Correva l’anno 1874
Entrano in funzione i fari di Capo di Feno e di Lavezzi.
La legge sul macinato, che prevede, fra l’altro, la proibizione di macinare il grano a casa, aggrava le spese delle famiglie. In seguito ad alcuni arresti di donne trovate nell’atto di macinare in proprio, scatta una rivolta popolare con disordini in piazza guidati da Francesca Tosto chiamata A Longa. La lavorazione del granito richiama operai dal continente con una media di 15 all’anno: si tratta, però, di lavoro prevalentemente stagionale.
A santa Teresa, causa di due ricorsi si annullano le operazioni elettorali del 26 luglio. Il maestro Antonio Branca viene riconfermato per l’anno 1874-75; si avviano anche le classi terza e quarta con il maestro Salvatore Pinna.
18 gennaio
Il Consiglio comunale di Santa Teresa chiede che la strada nazionale, che secondo il progetto deve arrivare fino al paese, arrivi, invece, al porto, dove l’amministrazione pensa di costruire un piccolo molo per sviluppare il commercio marittimo. Gli abitanti sono 1726. Nelle campagne vi sono sette lavorazioni di carbone.
13 febbraio
Presso Capo Testa naufraga il battello S. Giovanni Battista, comandato da Francesco Locci di Procida. Il fanalista Isidoro Balzano salva un marinaio semiassiderato. Nel porto entra il vapore da guerra italiano L’Aquila per assicurare le operazioni di posa del cavo telegrafico sottomarino.
17 febbraio
Un regio decreto istituisce a Ozieri l’Istituto per l’Allevamento ippico.
19 febbraio
Una dimostrazione accesa di un folto gruppo di donne contro l’odiosa tassa sul macinato: il nuovo governo aveva stabilito che tutto il grano dovesse essere macinato presso i mulini in modo da poterne valutare le quantità e le conseguenti imposte da pagare. A La Maddalena le donne provvedevano da sole a questo lavoro, a casa loro, all’alba, usando le piccole mole a mano tradizionali: in questo modo aggiravano la norma e non pagavano la tassa. Quella mattina i carabinieri erano usciti presto dalla caserma per sorprendere le fuorilegge e ne avevano arrestato due in flagranza di reato. Ma appena la notizia si era risaputa un folto nugolo di donne si era radunato e, scendendo per la via della Pace (oggi via Goito) erano entrate in chiesa con l’intenzione di suonare le campane per protestare. Avevano trovato chiuso l’accesso al campanile e, mentre si consultavano incerte sul da farsi, era arrivato il Parroco Mamia, chiamato dalla perpetua, la bastiese Maddalena Pagnetta. Mamia aveva affrontato la situazione con molta calma, aveva detto risolutamente che campane non se ne suonavano e, alla obiezione che ai tempi del colera la cosa era stata concessa, replicava che ora la questione (che egli definiva tanto danno) poteva essere risolta dal sindaco e, quindi, le faceva uscire dalla chiesa. Ma la sua testimonianza, registrata nel verbale del processo imbastito per reato di ribellione che poteva costar caro alle donne, aveva contribuito a smorzare la drammaticità degli eventi. Al contrario della perpetua, che aveva dichiarato di essersi nascosta presso l’organo all’arrivo delle donne e di essersi precipitata di corsa (malgrado i suoi 80 anni) a chiamare il Parroco perché le aveva sentite urlare “vendetta”, Mamia raccontava di aver trovato in chiesa solo donne addolorate che gridavano ” tutte che erano rovinate e molte di esse piangendo perché la tassa macinato era esorbitante”; giustificava la loro azione affermando “credo che quanto hanno operato quelle donne sia stato per dare una dimostrazione al pubblico del loro malcontento perché quest’anno è aumentata troppo la tassa del macinato che non possono assolutamente pagare”. Durante la discussione il viceparroco celebrava la messa in una cappella laterale e, malgrado si “fosse spaventato, la messa non fu interrotta” a dimostrazione del fatto che la contestazione non aveva avuto carattere violento. La testimonianza di Mamia fu fondamentale per derubricare il reato contestato e nessuno insistette per punire le dimostranti, neanche per le minacce e le offese proferite in quell’occasione contro i proprietari del mulino definiti “pidocchiosi, ladri e infami“.
2 marzo
Garibaldi aderisce alla “Lega internazionale della pace e della libertà”.
