Correva l’anno 1861
Prima dell’Unità i collegamenti marittimi con il Continente erano assicurati, nella provincia di Sassari, da tre viaggi mensili tra Porto Torres e Genova. Con la convenzione del 1861 la frequenza diviene bisettimanale, con scali a Livorno, Bastia e La Maddalena, e si arriva all’istituzione di una nuova linea che partendo da Cagliari toccherà i porti della costa orientale, dapprima fino a La Maddalena e poi a Porto Torres. In base a tale convenzione la compagnia Rubattino & C. è costretta a utilizzare piroscafi più moderni. Con la nuova convenzione tra lo Stato e Società Rubattino (che era riuscito nel 1851 ad avere l’autorizzazione a collegare Genova con la Sardegna e la linea Genova-Porto Torres, con il postale, una volta al mese approdava a La Maddalena) la fermata divenne bisettimanale, nel 1877 altra convenzione e questa volta il viaggio divenne settimanale. La linea partiva da Genova, toccava Livorno, La Maddalena e Porto Torres. Dopo qualche anno Florio e Rubattino operarono una fusione e nacque la Navigazione Generale Italiana, che avrà una sede e un rappresentante anche a La Maddalena,in via XX settembre (palazzo Aiassa) dove oggi ha sede la Banca di Sassari, il sig. Fongi era l’agente e la torretta che è all’ultimo piano del palazzo, da cui vedeva arrivare i piroscafi, fu chiamata torre Fongi, il porto, anche per tutti gli isolani, fu “u molu” contrapposto a Bassa Marina dove operavano i pescatori, quasi tutti originari della Campania. La N.G.I. diede un notevole impulso all’economia isolana con i suoi collegamenti: settimanalmente una linea collegava La Maddalena a Golfo Aranci-Terranova e Cagliari, la piazzaforte militare (1887) aveva triplicato il movimento merci e passeggeri, tanto che al Molo fu necessario demolire il piccolo monumento che aveva sulla cima una palla lanciata da Napoleone nel 1793 (oggi conservata nel municipio). Nel 1896 Francesco Corona ci segnala che da Palau si può raggiungere l’isola anche da Golfo Aranci due volte la settimana, l’agente della N.G.I. è il sig. Boselli cav. Ernesto, gli armatori Ornano Domenico, Tanca Santo, Zonza Giuseppe, i capitani marittimi Bargone Antonio, Culiolo Salvatore, Lantieri cav. Domenico, Susini Giuseppe, Susini Francesco, Zicavo Gerolamo, Zonza Antonio.
Da “I viaggiatori dell’Ottocento in Sardegna” a cura di Alberto Boscolo – La Biblioteca dell’identità – L’Unione Sarda (agosto 2003), riportiamo alcuni (scarsi e poco significativi) brani del saggio L’ile de Sardaigne (1861) di Gustave Jourdan (a cura di Manlio Brigaglia), “uomo d’affari che, deluso per non essere riuscito dopo un anno di soggiorno a coltivare gli asfodeli per ottenere alcool, si scaglia, risentito, contro i sardi”.
“Quando ci si arriva si sta appena abbandonando la Sardegna e la si vede ancora, è là davanti; ma non vi si è più, se ne è ormai lontani mille miglia; il costume, la parlata, le case, l’aria, tutto è cambiato e ingentilito; l’aria è pura e la si respira dolcemente; i visi sorridono, non si ha più paura di guardarli. Io perdono molto alla Sardegna proprio per merito di Carlo Forte e La Maddalena; è certo che se l’isola madre non fosse così brutta, le sue due figlie minori non sarebbero forse così graziose.
Carlo-Forte è a sud, La Maddalena a nord. La popolazione di Carlo-Forte, di origine ligure, è formata da Tabarchini; proscritti più di un secolo fa, ottennero da un principe di casa Savoia il permesso di stabilirsi a loro scelta sulla penisola di S. Antonio o nell’isola di San Pietro.
La Maddalena invece è stata popolata da dei Livornesi; ai suoi primitivi abitanti si sono aggiunti poi più tardi alcuni Corsi e perfino degli Inglesi. Nascosta in mezzo al gruppo delle isole Sparagi, la si direbbe bagnata dalle acque di un lago; meno ricca e meno popolata di Carlo-Forte, è più calma e si tuffa felice nella doppia serenità del suo cielo e delle sue acque.
