CronologiaMilleottocento

Correva l’anno 1861

Gli abitanti di Bonifacio sono 3453, quelli di La Maddalena sono 1721.

La popolazione dell’arcipelago, caratterizzata, già dalla fine del Settecento, come già detto, dalla presenza di famiglie corse, si mescolò, soprattutto nel corso della prima metà dell’Ottocento, sia con elementi sardi, provenienti inizialmente dalla Gallura, sia con flussi, a forte vocazione marinara, provenienti da altre aree geografiche dell’Italia ma, soprattutto, dalle realtà insulari della Campania, del Lazio e della Liguria, ovvero di Capraia. La vocazione marinara della popolazione dell’arcipelago di La Maddalena favorì e rafforzò i legami e i contatti con la città e il porto di Genova dal quale partivano le navi dirette in America Latina. La città ligure, inoltre, era un luogo politicamente vivace, dove operavano numerosi mazziniani, la cui attività di propaganda repubblicana è probabile che abbia esercitato la sua influenza anche su alcuni marinai della Sardegna e di La Maddalena che avevano costanti rapporti con la città.

L’apporto degli italiani delle piccole isole della Campania, del Lazio e della Liguria alla popolazione di La Maddalena dalla fine del XVII secolo al 1861:

  • Capraia – 68
  • Ischia – 4
  • Procida – 10
  • Ponza – 34

Entra in funzione il faro di Capo Ferro.

La Scuola maschile di Santa Teresa è retta da don Tomaso Tamponi, che tiene un corso diurno e uno serale per gli adulti. Gli abitanti sono 1481.

Prima dell’Unità i collegamenti marittimi con il Continente erano assicurati, nella provincia di Sassari, da tre viaggi mensili tra Porto Torres e Genova. Con la convenzione del 1861 la frequenza diviene bisettimanale, con scali a Livorno, Bastia e La Maddalena, e si arriva all’istituzione di una nuova linea che partendo da Cagliari toccherà i porti della costa orientale, dapprima fino a La Maddalena e poi a Porto Torres. In base a tale convenzione la compagnia Rubattino & C. è costretta a utilizzare piroscafi più moderni. Con la nuova convenzione tra lo Stato e Società Rubattino (che era riuscito nel 1851 ad avere l’autorizzazione a collegare Genova con la Sardegna e la linea Genova-Porto Torres, con il postale, una volta al mese approdava a La Maddalena) la fermata divenne bisettimanale, nel 1877 altra convenzione e questa volta il viaggio divenne settimanale. La linea partiva da Genova, toccava Livorno, La Maddalena e Porto Torres. Dopo qualche anno Florio e Rubattino operarono una fusione e nacque la Navigazione Generale Italiana, che avrà una sede e un rappresentante anche a La Maddalena,in via XX settembre (palazzo Aiassa) dove oggi ha sede la Banca di Sassari, il sig. Fongi era l’agente e la torretta che è all’ultimo piano del palazzo, da cui vedeva arrivare i piroscafi, fu chiamata torre Fongi, il porto, anche per tutti gli isolani, fu “u molu” contrapposto a Bassa Marina dove operavano i pescatori, quasi tutti originari della Campania. La N.G.I. diede un notevole impulso all’economia isolana con i suoi collegamenti: settimanalmente una linea collegava La Maddalena a Golfo Aranci-Terranova e Cagliari, la piazzaforte militare (1887) aveva triplicato il movimento merci e passeggeri, tanto che al Molo fu necessario demolire il piccolo monumento che aveva sulla cima una palla lanciata da Napoleone nel 1793 (oggi conservata nel municipio). Nel 1896 Francesco Corona ci segnala che da Palau si può raggiungere l’isola anche da Golfo Aranci due volte la settimana, l’agente della N.G.I. è il sig. Boselli cav. Ernesto, gli armatori Ornano Domenico, Tanca Santo, Zonza Giuseppe, i capitani marittimi Bargone Antonio, Culiolo Salvatore, Lantieri cav. Domenico, Susini Giuseppe, Susini Francesco, Zicavo Gerolamo, Zonza Antonio.

Da “I viaggiatori dell’Ottocento in Sardegna” a cura di Alberto Boscolo – La Biblioteca dell’identità – L’Unione Sarda (agosto 2003), riportiamo alcuni (scarsi e poco significativi) brani del saggio L’ile de Sardaigne (1861) di Gustave Jourdan (a cura di Manlio Brigaglia), “uomo d’affari che, deluso per non essere riuscito dopo un anno di soggiorno a coltivare gli asfodeli per ottenere alcool, si scaglia, risentito, contro i sardi”.
Quando ci si arriva si sta appena abbandonando la Sardegna e la si vede ancora, è là davanti; ma non vi si è più, se ne è ormai lontani mille miglia; il costume, la parlata, le case, l’aria, tutto è cambiato e ingentilito; l’aria è pura e la si respira dolcemente; i visi sorridono, non si ha più paura di guardarli. Io perdono molto alla Sardegna proprio per merito di Carlo Forte e La Maddalena; è certo che se l’isola madre non fosse così brutta, le sue due figlie minori non sarebbero forse così graziose.
Carlo-Forte è a sud, La Maddalena a nord. La popolazione di Carlo-Forte, di origine ligure, è formata da Tabarchini; proscritti più di un secolo fa, ottennero da un principe di casa Savoia il permesso di stabilirsi a loro scelta sulla penisola di S. Antonio o nell’isola di San Pietro.
La Maddalena invece è stata popolata da dei Livornesi; ai suoi primitivi abitanti si sono aggiunti poi più tardi alcuni Corsi e perfino degli Inglesi. Nascosta in mezzo al gruppo delle isole Sparagi, la si direbbe bagnata dalle acque di un lago; meno ricca e meno popolata di Carlo-Forte, è più calma e si tuffa felice nella doppia serenità del suo cielo e delle sue acque. 
Ma per quanto Carlo-Forte e La Maddalena siano così dolci a vedersi, esse non riescono a far dimenticare la Sardegna che per un momento, perché il viaggiatore è presto costretto a tornarvi indietro; torniamo con lui anche noi alle sue rive, ma per dir loro addio“.

gennaio

Nei primi anni Sessanta, Garibaldi fece costruire un nuovo mulino a vento in posizione meno esposta del precedente le cui pale vennero diverse volte divelte dal maestrale. L’edificio, che venne costruito lungo il confine sud del Compendio, era dotato di un sofisticato sistema di saracinesche, il funzionamento della macina era garantito anche in assenza di vento dall’ausilio di un locomotore. Il mulino compare nella descrizione del Compendio di A. Cagnoni (a Caprera tra il 1863 ed il 1865); anche F. Aventi, in visita a Caprera nel 1869, ne descrive il funzionamento e indica come progettista e costruttore dell’opificio il “sig. Edoardo Barberini da Parma, da vari anni presso il Generale..”.

