale della Regia Marina in Genova che le navi da guerra, pur continuando ad inalberare la bandiera azzurra della Marina Sarda dovevano, “…incontrando legni da guerra con bandiera austriaca, …innalzare all’albero di maestra la bandiera tricolore italiana, lasciando pur inalberata la Nazionale azzurra al suo solito posto a poppa, e non si dovrà passare ad atti ostili se non dopo essere stati provocati e, – proseguiva il messaggio – incontrando bastimenti mercantili con bandiera austriaca, i Comandandi de’ nostri legni alzeranno bensì la bandiera tricolore italiana qual segno d’unione di tutti gli italiani, ma li lasceranno liberamente navigare”.
Soltanto l’11 aprile, con un definitivo provvedimento emesso da Carlo Alberto dal suo quartier generale di Volta Mantovana, fu stabilita l’adozione del Tricolore per tutte le navi. “Volendo che la stessa bandiera – dice il decreto – che qual simbolo dell’unione italiana sventola sulle schiere da Noi guidate a liberare il sacro suolo d’Italia sia inalberata sulle Nostre Navi da Guerra e su quelle della Marina mercantile, qual bandiera nazionale, la bandiera tricolore italiana (verde, bianco e rosso) con lo scudo di Savoia al centro. Lo scudo sarà sormontato da una corona per le Navi da Guerra”.
Sei giorni dopo, la segreteria di stato di guerra e marina comunicava il decreto al comandante generale interinale della Real Marina in Genova e lo stesso dispaccio veniva quindi inviato il 18 al capitano di porto di Genova, il 19 ai comandanti del 2° e del 3° dipartimento delle isole di La Maddalena e Capraia, il 20 al contrammiraglio comandante la squadra ed ai comandanti delle navi Eridano, Colombo, Coraggiosa, Forte e Tripoli.
Le cose furono però fatte molto affrettatamente e non essendo state precisate nel decreto le precise caratteristiche del nuovo vessillo, ognuno si fece da sé il Tricolore con la conseguenza che le bandiere risultarono di foggia diversa particolarmente per quanto riguardava il bordo azzurro intorno allo scudo. Non pochi furono i disguidi e i numerosi incidenti anche di carattere diplomatico ai quali si pose rimedio solo il 25 marzo 1860 (ben 12 anni dopo) con un decreto che fissava finalmente le dimensioni della bandiera italiana.
Avvenne anche che, mentre le navi adottarono subito la bandiera tricolore anche per la marina mercantile, i reparti di marina a terra e quelli delle difese costiere l’ebbero molti mesi dopo; gli stessi forti di Genova, essendo mancata la stoffa verde, poterono issare la nuova bandiera solo nel novembre del 1848.
In Sardegna le cose non andarono diversamente: le navi adottarono subito la nuova bandiera mentre tutti gli altri organismi civili e militari di terra l’ebbero con molto ritardo. D’altro canto i sardi, vivendo lontani dal clima risorgimentale degli stati continentali e subendone solo gli effetti negativi, non avevano accolto il nuovo simbolo con molto entusiasmo.
Nell’Isola erano tempi di malumori e talvolta di tumulti; nel febbraio del 1948 Carlo Alberto aveva concesso la tanto sospirata Costituzione e il 4 marzo dello stesso anno era stato proclamato lo Statuto che dava avvio all’unificazione legislativa con gli stati di terraferma con conseguente abolizione delle cariche del viceré e del governatore di Sassari.
Tutta l’Isola, come riferisce il Costa, aveva esultato e il consiglio civico di Sassari aveva diretto al sovrano una lunga lettera di ringraziamento. Ma ben presto ci si rese conto che la nuova legislazione, pur se aveva creato quella che venne definita la “fusione perfetta” fra la Sardegna-Isola e gli stati sardi continentali aveva fatto perdere agli isolani molti dei privilegi che fino ad allora erano derivati da quella sorta di “autonomia formale” fino a quel momento retta, fra alterne vicende, dall’autorità viceregia e dal Ministro per gli affari della Sardegna.