Ma per quanto Carlo-Forte e La Maddalena siano così dolci a vedersi, esse non riescono a far dimenticare la Sardegna che per un momento, perché il viaggiatore è presto costretto a tornarvi indietro; torniamo con lui anche noi alle sue rive, ma per dir loro addio“.
gennaio
Garibaldi si è ritirato nella sua isola, ma non vive certo in solitudine. Indro Montanelli, che con il “Mito Garibaldi” non è mai stato tenero, descrive così, sarcasticamente, la Caprera di quei giorni: “Ogni venerdì sul piccolo molo dell’isola il postale rovesciava torme di visitatori. Arrivano vecchi amici, commilitoni, idolatri cui bastava una firma sull’album, emancipatrici americane, deputazioni patriottiche, politicanti, portatori di programmi incendiari, emissari occulti di Mazzini, agenti segreti del Re, carovane di emigrati veneti, triestini, istriani, romani, proscritti ungheresi, polacchi, spagnoli, greci, tedeschi, russi, serbi, valacchi. Garibaldi riceveva tutti ascoltava tutti e a tutti ripeteva: A primavera!….A primavera……“. Inizia la costruzione del secondo piano della “Casa bianca”. Nel 1866 il piano superiore verrà demolito perché minaccia di crollare.
2 febbraio
Nella lettera del 2 febbraio 1861 indirizzata dal maresciallo Tanchisal al maggiore Sanjust si legge “…il Garibaldi sta ora fabbricando una casa di 4 membri, attigua all’altra abitata da lui. Dice aver bisogno d’allargarsi giacchè nei 7 od 8 membri dell’antica casa si vive assai ristretti a causa di molti visitatori. Il fabbrico è già incamminato da 4 mastri che vi lavorano da pochi giorni“. Dai testi di altri autori e dalle numerose riproduzioni dell’abitazione si evince che all’originaria casa a pianta quadrata venne aggiunto un corpo a pianta rettangolare su due piani. Il secondo piano venne presto demolito per dissesti statici e Garibaldi non lo volle più ricostruire. Il corpo aggiunto completo dei due piani compare in fotografie databili al 1865 c.a.

17 – 18 febbraio
Giunge a Caprera, una delegazione del Comune di Sassari, guidata dal Sindaco Simone Manca, per comunicare all’eroe la sua nomina a cittadino onorario; “La mattina del 17 febbraio 1861, sul piroscafo San Giorgio, la Deputazione sassarese, composta dalle rappresentanze del Municipio, .del comitato del consiglio provinciale, della Guardia Nazionale, del Ginnasio e della Società operaia, salpava da Portotorres alla volta di Caprera, onde presentare il diploma di cittadinanza sassarese e complimentare il Generale Garibaldi. Dopo sei ore di viaggio la Deputazione arrivò all’isola della Maddalena, dove ebbe dalla popolazione un entusiastico ricevimento. Il giorno seguente, un’ora dopo mezzogiorno, accompagnati dal sindaco della Maddalena e dagli amici, i componenti la Commissione si diressero con le barche a Caprera, dove arrivarono dopo un’ora di tragitto. Il Generale Garibaldi venne loro incontro. Il sindaco di Sassari si avanzò per il primo, e dopo un breve discorso, gli presentò il diploma. Ecco le parole del Generale, raccolte fedelmente da uno della Commissione: Accetto di cuore l’offerta che la Comune di Sassari mi fa; tanto più perché quella Città è la mia patria di vocazione. lo sono profondamente commosso dalle dimostrazioni che mi vengono da questi rappresentanti dell’Autorità e del popolo, a cui io appartengo; né ho parole che valgano ad esprimere la mia gratitudine. Alcuni giornali parlano, è vero, d’un indecoroso baratto dell’isola di Sardegna allo straniero, non altrimenti che toccò alla