Garibaldi si è ritirato nella sua isola, ma non vive certo in solitudine. Indro Montanelli, che con il “Mito Garibaldi” non è mai stato tenero, descrive così, sarcasticamente, la Caprera di quei giorni: “Ogni venerdì sul piccolo molo dell’isola il postale rovesciava torme di visitatori. Arrivano vecchi amici, commilitoni, idolatri cui bastava una firma sull’album, emancipatrici americane, deputazioni patriottiche, politicanti, portatori di programmi incendiari, emissari occulti di Mazzini, agenti segreti del Re, carovane di emigrati veneti, triestini, istriani, romani, proscritti ungheresi, polacchi, spagnoli, greci, tedeschi, russi, serbi, valacchi. Garibaldi riceveva tutti ascoltava tutti e a tutti ripeteva: A primavera!….A primavera……“. Inizia la costruzione del secondo piano della “Casa bianca”. Nel 1866 il piano superiore verrà demolito perché minaccia di crollare.

2 febbraio

Nella lettera del 2 febbraio 1861 indirizzata dal maresciallo Tanchisal al maggiore Sanjust si legge “…il Garibaldi sta ora fabbricando una casa di 4 membri, attigua all’altra abitata da lui. Dice aver bisogno d’allargarsi giacchè nei 7 od 8 membri dell’antica casa si vive assai ristretti a causa di molti visitatori. Il fabbrico è già incamminato da 4 mastri che vi lavorano da pochi giorni“. Dai testi di altri autori e dalle numerose riproduzioni dell’abitazione si evince che all’originaria casa a pianta quadrata venne aggiunto un corpo a pianta rettangolare su due piani. Il secondo piano venne presto demolito per dissesti statici e Garibaldi non lo volle più ricostruire. Il corpo aggiunto completo dei due piani compare in fotografie databili al 1865 c.a.

Enrico Costa

17 – 18 febbraio

Giunge a Caprera, una delegazione del Comune di Sassari, guidata dal Sindaco Simone Manca, per comunicare all’eroe la sua nomina a cittadino onorario; “La mattina del 17 febbraio 1861, sul piroscafo San Giorgio, la Deputazione sassarese, composta dalle rappresentanze del Municipio, .del comitato del consiglio provinciale, della Guardia Nazionale, del Ginnasio e della Società operaia, salpava da Portotorres alla volta di Caprera, onde presentare il diploma di cittadinanza sassarese e complimentare il Generale Garibaldi. Dopo sei ore di viaggio la Deputazione arrivò all’isola della Maddalena, dove ebbe dalla popolazione un entusiastico ricevimento. Il giorno seguente, un’ora dopo mezzogiorno, accompagnati dal sindaco della Maddalena e dagli amici, i componenti la Commissione si diressero con le barche a Caprera, dove arrivarono dopo un’ora di tragitto. Il Generale Garibaldi venne loro incontro. Il sindaco di Sassari si avanzò per il primo, e dopo un breve discorso, gli presentò il diploma. Ecco le parole del Generale, raccolte fedelmente da uno della Commissione: Accetto di cuore l’offerta che la Comune di Sassari mi fa; tanto più perché quella Città è la mia patria di vocazione. lo sono profondamente commosso dalle dimostrazioni che mi vengono da questi rappresentanti dell’Autorità e del popolo, a cui io appartengo; né ho parole che valgano ad esprimere la mia gratitudine. Alcuni giornali parlano, è vero, d’un indecoroso baratto dell’isola di Sardegna allo straniero, non altrimenti che toccò alla Savoia ed all’amata e sventurata mia Nizza. Non posso credere a tanta disgrazia; 124 Storia della Sardegna non è possibile che una nuova sventura si aggravi sull’Italia; e questa sarebbe la massima, poiché a mio credere la Sardegna è il punto più importante e strategico del Mediterraneo, e guai all’Italia se ne lasciasse privare! Ho fiducia in Vittorio Emanuele, il quale non usurpa certamente il titolo di Galantuomo, e credo che non acconsentirà giammai a nuove cessioni, a nuovi smembramenti di questa Italia che tutti vogliamo Una … lo, che ho consacrato la mia vita sull’altare della patria, farei volentieri qualunque sacrificio a pro specialmente di quest’isola, di cui mi dico cittadino per vocazione ed elezione, e credo che i Sardi non mi lascerebbero solo in tale emergenza, giacché tutto dipende principalmente dalla loro volontà e risolutezza .. . Desidero dunque, signori, vogliate attestare ai vostri rappresentanti la viva gratitudine ond’io sono compreso, e dir loro che la Sardegna ha un posto speciale nel mio cuore, e che prima d’oggi io presi ad amare la Città di Sassari; e fra i miei desideri entra quello di poter essere utile a qualunque tempo, in qualsiasi modo alla mia patria elettiva, ai buoni Sassaresi che mi vollero onorare della loro cittadinanza della quale vi dichiaro di andare superbo». Offrì quindi alla comitiva caffè e sigari, ed invitò tutti a visitare il suo giardino, dove le piante d’aranci e d’ulivi, arrivate il dì prima da Sassari, erano state già affidate alla terra. E. Costa, Sassari, Sassari 1885 (ristampa a cura di E. Cadoni, Sassari 1992).

marzo

Il Panfilo Emma di Alessandro Dumas è alla fonda nelle acque di Caprera. Contemporaneamente Carlo Comaschi partecipa ad un viaggio a Caprera per andare a trovare Giuseppe Garibaldi. Il viaggio è organizzato da Franco Mistrali ed ha lo scopo di portare da Garibaldi un gruppo di rappresentanti delle associazioni operaie e degli ex-volontari per invitare Garibaldi a riprendere la lotta per l’Unità d’Italia dato che ancora Roma e Venezia non ne facevano parte. Come vedremo il viaggio cadrà in un momento importante della storia di Garibaldi e dell’Italia.

15 maro

Nella lettera del Maresciallo Tanchis al maggiore Sanjust del 16 marzo 1861, si legge che i giorno prima, verso le 9, giunse da Genova il vapore postale “Virgilio” con a bordo, oltre che i passeggeri e del fieno, il materiale per una casa di legno: “tutto fu tosto portato a Caprera. Si attende col prossimo vapore una casa in ferro…”più avanti, nella lettera del 21 dello stesso mese, scrive”… la fabbrica della nuova casa è condotta a meraviglia; elevata la casa di legno … innalzato un magnifico mulino … preparato il terreno per la casa in ferro …”. Infatti secondo alcuni autori, negli stessi anni, Garibaldi costruisce anche un mulino a vento su un masso roccioso presso la casa bianca, molto esposto ai venti tanto che le sue pale vennero divelte diverse volte. L’insistenza del maestrale lo spinse, in seguito a cercare un posto più riparato per l’erezione di un secondo mulino. L’anno di costruzione del forno dietro la casa bianca è incerto, ma sicuramente risale agli anni precedenti al 1861 in quanto compare in diverse descrizioni e rappresentazioni dell’epoca.