Questa sia pur formale “autonomia” era tutto sommato una prerogativa che in ogni caso consentiva di avere un interlocutore vicino, e non nella lontana Torino, e una capitale, sia pure di serie B, a Cagliari. Sopravvenero subito nuovi aggravi (e non solo fiscali) per sostenere una guerra alla quale i sardi si sentivano totalmente estranei ed alla quale erano ora costretti a partecipare. Difatti, mentre la chiamata alla leva, introdotta nel 1908 era limitata al solo servizio interno, le nuove leggi comportavano ora la partenza dei giovani per i campi di battaglia continentali e quindi la perdita di valide braccia per le attività agricole e pastorali. La conseguenza più immediata fu l’alta percentuale di renitenti che, datisi alla macchia, andarono ad ingrossare le fila del banditismo e del brigantaggio.
A La Maddalena, i cui abitanti erano avvezzi al servizio militare, del quale avevano anzi fatto mestiere, non si registrarono certamente casi di renitenza, ma numerosi furono gli episodi di intolleranza provocati in particolare dalle etnie sarde e di altri stati contientali presenti nell’isola. Di uno di questi episodi fu protagonista nel porto di La Maddalena Tomaso Zonza, forse nipote dell’omonimo eroe della battaglia di capo Malfatano.
I fatti, avvenuti il 24 luglio del 1848 (tre mesi dopo l’adozione del Tricolore), sono così descritti in una deposizione resa dal commerciante maddalenino Pasquale Polverini: “Il negoziante Pasquale Polverini di quest’isola, la sera del 24 cadente luglio, mentre procedeva da Siniscola a bordo della barchetta denominata S.Salvatore, padroneggiata dal padrone mercantile Tomaso Zonza, pure di quest’Isola, bordeggiando col vento di ponente sotto il forte denominato St.Agostino in quest’isola, nel rione Mangiavolpe, il prenomato padrone inalberò la Bandiera Nazionale, ed il marinaio dell’equipaggio Ignazio Casella, pure di questa, in segno di esultanza per aver toccato il Patrio Porto gridava: “Viva l’Italia, Viva Carlo Alberto”.
Senza precedenza di rissa né di parole il suo compatrizio Domenico Sabbatini, che trovavasi sull’orlo del mare a bordo di una barchetta, si è spogliato nello stesso atto della veste mostrando il tergo e dopo aver gridato “Abbasso l’Italia e Viva il Vino di Sorso”, tenendo la faccia fissa alla barchetta lo ha sfidato a portarsi a terra”.
Dal canto suo il Sabbatini, successivamente interrogato sull’episodio, forniva questa versione dei fatti: “Trovandomi io su una barchetta da me padroneggiata e che faceva ritorno dai mari di Arzachena verso le ore cinque, approdò pure in quell’atto e nello stesso porto altra barchetta padroneggiata da Tommaso Zonza, componendo il di lui equipaggio o di passaggio fosse Pasquale Polverini di questa Isola, il quale innalzando su di essa la Bandiera Italiana, gridava ”Viva l’Italia” …e pertanto esso Pasquale a far suonare con strepitose grida quel viva, pur le degenerava ripetutamente dicendo ”fuori li spioni”, per il qual proposito scagliava contro di me la taccia di spione a vista di un pubblico”.
La cosa non finì lì: non appena sbarcati, i due contendenti, spalleggiati da tanti altri delle rispettive fazioni, diedero vita ad una accesa gazzarra, protrattasi fino a tarda sera, con inseguimenti e pestaggi per tutti i carruggi di La Maddalena. In pratica (è proprio il caso di dirlo) successe un quarantotto! Non pochi furono quelli che dovettero ricorrere alle cure del medico ed essendo intervenuti i carabinieri la cosa sfociò in una lunga vicenda giudiziaria.
L’adozione del Tricolore in Sardegna, come inevitabilmente avviene in occasione di ogni mutamento politico, fu motivo di giubilo, ma anche di dissapori e di disordini; ognuno manifestò a suo modo il proprio entusiasmo o il proprio malcontento e il Sabbatini, come abbiamo visto, lo fece in maniera tanto singolare quanto colorita.
L’episodio, apparentemente marginale e che in altri tempi sarebbe stato visto come una delle solite futili risse locali, dato il particolare clima in cui avvenne, assume invece indubbio valore storico e la sua rievocazione ci ha dato modo di ricordare che ai maddalenini spetta comunque un primato: quello di essere stati i primi a inalberare il Tricolore sul mare.