15 maggio
Viene inaugurato il faro di Lavezzi. L’originaria torre a sezione rettangolare venne sostituita da una torre rossa sezione quadrata che si eleva al di sopra di un edificio rettangolare in muratura bianca che in passato ospitava le abitazioni dei guardiani. Sulla parte sommitale della torre si trova la lanterna. Il faro è stato inaugurato nel 1874 dalla Marina nazionale francese; la sua costruzione si rese necessaria a seguito del naufragio della Sémillante del 15 febbraio 1855. Nel 1986 è stato automatizzato e munito di pannelli solari per l’alimentazione elettrica. I principali interventi sul faro possono essere così sintetizzati: 15 maggio 1874, dotazione di luce fissa bianca con settori bianchi, rossi e verdi; lente di lunghezza focale di 0,25 m. Nel 1874 dotazione di olio minerale; il 2 maggio 1911 dotazione di un settore antincendio bianco, rosso verde, 2 occlusioni ogni 8 secondi, lente di lunghezza focale di 0,25 m.
Nel 1911 dotazione di vapore all’olio. Nel 1986 si registrano interventi di automazione, nel 1999 dotazione di luce di settore bianca e rossa, 2 occultazioni ogni 6 secondi.
26 giugno
21 luglio
Una lettera inviata da Enrico Albanese, commilitone, amico e medico di Garibaldi, a sua moglie, apre uno squarcio drammatico sulle condizioni economiche di Garibaldi e sulla vita a Caprera a quel tempo. eccone alcuni stralci: “Sono a Caprera dopo sette anni di assenza…Oh come tutto è mutato, quei piccoli campi preparati con tanti stenti e con tanto amore dieci anni addietro ora sono nuovamente pieni di erbe selvatiche …. Incontro una vecchia cavalla magra, è la Marsala, poi due, tre, quattro vacche magrissime, finalmente sono presso la casa, le finestre sono tutte chiuse e vederla sembra una tomba…. Basso (il segretario di Garibaldi) mi dice: ….hai veduta l’isola. Tutto abbandonato, è una fortuna se ci trovi vivi. Si vive di caccia. Io ammazzo una capra selvatica per settimana. Non ci sono più soldi, siamo senza provviste, nessuno ci manda più nulla. Menotti, Ricciotti e Canzio hanno tutto consumato, anche con l’amore di questo povero vecchio…. Ora il generale scrive, riscrive e guadagna qualcosa da comprare il pane… Più tardi il Generale mi invita a bere il caffè con lui, si beve il caffè d’orzo. “caro Albanese, non so se vi piacerà, non abbiamo più caffè neri, siamo poveri e vi adatterete a noi” … Più tardi si va a pranzo, è tutta la capra che fa la festa. Capra in umido con cipolla, capra stufato, capra arrosto” Albanese si ritira nella sua stanza e conclude: “Solo qui ho pianto, non credevo a tanta miseria“.
22 luglio
Pietro di San Saturnino, descrivendo la vigilia della festa patronal, scrisse: “Negli anni precedenti, secondo l’antica usanza, si soleva bruciare nella piazza della chiesa la più vecchia barca dell’Isola. Non trovandosi in quest’anno barca inservibile da accendersi, si supplì col formarsi una gran pira di ceppi giganteschi. Al chiarore delle fiamme tutti i fanciulli del luogo saltavano e ballavano.”
29 settembre
Le trame governative alle elezioni del 1874
1 ottobre
Il porto di Cala Gavetta era stato, nel 1886, annoverato fra quelli di quarta classe, malgrado le lagnanze del Comune che si vedeva costretto a provvedere in toto alla sua manutenzione e inoltre a partecipare alle spese per quello di Terranova Pausania (attuale Olbia). Si assisté così ad un degrado continuo, sopratutto del lato nord, insabbiato dallo scarico della vadina e quindi quasi impraticabile, ai crolli del muro a secco dei banchinamenti ad est e di conseguenza ai richiami reiterati da parte delle Capitaneria e della Sottoprefettura di Tempio verso il Comune che si dichiarava impotente. La grave situazione culminò nella delibera del 1 ottobre 1874 con la quale il Consiglio Comunale di La Maddalena si rifiutava di stanziare nel bilancio 1875 le spese concernenti la manutenzione del porto di Terranova, adducendo anche il motivo di avere “un porto conveniente nell’approdo dei vapori e grossi legni epperò gravato di due spese contemporanee”. Solo l’attività legata alla nuova piazzaforte marittima riportò pian piano in vita Cala Gavetta con la bonifica del lato nord, con l’asportazione del basso fondo, grazie ad una tramoggia di proprietà della Regia Marina, che veniva periodicamente prestata all’Amministrazione Comunale, con la sistemazione dei banchinamenti ad ovest riservati ai rimorchiatori militari e mercantili, pontoni e chiatte e quelli riservati ai bastimenti per il commercio; le barche da pesca fruivano della parte più interna.
17 ottobre