17 marzo

Viene formalmente proclamata la nascita del Regno d’Italia, il ruolo di Garibaldi fu fondamentale in questo processo, a cui contribuì alacremente.
Il successo della Spedizione dei Mille determinò il coronamento del sogno di Unità nazionale.
Vittorio Emanuele divenne il Re d’Italia e Torino, già capitale del Regno di Sardegna, divenne la capitale d’Italia.
La costituzione albertina venne adottata su tutto il territorio del nuovo Regno. Ma gli italiani del Risorgimento non avevano ancora conquistato un’identità nazionale. L’idea di nazione (un popolo, un territorio e una lingua) non esisteva ancora: su 23 milioni di abitanti del 1861, meno di due milioni parlavano italiano. Un siciliano e un piemontese non si capivano e il 78% degli abitanti della Penisola non sapeva né leggere né scrivere. Dalla fusione della Regia Marina sarda con l’Armata di Mare Napoletana e la Granducale Marina Toscana, nasce ufficialmente la regia Marina Italiana. A queste si aggiungerà nel 1871 la Marina Pontificia. Una delegazione del Comune di Sassari si reca a Caprera a portare a Garibaldi la deliberazione consiliare che lo nomina cittadino onorario sassarese.

Il 17 marzo dell’anno 1861, all’atto del raggiungimento dell’Unità Nazionale con la proclamazione del Regno d’Italia, la neocostituita Regia Marina era presente in Sardegna nelle sedi di Cagliari e La Maddalena ove aveva ricevuto in consegna le preesistenti Infrastrutture della Marina Sabauda.
A Cagliari, già sede dal 1816 del terzo Dipartimento Marittimo del Regno di Sardegna, gli edifici erano quasi tutti siti in prossimità dei Bastioni della Darsena e consistevano in un Padiglione per gli uffici e gli alloggi degli Ufficiali e Sottufficiali, una Caserma con annesso magazzino, un’Officina con deposito utensili, il Bagno penale e due depositi di carbon fossile ubicati all’interno dei bastioni San Saturnino e San Vincenzo, con cui rifornire anche gli avvisi a ruote e le Pirocorvette che effettuavano il servizio postale con gli “Stati di Terraferma” svolto, per legge, dalla Marina da Guerra.
A seguito della cancellazione di Cagliari dall’elenco delle piazzeforti del nuovo Regno disposta nel dicembre del 1866 e del successivo inizio della demolizione delle fortificazioni, molte infrastrutture venivano ridislocate ed il Bagno penale, già spostato nella zona di San Bartolomeo, nel 1867 era ceduto in gestione al Ministero dell’Interno e questa situazione rimarrà pressochè inalterata sino ai primi anni del nuovo secolo.
Alle “Isole Intermedie”, come allora veniva denominato l’Arcipelago della Maddalena, già appartenenti alla Repubblica di Genova ed occupate dal Regno Sabaudo nell’ottobre 1767, erano state costruite nel corso degli anni un notevole numero di fortificazioni per difendere gli ancoraggi dagli attacchi esterni. Si era iniziato con un campo trincerato nell’isola della Maddalena in località Guardia Vecchia seguito dalla costruzione della Torre sull’isola di Santo Stefano, dal forte San Vittorio, dalle batterie Balbiano e Sant’Agostino, dai forti Sant’Andrea, Santa Teresa (detto anche di Sant’Elmo) e Carlo Felice, tutti sull’isola della Maddalena e dal forte di San Giorgio sull’isola di Santo Stefano.
Con il passare degli anni, a causa della mancata opera di manutenzione a fronte del progresso tecnologico avvenuto nel campo delle artiglierie, le fortificazioni avevano perso gran parte della loro validità tanto che, dopo una serie di ispezioni, rilievi, calcoli e relazioni effettuate tra il 1852 ed il 1856, nel mese di luglio 1857 il Ministero della Guerra, da cui all’epoca dipendeva la Marina Sabauda, disponeva il disarmo e lo sgombero delle fortificazioni dell’ Arcipelago. Il nuovo Regno d’Italia, che finalmente nel 1870 aveva potuto stabilire a Roma la propria Capitale, non poteva limitarsi ad inglobare eserciti, navi ed armamenti provenienti dai dissolti Stati della penisola ma doveva organizzare di sana pianta un moderno sistema difensivo esteso a tutta la nuova nazione ed atto a far fronte a tutte le esigenze dettate dalla situazione politica internazionale.
Nel settembre 1873 una speciale Commissione, costituita con il compito di avanzare delle proposte concrete sul miglior modo e sui mezzi più idonei con cui Marina ed Esercito potessero efficacemente difendere i porti e le coste del nuovo Stato, indicava insieme ad altre località del continente e della Sicilia, l’Arcipelago della Maddalena come luogo di rifugio, rifornimento e riparazione per l’Armata Navale e come base strategica per le operazioni nel Mar Tirreno, sollecitando contestualmente l’avvio di studi e calcoli per stabilire l’entità ed il costo dei lavori necessari.
Solo nella seconda metà degli anni Ottanta, a seguito del manifesto stato di ostilità venutosi a creare nei confronti della Francia a causa dell’occupazione della Tunisia (1881) seguita dalla rottura degli accordi di navigazione e di commercio e dal rinnovo dell’adesione dell’Italia alla Triplice Alleanza con Austria e Germania (1887), venivano finalmente autorizzate e finanziate nuove opere per la difesa e la sistemazione dei servizi militari marittimi dell’Arcipelago della Maddalena. Nel marzo 1887 veniva costituito il Comando di difesa locale marittima con sede a bordo della Nave trasporto Dora e nello stesso anno veniva disposto uno stanziamento straordinario di 13 milioni di lire per le nuove fortificazioni ed i relativi armamenti.
In poco meno di dieci anni il sistema difensivo veniva totalmente ristrutturato adeguandolo alla più recente tecnologia costruttiva militare con fortificazioni in calcestruzzo e ferro, armate di artiglieria pesante con pezzi rigati in acciaio a retrocarica e di fotoelettriche per il tiro notturno ed integrate da sbarramenti subacquei plurimi di mine nei canali di accesso agli ancoraggi. Nel marzo 1889 veniva costituita una Stazione Torpediniere con campo di impiego, oltre che nelle acque dell’Arcipelago, lungo tutte le coste della Sardegna, utilizzando, quali sedi secondarie, anche gli ancoraggi di Porto Conte e Cagliari.
Ad agosto dello stesso anno veniva definitivamente costituito l’Ospedale Militare marittimo sussidiario e ad ottobre era destinato per la prima volta quale Comandante locale marittimo della Maddalena un Contrammiraglio che alzava la sua insegna sulla Pirofregata corazzata Palestro, Nave centrale di difesa. Nel 1891 iniziavano i lavori di costruzione del cantiere di Moneta e nell’agosto 1893 veniva disposto che il Comando locale marittimo della Maddalena assumesse la nuova denominazione di Comando Militare Marittimo della Maddalena, con “giurisdizione militare marittima sul litorale della Sardegna ed isole adiacenti” e con a capo un Viceammiraglio.
All’inizio del Novecento il sistema di difesa della piazzaforte della Maddalena era pienamente operativo rendendo minima l’efficacia di un possibile bombardamento sistematico nemico che si sarebbe potuto tentare dall’esterno dell’Arcipelago contro la flotta nazionale in rada e consentendole di uscire rapidamente ed in sicurezza da una delle due imboccature per sbarrare le Bocche di Bonifacio o per intraprendere azioni offensive nel Mediterraneo occidentale e nel Tirreno. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale nell’agosto del 1914 alla Base della Maddalena risultavano assegnate la 2^ Squadriglia Torpediniere d’alto mare (6 Unità), la 7^ Squadriglia Torpediniere costiere (6 Unità), la Nave appoggio sommergibili Lombardia con i battelli Atropo, Fisalia e Jantina, la Nave Cisterna Verde ed altre unità minori, ma, quando l’Italia nel maggio 1915 entrava in guerra a fianco dell’Intesa, molte di queste Unità venivano ridislocate in Adriatico ed alcune batterie con uomini ed armamento furono trasferiti sul fronte terrestre veneto.
Durante tutta la durata del Conflitto il compito principale delle poche unità della Regia Marina rimaste nell’isola era quello di assicurare i collegamenti con il continente gravemente minacciati dall’intensa offensiva dei Sommergibili nemici che provocavano pesanti perdite al naviglio alleato tanto da costringere nel 1917 l’istradamento del traffico mercantile lungo rotte in acque poco profonde in prossimità di costa ove venivano messi in opera dei pezzi d’artiglieria detti “batterie punti rifugio”, che in Sardegna vennero situate in gruppi nei pressi di Arbatax, Porto Torres e Cagliari, e ad impiegare per la prima volta il nuovo mezzo aereo nella lotta contro l’insidia subacquea.
Nella seconda metà dello stesso anno la Regia Marina costituiva a Terranova Pausania (attuale Olbia) e a Cagliari, all’interno del porto, due Stazioni idrovolanti, prime infrastrutture aeronautiche in Sardegna, da cui rispettivamente la 278^ e la 279^ squadriglia idro F.B.A. effettuavano sino alla fine del conflitto ricognizioni antisomm nelle acque circostanti l’isola.