Savoia ed all’amata e sventurata mia Nizza. Non posso credere a tanta disgrazia; 124 Storia della Sardegna non è possibile che una nuova sventura si aggravi sull’Italia; e questa sarebbe la massima, poiché a mio credere la Sardegna è il punto più importante e strategico del Mediterraneo, e guai all’Italia se ne lasciasse privare! Ho fiducia in Vittorio Emanuele, il quale non usurpa certamente il titolo di Galantuomo, e credo che non acconsentirà giammai a nuove cessioni, a nuovi smembramenti di questa Italia che tutti vogliamo Una … lo, che ho consacrato la mia vita sull’altare della patria, farei volentieri qualunque sacrificio a pro specialmente di quest’isola, di cui mi dico cittadino per vocazione ed elezione, e credo che i Sardi non mi lascerebbero solo in tale emergenza, giacché tutto dipende principalmente dalla loro volontà e risolutezza .. . Desidero dunque, signori, vogliate attestare ai vostri rappresentanti la viva gratitudine ond’io sono compreso, e dir loro che la Sardegna ha un posto speciale nel mio cuore, e che prima d’oggi io presi ad amare la Città di Sassari; e fra i miei desideri entra quello di poter essere utile a qualunque tempo, in qualsiasi modo alla mia patria elettiva, ai buoni Sassaresi che mi vollero onorare della loro cittadinanza della quale vi dichiaro di andare superbo». Offrì quindi alla comitiva caffè e sigari, ed invitò tutti a visitare il suo giardino, dove le piante d’aranci e d’ulivi, arrivate il dì prima da Sassari, erano state già affidate alla terra. E. Costa, Sassari, Sassari 1885 (ristampa a cura di E. Cadoni, Sassari 1992).
marzo
Il Panfilo Emma di Alessandro Dumas è alla fonda nelle acque di Caprera. Contemporaneamente Carlo Comaschi partecipa ad un viaggio a Caprera per andare a trovare Giuseppe Garibaldi. Il viaggio è organizzato da Franco Mistrali ed ha lo scopo di portare da Garibaldi un gruppo di rappresentanti delle associazioni operaie e degli ex-volontari per invitare Garibaldi a riprendere la lotta per l’Unità d’Italia dato che ancora Roma e Venezia non ne facevano parte. Come vedremo il viaggio cadrà in un momento importante della storia di Garibaldi e dell’Italia.
17 marzo
Viene proclamato il Regno d’Italia. Ma gli italiani del Risorgimento non avevano ancora conquistato un’identità nazionale. L’idea di nazione (un popolo, un territorio e una lingua) non esisteva ancora: su 23 milioni di abitanti del 1861, meno di due milioni parlavano italiano. Un siciliano e un piemontese non si capivano e il 78% degli abitanti della Penisola non sapeva né leggere né scrivere. Dalla fusione della Regia Marina sarda con l’Armata di Mare Napoletana e la Granducale Marina Toscana, nasce ufficialmente la regia Marina Italiana. A queste si aggiungerà nel 1871 la Marina Pontificia. Una delegazione del Comune di Sassari si reca a Caprera a portare a Garibaldi la deliberazione consiliare che lo nomina cittadino onorario sassarese.
31 marzo
Ci si imbarca portando con sé, come ricordo, mazzi di fiori fatti con conchiglie foggiate artisticamente e pane azzimo di Pasqua foggiato a forma di due pesci che reggono l’uovo benedetto. Sull’Italia si imbarcano anche Leggero, Gusmaroli e Padre Giovanni che raccontano che Garibaldi si duole di dover abbandonare i suoi fiori proprio ora che la primavera li fa sbocciare. Si parte verso sera quando si vede ancora la colonna di fumo dell’Ichnusa alla punta estrema di Caprera. Quando cala la notte si vedono ancora le Bocche di Bonifacio.
