CronologiaMillenovecento

Correva l’anno 1964

Giovanni Nicolai è sindaco di Santa Teresa.

16 gennaio

Il 15 gennaio una nave contrabbandiera, partita da Gibilterra, era stata scoperta dal guardacoste “Paolini”, al largo di Capo Miseno, nel golfo di Napoli. Per sfuggire alla cattura i contrabbandieri speronarono l’unità delle Fiamme Gialle e si diedero alla fuga. Un finanziere, Ignazio Martella, nella violenta collisione fu catapultato in mare, dato per disperso e fortunatamente recuperato, dopo preoccupanti ricerche. I contrabbandieri si diressero verso le Bocche di Bonifacio, dove però incrociava il guardacoste “Steri”. Il giorno 16 i finanzieri intercettarono il “Brave Bunting”, che però, forte dei suoi quattro motori, per 4000 cavalli, radar, serbatoi blindati, diresse a tutta forza verso la Corsica, con manovre spericolate. Dopo vari tentativi “bonari”, lo “Steri” fu costretto ad aprire il fuoco con la mitragliera, verso la sala motori, ottenendo così la resa dell’equipaggio. Comandante dello “Steri” era il maresciallo Luciano Usai, mentre il direttore macchine era il maresciallo Vincenzo Siciliano. La nave contrabbandiera, di 150 t. di stazza e bandiera honduregna, trasportava quasi 5.000 kg. di tabacco.

31 gennaio

La Società di mutuo soccorso Elena di Montenegro è dichiarata estinta: i suoi beni patrimoniali sono trasferiti all’Ente Comunale di Assistenza.

26 aprile

Ilvarsenal-Ozierese 4-2; Reti al 9′ Sotgiu (O), 10′ Scanu G., 57′ Pala (O), 71′ Paoli, 73′ e 78′, Petri 89′.

17 maggio

L’elicottero AB47J3 di nave Rizzo, prima portaelicotteri della Marina Militare, con a bordo il pilota Zanoni e l’Ammiraglio di divisione Goretti De Flamini, sorvolava l’arcipelago di la Maddalena. Alle 11.30, nelle vicinanze di Stettino, una forte perdita di potenza al motore costringeva l’elicottero ad atterrare in zona molto impervia dell’isola.