All’inizio degli anni Venti, a seguito degli studi svolti da una speciale Commissione Esercito-Marina per la riorganizzazione della difesa costiera a fronte degli insegnamenti tratti dalla Grande Guerra, si decideva di rinforzare la piazzaforte della Maddalena, che era stata sensibilmente indebolita durante il conflitto e che veniva destinata ad accogliere una consistente parte della flotta per contribuire a proteggere, in un contesto puramente difensivo, il litorale tirrenico della penisola.
Si ipotizzava la creazione di una nuova base d’appoggio avanzata a Sant’Antioco per azioni di unità leggere in Mediterraneo occidentale, mentre Cagliari, ove era stato costruito un buon Porto Mercantile racchiuso dai nuovi Moli di ponente e levante e dal banchinamento della riva di via Roma, veniva considerata solo punto sussidiario della futura base sulcitana.
Con l’avvento del regime fascista ed il modificarsi dello scenario politico internazionale, decadeva l’ipotesi Sant’Antioco e veniva deciso di impiantare una Base Navale di 3^ categoria a Cagliari costituendovi un Comando Marina (COMAR) alle dirette dipendenze dell’Ammiragliato della Maddalena. La Base veniva realizzata sul sedime ricavato dalla bonifica del litorale di Bonaria ove erano costruiti la Palazzina Comando, una nuova Caserma per il Distaccamento, un’officina lavori per le Navi di uso locale, una stazione di ricarica per gli accumulatori dei sommergibili e per la manutenzione e l’assemblaggio dei siluri, un deposito viveri, un magazzino per ostruzioni retali ed i tre bracci del molo di levante venivano attrezzati con tutti i sottoservizi necessari ad accogliere Sommergibili e Unità leggere e, in particolare, con un oleodotto interrato che trasferiva direttamente sul molo i carburanti stoccati nei nuovi grandi depositi costruiti inizialmente sulle pendici del colle di Montixeddu e successivamente anche a Monte Urpinu.
Sul colle di San Michele veniva ubicata in sede protetta una Stazione Radio trasmittente, mentre la sezione ricevente era situata in caverna nella zona di Sant’Ignazio, a Capo Sant’Elia veniva realizzato un deposito per mine e teste cariche di siluri e nelle campagne di Siliqua era costruito un grande deposito Munizioni. Per la protezione della Base e delle acque del Golfo degli Angeli da attacchi esterni veniva messo in opera lungo tutto il litorale un complesso sistema difensivo costituito da dodici gruppi di artiglierie fisse antinave, contraerei e a doppio compito con le relative postazioni di avvistamento. A La Maddalena, classificata Base Navale di 2^ categoria, veniva modernizzato e rafforzato il sistema difensivo con la sostituzione delle Artiglierie più antiquate e la creazione di nuove batterie contraerei site in postazioni più periferiche, costruiti nuovi depositi di combustibili, potenziati i servizi elettrici con la costruzione di nuove cabine di trasformazione, realizzati due bacini d’invaso per acque piovane sull’isola di Caprera, ampliata la Stazione sommergibili e trasformato il cantiere di Moneta in officina mista lavori, in grado cioè di effettuare interventi su scafi, motori, armi ed apparecchiature.
All’atto dell’entrata dell’Italia nella seconda Guerra Mondiale il 10 giugno 1940, COMAR Cagliari assumeva, secondo il piano di mobilitazione, la nuova denominazione di Comando di Settore Militare Marittimo, venivano costituiti i nuovi Comandi Marina di Olbia, Porto Torres e Sant’Antioco e gli Ospedali decentrati di Arzachena, Golfo Aranci, Luras e le sale ricovero di Montiggia e Stagnali .
Alla Base della Maddalena risultavano assegnate la 2^ Squadriglia Torpediniere (Cascino, Chinotto, Montanari, Papa), la 9^ Squadriglia Torpediniere (Cairoli, Canopo, Cassiopea, Mosto), la 4^ Squadriglia MAS (501, 502, 503, 504), le Navi ausiliarie posamine A. Deffenu, Caralis, Durazzo, Mazara e Pelagosa ed altre unità minori mentre nella Base di Cagliari era dislocato il 7° Gruppo Sommergibili che comprendeva la 71^ Squadriglia (Adua, Alagi, Aradam, Axum) e la 72^ Squadriglia (Corallo, Diaspro, Medusa, Turchese).
Dipendeva operativamente dal Comando Militare Marittimo di La Maddalena anche l’85° Gruppo aereo da ricognizione marittima con sede sull’Aeroporto di Elmas, dotato di idrovolanti Cant. Z 501 e Cant. Z 506 che operavano anche dagli idroscali di Olbia, Porto Conte e Santa Giusta. Sin dall’inizio del conflitto e fino ai primi mesi del 1943 le Basi Sarde avevano svolto un ruolo di notevole rilievo nelle operazioni Aeronavali in Mediterraneo, assicurando sicuri punti di appoggio logistico alle unità navali impegnate nella lotta, mentre i battelli del 7° Gruppo di Cagliari attaccavano il traffico nemico e partecipavano a tutte le battaglie riportando, pur a fronte di gravi perdite, sensibili risultati.
Dopo lo sbarco degli Anglo-Americani in Marocco ed Algeria nel novembre 1942, la Sardegna, che fino a quel momento aveva subito solo sporadici attacchi aerei degli alleati, diventava bersaglio di un’intensa offensiva con pesanti bombardamenti su Cagliari che nel costringevano a trasferire a La Maddalena nel maggio 1943 il Comando del 7° Gruppo Sommergibili e a decentrare i battelli anche a Bonifacio ed Aiaccio.
Il 10 aprile anche La Maddalena subiva un devastante bombardamento che provocava l’affondamento dell’Incrociatore Trieste ed il danneggiamento del similare Gorizia e gravi danni alle infrastrutture della Base ed il 13 maggio un nuovo devastante attacco su Cagliari causava l’affondamento in porto del Sommergibile Mocenigo.
Nello stesso mese di maggio il Comando Militare Marittimo in Sardegna veniva dichiarato “Autonomo”, cessando di dipendere organicamente dal Comando in Capo Dipartimento M.M. di Napoli, ma già dal mese di marzo era stato posto “operativamente” alle dipendenze del nuovo Comando Forze Armate della Sardegna, Ente interforze, a guida Regio Esercito, costituito per far fronte alla temuta invasione dell’isola da parte degli Alleati.
Alla proclamazione dell’armistizio l’8 settembre 1943 il Comando FF.AA. della Sardegna stipulava con il Comando delle truppe tedesche nell’isola un accordo prevedente il pacifico trasferimento delle medesime in Corsica ma a La Maddalena i germanici, violando gli impegni assunti, catturavano l’Ammiraglio Comandante con alcuni Ufficiali ed occupavano alcune infrastrutture della Base provocando la reazione dei Marinai Italiani che il 13 settembre liberavano i prigionieri attaccando gli occupanti che si ritiravano.
Nel corso dei combattimenti decedeva il Comandante della Base navale, Capitano di Vascello Carlo Avegno, alla cui memoria verrà assegnata la Medaglia d’Oro al Valor Militare. La sera del 15 settembre la Sardegna era completamente libera dai tedeschi ed il giorno seguente ormeggiava nel porto di Cagliari la Motocannoniera inglese 662, prima unità navale alleata a giungere nell’isola.
Al termine della guerra venivano iniziate le operazioni di rimozione dei campi minati e per questo scopo venivano costituiti a Cagliari e a La Maddalena rispettivamente il 5° ed il 6° Gruppo Dragamine che procedevano ad una sistematica bonifica di tutte le acque circostanti l’isola, mentre, in ottemperanza alle clausole previste dal trattato di pace, veniva smilitarizzata la Base di La Maddalena e nell’ottobre 1948 il Comando Militare Marittimo Autonomo in Sardegna (MARISARDEGNA) trasferiva la sua Sede a Cagliari.
Con l’adesione dell’Italia alla NATO nel 1949 venivano di fatto a cadere i pesanti vincoli imposti dal trattato di pace e nello stesso anno era trasferita a La Maddalena la Scuola CEMM di Venezia per l’istruzione dei futuri Sottufficiali.
A Cagliari, dismesso il vecchio deposito carburanti di Montixeddu ed in seguito anche quello di Monte Urpinu, veniva realizzato un nuovo grande deposito in caverna sotto Capo Sant’Elia collegato direttamente con un oleodotto interrato alla stazione di carico e scarico sita sul nuovo molo di levante il cui fondale poteva consentire l’attracco di navi di grandi dimensioni.
A La Maddalena l’Officina mista veniva trasformata in Arsenale Militare Marittimo e sull’isola di Santo Stefano veniva costruito un nuovo Deposito Munizioni in caverna. All’inizio del 1973 l’86° Gruppo aereo antisom, trasferito dall’aeroporto di Capodichino a quello di Elmas nel ricostituito 30° Stormo, veniva posto alle dipendenze operative di MARISARDEGNA che nel 1978 tornava a ristabilirsi nella sede originaria di La Maddalena.
La mutata situazione politica internazionale venutasi a creare in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica ed alla conseguente fine della guerra fredda portavano ad una sensibile riduzione delle Forze armate che per la Marina in Sardegna si estrinsecava con la soppressione della Base Navale di La Maddalena e nel 2002 nel ritorno dell’Ammiragliato a Cagliari.