8 aprile
Dopo l’impresa dei Mille, Garibaldi fu eletto deputato a Napoli fece una delle sue poche apparizioni al Parlamento Subalpino in una seduta durante la quale, in camicia rossa, poncho grigio sulle spalle e sombrero in mano, aveva lanciato dure accuse al governo. La diplomazia non era certo la sua migliore qualità e quello del politico non era il suo mestiere; lasciò Torino e si ritirò nella pace di Caprera circondato dai fedeli compagni di tante battaglie. Fra coloro che lo avevano seguito, oltre a Nino Bixio, Giacomo Medici, Francesco Crispi, Gaetano Sacchi e Giuseppe Missori, c’era il colonnello Candido Augusto Vecchi, il difensore della Repubblica Romana, in veste di infaticabile segretario costantemente all’opera con tutti gli altri nella casa di ferro che era stato dono di Felice Origoni. Proprio quell’anno il Vecchi aveva fatto conoscere in tutto il mondo la lontana isola del Generale dando alle stampe il suo libro ”Garibaldi e Caprera”, edito dapprima a Torino e l’anno successivo a Napoli e poi a Stoccolma, Utrecht, Lipsia e Londra nelle traduzioni in svedese, olandese, francese, tedesco e inglese. “Ho cominciato la mia “carriera” di corsaro in Brasile liberando alcuni schiavi neri. Nella Guerra Civile americana ero quindi schierato con il Nord. Un giorno l’ambasciatore americano a Bruxelles Sanford venne a Caprera. Mi propose di assumere il comando di una armata nordista. Fui tentato di accettare. Scrissi a Vittorio Emanuele: “Sire, il presidente degli Stati Uniti mi offre il comando di quell’esercito ed io mi trovo in obbligo di accettare tale missione per un Paese di cui sono cittadino.” Ebbi il suo consenso. Posi agli americani due condizioni: il comando delle forze armate e, soprattutto, un’esplicita dichiarazione di Lincoln sull’abolizione della schiavitù. Intanto arrivavano appelli perché non lasciassi l’Italia: 22.000 firme solo da Napoli! Da Washington mi risposero che il comando supremo dell’esercito spettava al Presidente, e che l’abolizione dello schiavismo era un complesso procedimento politico (in realtà non era quello il principale motivo della guerra…).Mi fu proposto il grado di generale di divisione al comando di un’armata, quindi la successiva nomina a Maggior Generale, massimo grado dell’esercito americano.
Non convinto, e sempre in attesa di un’occasione favorevole per fare finalmente di Roma la capitale d’Italia, rifiutai. L’offerta mi venne rinnovata nel 1862 e probabilmente l’avrei accettata ma dopo la sfortunata giornata di Aspromonte ero ferito alla gamba e prigioniero“. Vedi anche: La proposta di Lincoln.
18 aprile
Garibaldi e Cavour si scontrano in parlamento sul problema dell’esercito meridionale. Il Generale aveva distribuito gradi a circa 7000 uomini che una volta finita la guerra non erano stati inglobati dall’esercito regolare, ma lasciati al loro destino. Cavour non aveva potuto inglobare tutte quelle persone graduate all’interno delle gerarchie sabaude, da sempre molto rigide e improntate al merito, la questione approdò dunque in parlamento che dopo solo un mese di vita dovette affrontare questa spinosa questione.
14 maggio
Con delibera comunale della città di Cagliari, viene riconosciuta la cittadinanza onoraria all’Eroe dei due mondi.
15 maggio
Troviamo Giuseppe Garibaldi a Terranova Pausania (attuale Olbia) a recitare il ruolo di padrino di battesimo della piccola Giuseppe Teresa Maddalena Bertoleoni, figlia di Paolo e Maddalena Favale, la bimba era nata a gennaio sull’isola di Tavolara. Vedi Video: L’orto di Tavolara – Storie e memorie di un’isola
26 maggio
Teresa Garibaldi, che ha appena compiuto 16 anni, sposa Stefano Canzio, di 24. Contrassero matrimonio religioso, non in chiesa, a Santa Maria Maddalena ma nella casa di Caprera, e fu celebrato dal parroco don Michele Mamia Addis che benedisse Teresita figlia di Anita, e lo sposo di fronte ad un commosso Garibaldi, al sindaco Nicolao Susini, al notaio Domenico Culiolo e al testimone alle nozze il Generale Avezzana. Teresita fu sposa di maggio, quando a Caprera sono in fiore le ginestre e gli asfodeli. Gli sposi vanno ad abitare a Genova. Canzio e Teresita ebbero bel sedici figli, parte dei quali nati a Caprera. Fu per accudire a questi bambini che arrivò nell’isola Francesca Armosino, destinata a diventare prima la compagna poi la moglie.