8 giugno

Accade una tragedia del mare tra Capo Ferro e Punta Fico. Si capovolge e si arena in un basso fondale, presso l’isolotto del Porco, la M/n Aguglia del Compartimento Marittimo di Torre del Greco. Muore uno dei sei membri dell’equipaggio, sorpreso nel sonno nella sua cuccetta: gli altri si salvano a nuoto, raggiungendo la scogliera del faro di Capo d’Orso, dopo aver nuotato per oltre 300 metri contro vento. Nella convinzione che il sesto marinaio sia riuscito ad abbandonare l’Aguglia, giungono sul posto per le ricerche il “Luigi Rizzo”, alle 4,40 e il rimorchiatore “Panaria”. Alle 7,20 i sommozzatori della Marina estraevano dal locale di prora il cadavere del marinaio. Chi ha avuto la fortuna di esaminare tutti gli atti di questa tragedia, garantisce che a tratti è davvero angosciosa e drammatica, quanto l’inchiesta, per contro, è quasi esilarante. La nave trasportava casse di birra, e dai calcoli di qualche esperto militare, il capovolgimento sarebbe dovuto anche, se non soprattutto, alla birra che, riversandosi nel collo delle bottiglie, avrebbe impresso una spinta ulteriore al capovolgimento della nave in equilibrio precario per il forte vento contrario. Non conosco l’esito del processo, ma certo il caso avrebbe meritato ben più di un’inchiesta e a vari livelli. Si segnalarono, all’epoca, diversi episodi di sciacallaggio da parte degli isolani, che mentre la nave attendeva capovolta che qualcuno la portasse via, si diedero da fare per liberare le stive e il ponte di tutte le casse (o di molte) di birra. L’Aguglia, una piccola motonave di 211 tonnellate, del Compartimento marittimo di Torre del Greco, trasportava tonnellate 248,700 di birra Peroni, contenuta in 9.500 casse (6.500 sistemate in stiva e 3.000 sopra coperta) diretta a Porto Torres per consegnare il carico ai fratelli Troffa di Sassari. Imboccato il corridoio per l’arcipelago, seguendo le luci del faro, la motonave si capovolse all’improvviso senza un apparente motivo logico, a 400 metri a N-NW di Capo d’Orso. La motonave era comandata dal padrone marittimo Domenico Schiano di Cola, di 24 anni, nativo di Monte di Procida-Napoli e aveva sei uomini di equipaggio: due ufficiali, comandante compreso, e un nostromo, un marinaio, un secondo motorista e un mozzo. Tutto era filato liscio fino al momento in cui la nave, dopo aver virato a sinistra della secca di Tre Monti per dirigere verso il fanale verde di Palau, “si era trovata con la prua sollevata da un’onda, con conseguente abbassamento della poppa, mentre contemporaneamente veniva investita da una raffica improvvisa e violenta” di vento forte da N-NW che aveva colto la fiancata della nave sulla dritta, mentre oltrepassava il traverso di Capo d’Orso… A questa raffica si era aggiunta una corrente di mare da ponente, che aveva “ingavonato sulla dritta la nave che era arrivata col trincarino sulla superficie del mare, imbarcando acqua da poppa a dritta, gravitando sulla coperta, compromettendo la stabilità dell’Aguglia, dopo averne aumentato ulteriormente lo sbandamento”. Penetrata in un attimo “attraverso la porta di poppavia a dritta, nei locali alloggi e saletta, l’acqua aveva in un baleno invaso l’apparato motore. A questo punto la nave, ormai in equilibrio instabile, con la poppa, lato dritto, sempre più sollecitata dalla pressione dell’acqua, che continuamente imbarcava e che annullava ogni effetto del timone, (tanto che la ruota – come dichiarò il Mazzella – cominciò a girare vorticosamente sulla dritta per l’intera sua corsa) ruotò trasversalmente a sua volta sulla dritta fino al suo totale capovolgimento”. Il tutto si svolse in modo così improvviso e repentino in circa un minuto, un minuto e mezzo, come da dichiarazione resa dai naufraghi, tanto che mancò la materiale possibilità di svegliare il marinaio Rivieccio, addormentato a prora, nella propria cuccetta. Il Comandante dell’unità, quando si rese conto che per la nave non vi poteva essere più speranza di salvezza, si portò immediatamente nel locale sottostante alla timoneria e mentre apriva la porta della cabina del Capo motorista, svegliandolo a gran voce, attraverso il passaggio per il locale apparato motore, fece segno al motorista che vi si trovava di guardia, perché fermasse il motore e si precipitasse in coperta. Lo seguì in un baleno, dando ordine all’equipaggio di salvarsi buttandosi in acqua. Cercò poi di portarsi verso prora per tentare di svegliare il marinaio Rivieccio, ma comprese subito che non ce l’avrebbe fatta, perché giunto aggrappandosi dove poteva a metà del percorso, la nave si capovolse del tutto. Per questo motivo non fu neppure possibile salvare i documenti di bordo, i libretti dei componenti l’equipaggio ed ogni altro valore personale. L’Aguglia non affondò subito per l’aria incamerata all’interno delle stive, ma facendo vela con parte della chiglia fuori dall’acqua, continuò a spostarsi verso l’isola di Caprera. Interrogato a lungo dal Comandante della Capitaneria di porto Cantelmo, il comandante Domenico Schiano di Cola spiegò che la nave procedeva lungo la costa, e che loro si stavano orientando a vista, basandosi sulla chiarissima posizione dei fanali. Aveva accostato per superare Capo d’Orso alle ore 3 con una velocità di 8 miglia, che si era ridotta a 6 per la resistenza opposta dalle correnti di ponente”. Il comandante e il resto dell’equipaggio concordarono e insistettero su una incredibile, rapidissima raffica da settentrione, durata meno di un paio di minuti e su un’onda anomala conseguente. Egli si rendeva conto, però, che la sua versione era dura da accettare. Tanto che venivano mostrati i seguenti dati obiettivi, che parevano in contraddizione: stato del cielo sereno, barometro stazionario