31 marzo

Ci si imbarca portando con sé, come ricordo, mazzi di fiori fatti con conchiglie foggiate artisticamente e pane azzimo di Pasqua foggiato a forma di due pesci che reggono l’uovo benedetto. Sull’Italia si imbarcano anche Leggero, Gusmaroli e Padre Giovanni che raccontano che Garibaldi si duole di dover abbandonare i suoi fiori proprio ora che la primavera li fa sbocciare. Si parte verso sera quando si vede ancora la colonna di fumo dell’Ichnusa alla punta estrema di Caprera. Quando cala la notte si vedono ancora le Bocche di Bonifacio.

8 aprile

Dopo l’impresa dei Mille, Garibaldi fu eletto deputato a Napoli fece una delle sue poche apparizioni al Parlamento Subalpino in una seduta durante la quale, in camicia rossa, poncho grigio sulle spalle e sombrero in mano, aveva lanciato dure accuse al governo. La diplomazia non era certo la sua migliore qualità e quello del politico non era il suo mestiere; lasciò Torino e si ritirò nella pace di Caprera circondato dai fedeli compagni di tante battaglie. Fra coloro che lo avevano seguito, oltre a Nino Bixio, Giacomo Medici, Francesco Crispi, Gaetano Sacchi e Giuseppe Missori, c’era il colonnello Candido Augusto Vecchi, il difensore della Repubblica Romana, in veste di infaticabile segretario costantemente all’opera con tutti gli altri nella casa di ferro che era stato dono di Felice Origoni. Proprio quell’anno il Vecchi aveva fatto conoscere in tutto il mondo la lontana isola del Generale dando alle stampe il suo libro ”Garibaldi e Caprera”, edito dapprima a Torino e l’anno successivo a Napoli e poi a Stoccolma, Utrecht, Lipsia e Londra nelle traduzioni in svedese, olandese, francese, tedesco e inglese. “Ho cominciato la mia “carriera” di corsaro in Brasile liberando alcuni schiavi neri. Nella Guerra Civile americana ero quindi schierato con il Nord. Un giorno l’ambasciatore americano a Bruxelles Sanford venne a Caprera. Mi propose di assumere il comando di una armata nordista. Fui tentato di accettare. Scrissi a Vittorio Emanuele: “Sire, il presidente degli Stati Uniti mi offre il comando di quell’esercito ed io mi trovo in obbligo di accettare tale missione per un Paese di cui sono cittadino.” Ebbi il suo consenso. Posi agli americani due condizioni: il comando delle forze armate e, soprattutto, un’esplicita dichiarazione di Lincoln sull’abolizione della schiavitù. Intanto arrivavano appelli perché non lasciassi l’Italia: 22.000 firme solo da Napoli! Da Washington mi risposero che il comando supremo dell’esercito spettava al Presidente, e che l’abolizione dello schiavismo era un complesso procedimento politico (in realtà non era quello il principale motivo della guerra…).Mi fu proposto il grado di generale di divisione al comando di un’armata, quindi la successiva nomina a Maggior Generale, massimo grado dell’esercito americano.
Non convinto, e sempre in attesa di un’occasione favorevole per fare finalmente di Roma la capitale d’Italia, rifiutai. L’offerta mi venne rinnovata nel 1862 e probabilmente l’avrei accettata ma dopo la sfortunata giornata di Aspromonte ero ferito alla gamba e prigioniero“. Vedi anche: La proposta di Lincoln.

18 aprile

Garibaldi e Cavour si scontrano in parlamento sul problema dell’esercito meridionale. Il Generale aveva distribuito gradi a circa 7000 uomini che una volta finita la guerra non erano stati inglobati dall’esercito regolare, ma lasciati al loro destino. Cavour non aveva potuto inglobare tutte quelle persone graduate all’interno delle gerarchie sabaude, da sempre molto rigide e improntate al merito, la questione approdò dunque in parlamento che dopo solo un mese di vita dovette affrontare questa spinosa questione.

14 maggio

Con delibera comunale della città di Cagliari, viene riconosciuta la cittadinanza onoraria all’Eroe dei due mondi.

15 maggio

Troviamo Giuseppe Garibaldi a Terranova Pausania (attuale Olbia) a recitare il ruolo di padrino di battesimo della piccola Giuseppe Teresa Maddalena Bertoleoni, figlia di Paolo e Maddalena Favale, la bimba era nata a gennaio sull’isola di Tavolara. Vedi Video: L’orto di Tavolara – Storie e memorie di un’isola

25 maggio

Teresa Garibaldi, che ha appena compiuto 16 anni, sposa Stefano Canzio, di 24. Contrassero matrimonio religioso, non in chiesa, a Santa Maria Maddalena ma nella casa di Caprera, e fu celebrato dal parroco don Michele Mamia Addis che benedisse Teresita figlia di Anita, e lo sposo di fronte ad un commosso Garibaldi, al sindaco Nicolao Susini, al notaio Domenico Culiolo e al testimone alle nozze il Generale Avezzana. Teresita fu sposa di maggio, quando a Caprera sono in fiore le ginestre e gli asfodeli. Gli sposi vanno ad abitare a Genova. Canzio e Teresita ebbero bel sedici figli, parte dei quali nati a Caprera. Fu per accudire a questi bambini che arrivò nell’isola Francesca Armosino, destinata a diventare prima la compagna poi la moglie.

30 maggio

Federico Bellazzi, del Comitato garibaldino di Genova, con una sua lettera ”riservatissima”, avvertiva il segretario di Garibaldi a Caprera Giovanni Basso: “Egregio Signore Magg. Basso presso il Generale Garibaldi Caprera – Viene riferito a questo Ufficio che dai nemici d’Italia fu trasmesso un messaggio di sangue contro la preziosa vita del Generale Garibaldi. Viene pure riferito che la R. Questura di Genova ebbe pure una simile relazione e che veglia allo scopo di conoscere l’assassino che dovrebbe recarsi costì a consumare il delitto. Giova sperare che sia un mero sospetto, ma intanto bisogna stare all’erta. Il Comitato veglia: però vi accludo copia del ritratto di un individuo sospetto, già carcerato in Napoli, conosciuto sotto il nome di Maschera di Ferro. Badate che attualmente si fece recidere i capelli. Vegliate, io farò lo stesso da parte mia. Nulla di ciò scrivo a Garibaldi, val meglio che ne siate istrutto voi solo che saprete provvedere secondo vi suggeriranno l’affetto che vi scalda il cuore pel Generale e la saviezza per cui tanto siete distinto. Potendo raccogliere altro scriverò ancora. Accusate ricevuta per questa mia. Saluti, devotissimo vostro. Federico Bellazzi”. La minaccia di un attentato alla vita di Garibaldi era però giunta nell’isola anche per altre vie.

12 giugno

Garibaldi salva una nave, la Pintade, che rischia di affondare fra La Maddalena e Caprera.