30 maggio
Federico Bellazzi, del Comitato garibaldino di Genova, con una sua lettera ”riservatissima”, avvertiva il segretario di Garibaldi a Caprera Giovanni Basso: “Egregio Signore Magg. Basso presso il Generale Garibaldi Caprera – Viene riferito a questo Ufficio che dai nemici d’Italia fu trasmesso un messaggio di sangue contro la preziosa vita del Generale Garibaldi. Viene pure riferito che la R. Questura di Genova ebbe pure una simile relazione e che veglia allo scopo di conoscere l’assassino che dovrebbe recarsi costì a consumare il delitto. Giova sperare che sia un mero sospetto, ma intanto bisogna stare all’erta. Il Comitato veglia: però vi accludo copia del ritratto di un individuo sospetto, già carcerato in Napoli, conosciuto sotto il nome di Maschera di Ferro. Badate che attualmente si fece recidere i capelli. Vegliate, io farò lo stesso da parte mia. Nulla di ciò scrivo a Garibaldi, val meglio che ne siate istrutto voi solo che saprete provvedere secondo vi suggeriranno l’affetto che vi scalda il cuore pel Generale e la saviezza per cui tanto siete distinto. Potendo raccogliere altro scriverò ancora. Accusate ricevuta per questa mia. Saluti, devotissimo vostro. Federico Bellazzi”. La minaccia di un attentato alla vita di Garibaldi era però giunta nell’isola anche per altre vie.
12 giugno
Garibaldi salva una nave, la Pintade, che rischia di affondare fra La Maddalena e Caprera.
14 giugno
La minaccia di un attentato alla vita di Garibaldi era però giunta nell’isola anche per altre vie; sappiamo infatti che con una lettera del 6 maggio 1861 Nicolò Ghisotti Morosini lo aveva avvertito da Firenze e che il 14 giugno successivo, su invito del governo di Torino, il sindaco Pietro Susini aveva emesso un bando che vietava a qualsiasi imbarcazione di avvicinarsi a Caprera se non espressamente autorizzata. A protezione dell’illustre ospite fu immediatamente distaccato nell’isola un presidio di bersaglieri. La voce si era poi sparsa fra la gente e l’intera popolazione di La Maddalena vigilava su ogni forestiero che compariva nell’isola. I provvedimenti del sindaco Susini e le cautele da lui adottate per proteggere Garibaldi, non solo come personaggio di riguardo, ma soprattutto come amico devoto, non sfuggirono al governatore di Sassari Daziani che il 9 settembre 1861 gli indirizzava la seguente lettera ”confidenziale”: “Il sottoscritto tenendo dietro già da qualche tempo agli avvenimenti seguiti in Caprera nei rapporti del Generale Garibaldi ed alle provvidenze e misure che si sono adottate e impartite per appurare e scoprire fatti che appaiono tuttora inesplicabili, non può egli non accorgersi dell’opera dell’intelligente Sindaco della Maddalena il quale, mostrando evidentemente di apprezzare la fortuna della dimora dell’illustre uomo nel suo raggio giurisdizionale, nulla lasciò d’intentato per cooperare agli sforzi del Governo onde svolgere quei fatti dalle tenebre in cui sembrano tuttodì avvolti. Chi scrive pertanto fa assai di buon grado espressa mozione a V.S. per esprimerLe la sua viva soddisfazione ed i suoi ringraziamenti per la solerzia, intelligenza, zelo e perspicacia dimostrata in questa occasione – soddisfazione e ringraziamento che sono ben meritati anche da codesta brava popolazione e da tutte le altre autorità locali, che ebbero ad offrire saggi di indubbia devozione e di attaccamento alla persona del Generale ed al Governo del Re, che conosce suo grato dovere di adoperarsi in ogni modo onde l’illustre Generale venga in ogni circostanza protetto, riverito, difeso e premunito da ogni pericolo – e nel mentre il sottoscritto attesta la sua approvazione per il lodevole operato del Signor Sindaco, con preghiera di farla conoscere e renderla pubblica alla popolazione ed alle autorità locali, spera che anche per l’avvenire sarà sempre più meritarsi il plauso del Governo col rendere al medesimo continui e buoni servigi”. Non sappiano se Maschera di Ferro giunse mai a La Maddalena; certamente sarebbe stato subito individuato, visto che, come apprendiamo dalla lettera del governatore, tutte le autorità locali e tutta la popolazione si erano mobilitati in difesa dell’illustre ospite. Ma Garibaldi, come sempre, non prese mai in seria considerazione le minacce e il 16 agosto, cessato l’allarme, scriveva al sindaco Susini: “Preg.mo Sig. Sindaco, Sensibile alle dimostrazioni d’affetto che ella unitamente alle autorità ed alla popolazione della Maddalena mi hanno dato in questi scorsi giorni pregherei intanto di voler ritirare quel distaccamento di Bersaglieri lasciato qua di stazione perché io credo superflua la loro presenza. Nel pregarla Signor Sindaco di farsi interprete presso tutti della mia sentita gratitudine godo raffermarmi con sensi di distinta stima. Dev.mo Suo G. Garibaldi”. Vedi Maschera di ferro e l’attentato a Garibaldi
10 agosto
Antonio Susini Millelire scrive a Giorgio Asproni di aver consegnato la sua lettera a Garibaldi e lo informa del rifiuto del generale di farsi scortare dalle truppe dopo l’attentato subito a Caprera.