14 giugno

La minaccia di un attentato alla vita di Garibaldi era però giunta nell’isola anche per altre vie; sappiamo infatti che con una lettera del 6 maggio 1861 Nicolò Ghisotti Morosini lo aveva avvertito da Firenze e che il 14 giugno successivo, su invito del governo di Torino, il sindaco Pietro Susini aveva emesso un bando che vietava a qualsiasi imbarcazione di avvicinarsi a Caprera se non espressamente autorizzata. A protezione dell’illustre ospite fu immediatamente distaccato nell’isola un presidio di bersaglieri. La voce si era poi sparsa fra la gente e l’intera popolazione di La Maddalena vigilava su ogni forestiero che compariva nell’isola. I provvedimenti del sindaco Susini e le cautele da lui adottate per proteggere Garibaldi, non solo come personaggio di riguardo, ma soprattutto come amico devoto, non sfuggirono al governatore di Sassari Daziani che il 9 settembre 1861 gli indirizzava la seguente lettera ”confidenziale”: “Il sottoscritto tenendo dietro già da qualche tempo agli avvenimenti seguiti in Caprera nei rapporti del Generale Garibaldi ed alle provvidenze e misure che si sono adottate e impartite per appurare e scoprire fatti che appaiono tuttora inesplicabili, non può egli non accorgersi dell’opera dell’intelligente Sindaco della Maddalena il quale, mostrando evidentemente di apprezzare la fortuna della dimora dell’illustre uomo nel suo raggio giurisdizionale, nulla lasciò d’intentato per cooperare agli sforzi del Governo onde svolgere quei fatti dalle tenebre in cui sembrano tuttodì avvolti. Chi scrive pertanto fa assai di buon grado espressa mozione a V.S. per esprimerLe la sua viva soddisfazione ed i suoi ringraziamenti per la solerzia, intelligenza, zelo e perspicacia dimostrata in questa occasione – soddisfazione e ringraziamento che sono ben meritati anche da codesta brava popolazione e da tutte le altre autorità locali, che ebbero ad offrire saggi di indubbia devozione e di attaccamento alla persona del Generale ed al Governo del Re, che conosce suo grato dovere di adoperarsi in ogni modo onde l’illustre Generale venga in ogni circostanza protetto, riverito, difeso e premunito da ogni pericolo – e nel mentre il sottoscritto attesta la sua approvazione per il lodevole operato del Signor Sindaco, con preghiera di farla conoscere e renderla pubblica alla popolazione ed alle autorità locali, spera che anche per l’avvenire sarà sempre più meritarsi il plauso del Governo col rendere al medesimo continui e buoni servigi”. Non sappiano se Maschera di Ferro giunse mai a La Maddalena; certamente sarebbe stato subito individuato, visto che, come apprendiamo dalla lettera del governatore, tutte le autorità locali e tutta la popolazione si erano mobilitati in difesa dell’illustre ospite. Ma Garibaldi, come sempre, non prese mai in seria considerazione le minacce e il 16 agosto, cessato l’allarme, scriveva al sindaco Susini: “Preg.mo Sig. Sindaco, Sensibile alle dimostrazioni d’affetto che ella unitamente alle autorità ed alla popolazione della Maddalena mi hanno dato in questi scorsi giorni pregherei intanto di voler ritirare quel distaccamento di Bersaglieri lasciato qua di stazione perché io credo superflua la loro presenza. Nel pregarla Signor Sindaco di farsi interprete presso tutti della mia sentita gratitudine godo raffermarmi con sensi di distinta stima. Dev.mo Suo G. Garibaldi”. Vedi Maschera di ferro e l’attentato a Garibaldi

10 agosto

Antonio Susini Millelire scrive a Giorgio Asproni di aver consegnato la sua lettera a Garibaldi e lo informa del rifiuto del generale di farsi scortare dalle truppe dopo l’attentato subito a Caprera.

18 agosto

Anche Candido Augusto Vecchi informa Giorgio Asproni che Garibaldi ha rifiutato l’offerta di sorveglianza dell’isola di Caprera da parte dei gendarmi.

12 settembre

Si reca a Caprera, P.H. Marsh, Ambasciatore degli Stati Uniti a Torino in apparenza per conoscere la sua posizione sull’ipotesi proposta dal colonnello garibaldino Candido Augusto Vecchi (già membro dell’Assemblea Costituente della Repubblica Romana, amico devotissimo e finanziatore delle spedizioni di Garibaldi) di comandare le truppe confederate del Nord nella Guerra di Secessione (il Nizzardo aveva anche la cittadinanza americana). Ma l’anno seguente il Console Generale americano di Vienna e lo stesso Segretario di Stato Seward si mossero su ordine del Presidente Lincoln per smentire tale ipotesi. Colui che aveva posto le basi dell’Unità d’Italia, divenne “il vate di Caprera” e Caprera fu meta di migliaia di persone, di misteriosi emissari, di influenti personaggi. Andavano a trovarlo rappresentanti di tutti i movimenti indipendentisti o rivoluzionari europei, dai russi ai greci, agli ungheresi, ai polacchi agli spagnoli e per tutti egli aveva parole di esortazione, consigli e preziose direttive. “Fa una certa impressione pensare a Giuseppe Garibaldi vestito come il generale Custer, mentre ordina , al trombettiere di lanciare gli squilli per il quadrato. Oppure immaginarlo come un importante personaggio , interpretato da un buon attore, in Via col Vento . Insomma, il nostro Garibaldi, diventato un «soldato blu» che parte alla carica per affrontare le trincee dei sudisti, nelle più celebri e sanguinose battaglie della guerra di Secessione americana. Avrebbe potuto accadere, eccome. Lui, a Caprera, ebbe più di una proposta in questo senso, ma, alla fine non se ne fece di nulla. Nei convegni e nelle tavole rotonde, in corso in tutta Italia, nelle mostre, nelle celebrazioni e nei libri, per ricordare il generale, non mi pare ci sia stato qualcuno che si sia proposto di esplorare, nel modo dovuto, anche questa singolare faccenda del nostro eroe. Non fu cosa di poco conto e ne parlarono tutti