18 agosto
Anche Candido Augusto Vecchi informa Giorgio Asproni che Garibaldi ha rifiutato l’offerta di sorveglianza dell’isola di Caprera da parte dei gendarmi.
12 settembre
Si reca a Caprera, P.H. Marsh, Ambasciatore degli Stati Uniti a Torino in apparenza per conoscere la sua posizione sull’ipotesi proposta dal colonnello garibaldino Candido Augusto Vecchi (già membro dell’Assemblea Costituente della Repubblica Romana, amico devotissimo e finanziatore delle spedizioni di Garibaldi) di comandare le truppe confederate del Nord nella Guerra di Secessione (il Nizzardo aveva anche la cittadinanza americana). Ma l’anno seguente il Console Generale americano di Vienna e lo stesso Segretario di Stato Seward si mossero su ordine del Presidente Lincoln per smentire tale ipotesi. Colui che aveva posto le basi dell’Unità d’Italia, divenne “il vate di Caprera” e Caprera fu meta di migliaia di persone, di misteriosi emissari, di influenti personaggi. Andavano a trovarlo rappresentanti di tutti i movimenti indipendentisti o rivoluzionari europei, dai russi ai greci, agli ungheresi, ai polacchi agli spagnoli e per tutti egli aveva parole di esortazione, consigli e preziose direttive. “Fa una certa impressione pensare a Giuseppe Garibaldi vestito come il generale Custer, mentre ordina , al trombettiere di lanciare gli squilli per il quadrato. Oppure immaginarlo come un importante personaggio , interpretato da un buon attore, in Via col Vento . Insomma, il nostro Garibaldi, diventato un «soldato blu» che parte alla carica per affrontare le trincee dei sudisti, nelle più celebri e sanguinose battaglie della guerra di Secessione americana. Avrebbe potuto accadere, eccome. Lui, a Caprera, ebbe più di una proposta in questo senso, ma, alla fine non se ne fece di nulla. Nei convegni e nelle tavole rotonde, in corso in tutta Italia, nelle mostre, nelle celebrazioni e nei libri, per ricordare il generale, non mi pare ci sia stato qualcuno che si sia proposto di esplorare, nel modo dovuto, anche questa singolare faccenda del nostro eroe. Non fu cosa di poco conto e ne parlarono tutti i giornali italiani e americani. Certo, gli storici conoscono a memoria lettere, carte e materiali di ogni genere su quella storia. Per loro, dunque, non è davvero cosa nuova. Ma molti italiani hanno sempre pensato che si trattasse di uno dei tanti «fatti» raccontati e spiegati ,soltanto per contribuire, ancora una volta, al mito garibaldino. E cioè alla leggenda di un Garibaldi generoso e impulsivo, sempre pronto ad accorrere in ogni angolo della terra per aiutare i poveri, gli oppressi e coloro che stavano cercando una patria e un focolare. Quindi una specie di bufala ben raccontata, ma niente di più. Fu lo storico americano Herbert Mitgang ( poi ripreso da mille altri), negli anni Settanta, nella sua biografia di Lincoln, a trovare i documenti che testimoniavano lo svolgersi delle cose. Era tutto vero. Le cose, come è ben noto, iniziarono con la sanguinosa sconfitta nordista di Bull Run, in Virginia e con la temutissima avanzata dei Confederati. I nordisti erano comandati dal generale Winfield Scott, un vecchio e tronfio reduce di altre guerre, incapace di accettare ogni modernità negli scontri armati. Il Segretario di Stato William Steward, invece, aveva il terrore che in Europa si spargesse la voce delle sconfitte nordiste. Ma aveva anche un’altra preoccupazione: che i Sudisti riuscissero a raccogliere volontari che potevano arrivare da oltre Atlantico, insieme a grandi quantità di armi. Anche Lincoln appariva pieno di incertezze. Proprio in quei giorni, il trimestrale di Boston The North American Review aveva pubblicato, nel recensire un libro sul Risorgimento italiano, un bell’articolo su Garibaldi, sulle sue capacità militari, sulla Repubblica romana e sul 1860. Nell’articolo si ricordava che il generale italiano aveva sempre dichiarato di considerare gli Stati Uniti come la