i giornali italiani e americani. Certo, gli storici conoscono a memoria lettere, carte e materiali di ogni genere su quella storia. Per loro, dunque, non è davvero cosa nuova. Ma molti italiani hanno sempre pensato che si trattasse di uno dei tanti «fatti» raccontati e spiegati ,soltanto per contribuire, ancora una volta, al mito garibaldino. E cioè alla leggenda di un Garibaldi generoso e impulsivo, sempre pronto ad accorrere in ogni angolo della terra per aiutare i poveri, gli oppressi e coloro che stavano cercando una patria e un focolare. Quindi una specie di bufala ben raccontata, ma niente di più. Fu lo storico americano Herbert Mitgang ( poi ripreso da mille altri), negli anni Settanta, nella sua biografia di Lincoln, a trovare i documenti che testimoniavano lo svolgersi delle cose. Era tutto vero. Le cose, come è ben noto, iniziarono con la sanguinosa sconfitta nordista di Bull Run, in Virginia e con la temutissima avanzata dei Confederati. I nordisti erano comandati dal generale Winfield Scott, un vecchio e tronfio reduce di altre guerre, incapace di accettare ogni modernità negli scontri armati. Il Segretario di Stato William Steward, invece, aveva il terrore che in Europa si spargesse la voce delle sconfitte nordiste. Ma aveva anche un’altra preoccupazione: che i Sudisti riuscissero a raccogliere volontari che potevano arrivare da oltre Atlantico, insieme a grandi quantità di armi. Anche Lincoln appariva pieno di incertezze. Proprio in quei giorni, il trimestrale di Boston The North American Review aveva pubblicato, nel recensire un libro sul Risorgimento italiano, un bell’articolo su Garibaldi, sulle sue capacità militari, sulla Repubblica romana e sul 1860. Nell’articolo si ricordava che il generale italiano aveva sempre dichiarato di considerare gli Stati Uniti come la sua seconda patria, dopo la permanenza a New York dal 1850 al 1851. Lui, quindi, «quel rivoluzionario al servizio del re», poteva essere la soluzione. Garibaldi, in quella calda estate del 1861, era a Caprera, immobilizzato dai reumatismi, ma seguiva con grande attenzione la guerra americana parteggiando, ovviamente, per il Nord antischiavista. Lui, nelle Americhe, era diventato famoso per le sue imprese militari e per le scelte sempre coraggiose e sempre per la libertà. Insomma, il mito di quell’uomo in camicia rossa, era già concretamente affermato. Uno degli uomini, che rispondeva alle lettere per conto di Garibaldi, dopo aver letto l’articolo dell’ American Review, scrisse una lettera di ringraziamento alla rivista e spiegò anche quanto Garibaldi fosse entusiasta della lotta del Nord contro il Sud per liberare i neri dalla schiavitù. Al punto di affermare, spesso, che si sarebbe volentieri arruolato con i soldati di Lincoln. Prese allora avvio un’incredibile e misteriosa missione diplomatica americana. Quella di avvicinare in qualche modo Garibaldi per sentire se davvero voleva combattere insieme ai soldati del Nord: fu l’autore dell’articolo sulla American Review Henry H. Tucherman a parlare della cosa al console americano ad Anversa James W. Quiggle. Costui, dopo avere informato il proprio governo, scrisse a Garibaldi proponendo un vero e proprio arruolamento. Tra l’altro, nel corso della sfilata per la festa dell’Indipendenza a Washington, era stata vista marciare, tra l’entusiasmo generale, una «guardia di Garibaldi» in camicia rossa, composta da italiani, ungheresi e altri emigrati europei. In America, da tempo, erano fuggiti molti ex garibaldini perseguitati dalle polizie europee. Ed erano stati loro ad essersi arruolati subito con le truppe del Nord. Garibaldi rispose a Quiggle affermando che ci voleva il permesso di Vittorio Emanuele per quell’arruolamento. Il re, infatti, poteva aver bisogno dei suoi servigi per la liberazione d’Italia. Poi, Garibaldi, voleva la certezza che Lincoln abolisse la schiavitù a Sud, altrimenti lui, non si sarebbe mai mosso da Caprera. La notizia delle trattative, ad un certo momento, finisce in modo clamoroso sui giornali americani e italiani. I nostri chiedono al generale di non andarsene. Quelli americani, invece, sono entusiasti all’idea che Garibaldi diventi un generale americano e assuma il comando della guerra. A quel punto, Steward, il segretario di stato di Lincoln, ordina all’ambasciatore a Bruxelles, Sanford, di partire immediatamente per l’Italia e di andare a Caprera per parlare di persona con il generale. Sanford obbedisce, ma prima passa per Torino e viene a sapere che il re ha autorizzato Garibaldi a partire per l’America: «In Italia, in quel momento non c’è niente da fare» avevano fatto sapere alla corte sabauda. Dunque Sanford arriva a Caprera e dice a Garibaldi che sono già pronte le carte di viaggio per l’America per lui e il suo stato maggiore. Ma il generale, fermo e durissimo insiste: «Voglio il comando dell’esercito dell’Unione e i poteri per abolire la schiavitù». Per quanto se ne sa è un botta e risposta dura e lunghissima senza alcuna conclusione. Per Sanford non era possibile concedere il comando di tutto l’esercito unionista al generale italiano. In America sarebbe scoppiato un pandemonio con tutti gli altri generali e con il mondo militare che veniva da West Point. Lincoln lo avrebbe comunque fatto generale e gli avrebbe affidato un comando importantissimo. Anche per non insultare direttamente il buon Ulisse Grant. Piano, piano, la gran fregola per Garibaldi in America, passa e anche lui, il generale, si calma e non parla più di quella «follia». Ma diverse centinaia dei suoi garibaldini si arruolarono, comunque, con i nordisti e combatterono con coraggio e determinazione. Garibaldi, dunque, anche questa volta, aveva messo un segno perfino sulla guerra di secessione.”