sua seconda patria, dopo la permanenza a New York dal 1850 al 1851. Lui, quindi, «quel rivoluzionario al servizio del re», poteva essere la soluzione. Garibaldi, in quella calda estate del 1861, era a Caprera, immobilizzato dai reumatismi, ma seguiva con grande attenzione la guerra americana parteggiando, ovviamente, per il Nord antischiavista. Lui, nelle Americhe, era diventato famoso per le sue imprese militari e per le scelte sempre coraggiose e sempre per la libertà. Insomma, il mito di quell’uomo in camicia rossa, era già concretamente affermato. Uno degli uomini, che rispondeva alle lettere per conto di Garibaldi, dopo aver letto l’articolo dell’ American Review, scrisse una lettera di ringraziamento alla rivista e spiegò anche quanto Garibaldi fosse entusiasta della lotta del Nord contro il Sud per liberare i neri dalla schiavitù. Al punto di affermare, spesso, che si sarebbe volentieri arruolato con i soldati di Lincoln. Prese allora avvio un’incredibile e misteriosa missione diplomatica americana. Quella di avvicinare in qualche modo Garibaldi per sentire se davvero voleva combattere insieme ai soldati del Nord: fu l’autore dell’articolo sulla American Review Henry H. Tucherman a parlare della cosa al console americano ad Anversa James W. Quiggle. Costui, dopo avere informato il proprio governo, scrisse a Garibaldi proponendo un vero e proprio arruolamento. Tra l’altro, nel corso della sfilata per la festa dell’Indipendenza a Washington, era stata vista marciare, tra l’entusiasmo generale, una «guardia di Garibaldi» in camicia rossa, composta da italiani, ungheresi e altri emigrati europei. In America, da tempo, erano fuggiti molti ex garibaldini perseguitati dalle polizie europee. Ed erano stati loro ad essersi arruolati subito con le truppe del Nord. Garibaldi rispose a Quiggle affermando che ci voleva il permesso di Vittorio Emanuele per quell’arruolamento. Il re, infatti, poteva aver bisogno dei suoi servigi per la liberazione d’Italia. Poi, Garibaldi, voleva la certezza che Lincoln abolisse la schiavitù a Sud, altrimenti lui, non si sarebbe mai mosso da Caprera. La notizia delle trattative, ad un certo momento, finisce in modo clamoroso sui giornali americani e italiani. I nostri chiedono al generale di non andarsene. Quelli americani, invece, sono entusiasti all’idea che Garibaldi diventi un generale americano e assuma il comando della guerra. A quel punto, Steward, il segretario di stato di Lincoln, ordina all’ambasciatore a Bruxelles, Sanford, di partire immediatamente per l’Italia e di andare a Caprera per parlare di persona con il generale. Sanford obbedisce, ma prima passa per Torino e viene a sapere che il re ha autorizzato Garibaldi a partire per l’America: «In Italia, in quel momento non c’è niente da fare» avevano fatto sapere alla corte sabauda. Dunque Sanford arriva a Caprera e dice a Garibaldi che sono già pronte le carte di viaggio per l’America per lui e il suo stato maggiore. Ma il generale, fermo e durissimo insiste: «Voglio il comando dell’esercito dell’Unione e i poteri per abolire la schiavitù». Per quanto se ne sa è un botta e risposta dura e lunghissima senza alcuna conclusione. Per Sanford non era possibile concedere il comando di tutto l’esercito unionista al generale italiano. In America sarebbe scoppiato un pandemonio con tutti gli altri generali e con il mondo militare che veniva da West Point. Lincoln lo avrebbe comunque fatto generale e gli avrebbe affidato un comando importantissimo. Anche per non insultare direttamente il buon Ulisse Grant. Piano, piano, la gran fregola per Garibaldi in America, passa e anche lui, il generale, si calma e non parla più di quella «follia». Ma diverse centinaia dei suoi garibaldini si arruolarono, comunque, con i nordisti e combatterono con coraggio e determinazione. Garibaldi, dunque, anche questa volta, aveva messo un segno perfino sulla guerra di secessione.”
31 dicembre
Erano passati 9 mesi dalla nascita del Regno d’Italia e, per la prima volta, nella notte tra il 31 dicembre 1861 e il 1° gennaio 1862, si provò a tracciare una fotografia della popolazione, con una suddivisione per sesso, età, stato civile e attività lavorativa.
L’8 settembre 1861 fu presentato il decreto che indiceva il primo Censimento generale e contemporaneo di tutta la popolazione italiana convertito poi in legge il 20 febbraio 1862, quando le operazioni erano già state concluse. Il ministro dell’agricoltura, Filippo Cordova relazionò sulla necessità di un censimento vista la variegata composizione del neonato Regno, e visto che in alcuni degli ex Stati preunitari non si registrava un’attività in tal senso da oltre trent’anni. In soli tre mesi furono eseguite le operazioni preliminari: in ogni comune fu istituita una giunta di statistica con il compito di seguire i lavori del municipio e nelle 59 province del Regno furono costituiti gli Uffici permanenti di statistica. I dati raccolti delinearono ovviamente un quadro che appare lontano anni luce dall’Italia che verrà. “La penisola del 1861 risultò essere una società contadina povera con quasi il 70% della popolazione impegnata nel lavoro dei campi. C’era poco cibo, malgrado la fatica quotidiana dall’alba al tramonto. L’acqua la si tirava con i secchi dal pozzo. Non ci si lavava spesso. Quasi nessuno aveva una vasca da bagno ed un gabinetto. Non c’era neppure la luce elettrica. Si partoriva in casa, con seri rischi di infezione. La mortalità infantile era altissima: il 23% dei bambini moriva nel primo anno di vita, a volte per una semplice un’infezione. Gli abiti e le scarpe dovevano durare fino a completa consunzione” (Piero Angela, A cosa serve la politica, Mondadori 2011) .
«Poveri di sicuro eravamo nel 1861, con un reddito per abitante paragonabile a quello dell’Africa sub-sahariana e una vita media di 30 anni, una famiglia operaia di 4 persone doveva cavarsela con 200 euro attuali al mese» (Gianni Toniolo, Il Sole 24 Ore, 6/11/2011). I residenti risultarono 22.182.377 (che salivano a circa 26 milioni, considerando le zone non ancora annesse. Mancavano ancora il Lazio, governato da papa Pio IX, e il Nord-Est, in mano agli austriaci.), con un 51% di maschi. L’età media era di 27 anni, mentre la percentuale degli ultrasettantenni era ridottissima. Una popolazione, di gran lunga, più giovane di quella attuale. Le città più popolose risultarono nell’ordine: Napoli (447mila circa), Torino (204mila) e Milano (196mila). Ma senz’altro Il dato più allarmante era legato al livello di analfabetismo: il 78% degli italiani non era in grado di leggere e scrivere, con picchi del 90% in Calabria, Sicilia e Sardegna. Registrato per legge ogni dieci anni, il censimento venne affidato dal 1926 all’Istituto nazionale di statistica (ISTAT). L’ultimo, completato nel 2011 (il primo a permettere la compilazione del questionario via web sul sito dell’Istat), ha interessato una popolazione residente di 59.433.744. Gli Atti del primo censimento, suddivisi in sei parti, furono pubblicati nel 1864. A La Maddalena una popolazione di 1.901 residenti, sindaco Luigi Attene e parroco don Michele Mamia Addis. In Sardegna gli abitanti sono 588.064.