31 dicembre

Erano passati 9 mesi dalla nascita del Regno d’Italia e, per la prima volta, nella notte tra il 31 dicembre 1861 e il 1° gennaio 1862, si provò a tracciare una fotografia della popolazione, con una suddivisione per sesso, età, stato civile e attività lavorativa.
L’8 settembre 1861 fu presentato il decreto che indiceva il primo Censimento generale e contemporaneo di tutta la popolazione italiana convertito poi in legge il 20 febbraio 1862, quando le operazioni erano già state concluse. Il ministro dell’agricoltura, Filippo Cordova relazionò sulla necessità di un censimento vista la variegata composizione del neonato Regno, e visto che in alcuni degli ex Stati preunitari non si registrava un’attività in tal senso da oltre trent’anni. In soli tre mesi furono eseguite le operazioni preliminari: in ogni comune fu istituita una giunta di statistica con il compito di seguire i lavori del municipio e nelle 59 province del Regno furono costituiti gli Uffici permanenti di statistica. I dati raccolti delinearono ovviamente un quadro che appare lontano anni luce dall’Italia che verrà. “La penisola del 1861 risultò essere una società contadina povera con quasi il 70% della popolazione impegnata nel lavoro dei campi. C’era poco cibo, malgrado la fatica quotidiana dall’alba al tramonto. L’acqua la si tirava con i secchi dal pozzo. Non ci si lavava spesso. Quasi nessuno aveva una vasca da bagno ed un gabinetto. Non c’era neppure la luce elettrica. Si partoriva in casa, con seri rischi di infezione. La mortalità infantile era altissima: il 23% dei bambini moriva nel primo anno di vita, a volte per una semplice un’infezione. Gli abiti e le scarpe dovevano durare fino a completa consunzione” (Piero Angela, A cosa serve la politica, Mondadori 2011) .
«Poveri di sicuro eravamo nel 1861, con un reddito per abitante paragonabile a quello dell’Africa sub-sahariana e una vita media di 30 anni, una famiglia operaia di 4 persone doveva cavarsela con 200 euro attuali al mese» (Gianni Toniolo, Il Sole 24 Ore, 6/11/2011). I residenti risultarono 22.182.377 (che salivano a circa 26 milioni, considerando le zone non ancora annesse. Mancavano ancora il Lazio, governato da papa Pio IX, e il Nord-Est, in mano agli austriaci.), con un 51% di maschi. L’età media era di 27 anni, mentre la percentuale degli ultrasettantenni era ridottissima. Una popolazione, di gran lunga, più giovane di quella attuale. Le città più popolose risultarono nell’ordine: Napoli (447mila circa), Torino (204mila) e Milano (196mila). Ma senz’altro Il dato più allarmante era legato al livello di analfabetismo: il 78% degli italiani non era in grado di leggere e scrivere, con picchi del 90% in Calabria, Sicilia e Sardegna. Registrato per legge ogni dieci anni, il censimento venne affidato dal 1926 all’Istituto nazionale di statistica (ISTAT). L’ultimo, completato nel 2011 (il primo a permettere la compilazione del questionario via web sul sito dell’Istat), ha interessato una popolazione residente di 59.433.744. Gli Atti del primo censimento, suddivisi in sei parti, furono pubblicati nel 1864. A La Maddalena una popolazione di 1.901 residenti, sindaco Luigi Attene e parroco don Michele Mamia Addis. In Sardegna gli abitanti sono 588.064.