a 765, visibilità 2 miglia, forza del mare a 2 o 3 nodi, direzione del vento da ovest forza 4, forza della corrente da ovest, 2 miglia. Il capitano ammise pure di non aver dato ordine di trasmissione radiotelefonica con richiesta di soccorso, per mancanza di tempo, dovuta alla repentina sorpresa. La situazione in coperta, al momento del naufragio era la seguente: comandante in plancia, nostromo Giuseppe Mazzella (di 23 anni) al timone, mozzo Lorenzo Magliulo (16 anni) in plancia, il secondo motorista Felice Pagano di guardia in macchina, dopo aver rilevato il capo motorista Loreto Scotto Rinaldi, di 27 anni, che era andato a riposare nella cuccetta di poppa. Il capo motorista, avvertito l’improvviso pericolo, verificato ciò che stava succedendo, era uscito subito in coperta e si era gettato in acqua. Il Marinaio Francesco Rivieccio, (di 27 anni), addormentato nella cuccetta di prora, non potendo essere tempestivamente svegliato, perché distante una ventina di metri dal ponte di comando, non aveva fatto in tempo a risalire in coperta ed era deceduto, ingoiato sott’acqua con la nave. Da un primo superficiale esame effettuato al momento del recupero del cadavere, pareva che il marinaio (unico sposato e con due figli) non fosse morto annegato ma per una sincope sopraggiunta al momento del naufragio: una sorta di crisi cardiaca sopraggiunta nel momento in cui si era reso conto che in quella cuccetta non aveva più scampo. In realtà, il successivo esame medico-legale, depositato presso la locale Pretura, parlò di asfissia per annegamento, verificatasi esattamente tra le 3 e le 4 del mattino. Il comandante si disperò, durante la sua deposizione, per non avercela fatta materialmente a spostarsi da poppa a prora, prima che la nave si capovolgesse completamente. Aveva incitato comunque tutti, a gran voce, perché abbandonassero immediatamente la nave e, una volta in mare, così com’è prassi, cominciò a chiamare al buio tutti i suoi uomini per concordare con loro pure il da farsi, perdendo in tal modo parte del fiato e delle energie e venendo soccorso a sua volta dai suoi due motoristi. Essendo buio pesto, i naufraghi decisero di indirizzarsi a nuoto verso la luce lampeggiante del faro, che era l’unico riferimento certo. Il primo a raggiungere la scogliera fu il giovane mozzo, che spiegò in fretta al fanalista ciò che era successo. Il comandante dichiarò subito che una raffica improvvisa, non registrata da altri se non dall’equipaggio in quel paio di minuti, avrebbe trovato, al suo passaggio sulla coperta della nave, la barriera di casse di birra che aveva fatto da vela. Un dato obiettivo e documentato era invece che il vento, che aveva accompagnato l’Aguglia fino al faro di Capo d’Orso, non superava i 23 nodi da ponente. E questo vento, certo, non avrebbe in alcun modo potuto costituire pericolo per l’Aguglia. La raffica anomala, invece, improvvisa, da tramontana, che avrebbe colpito la nave nei 2 o al più 3 minuti prima del suo capovolgimento, pure non essendo stata registrata da nessuno strumento di bordo, doveva aver lasciato il segno da qualche altra parte; ma, all’epoca, la teoria di Lorenz, del battito d’ali di una farfalla in grado di scatenare l’inferno a molte miglia di distanza, a La Maddalena non poteva essere ancora nota. Nessuna altra nave in transito, nella zona, aveva segnalato il fenomeno. Ma il problema era, se mai: c’erano altre navi in transito in quel preciso momento e in quel punto esatto delle Bocche di Bonifacio? No. L’Aguglia aveva un solido scafo di acciaio, costruito in un cantiere di Osaka, in Giappone, nel 1911, per essere adibito alla pesca di altura e con un mare notevolmente più pericoloso di quello dell’arcipelago; montava un motore dell’Ansaldo di 300 HP del 1945, revisionato e in perfette condizioni. Il suo capovolgimento dunque era così assurdo, che gli inquirenti, brancolando nel buio, giunsero a formulare giustamente ogni tipo di ipotesi. Si arrivò a ipotizzare, con un complesso quanto incredibile calcolo fisico-matematico, che il peso dei liquidi di bordo (carburante, olio motore, riserva d’acqua e persino la birra che si muoveva nei colli delle 239.500 bottiglie), al momento dello sbandamento, poteva aver contribuito a “sbilanciare” la nave, tanto da renderne ancora più precario l’assetto. Si arrivò persino mettere in dubbio il tipo di imbragatura messo in atto dai camalli di Napoli, per fissare il carico, che per altro non aveva mai creato il minimo problema durante il viaggio, come confermato da tutti i marinai. Negli anni sessanta, alcuni mesi prima di questo naufragio, la natura caotica dell’atmosfera era stata studiata e compresa scientificamente da Edward Lorenz, da allora divenuto noto come il fondatore dell’odierna teoria del caos. Il nostro mitico Colonnello Bernacca della TV, a metà degli anni ’60, ne sarà il primo profeta in Italia. (Giancarlo Tusceri)

21 giugno

Esordisce con la maglia delle Polisportiva Ilvarsenal, Carlo Bartolozzi. Carlo è uno dei tanti prodotti calcistici “monetini” e, dopo la scuola dei campetti rionali, gioca nei tornei CSI ove viene notato da Zichina che lo convince a passare all’Ilvarsenal. Fa parte di un gruppo juniores di valore ed è tra i primi a giocare con la formazione maggiore. Esordisce Il 25 ottobre 1964 andando anche in gol (Ilva-Wilier 4-1); in stagione gioca ancora diverse partite dimostrandosi all’altezza dell’impegno. E’ quella una squadra di alta classifica che può contare su una base di elementi esperti e molto affidabili ai quali si affiancano diversi giovani del vivaio. In seguito gioca anche con il Maddalena, appena rifondato, al quale in quegli anni l’Ilva trasferisce i ragazzi più promettenti da far giocare con continuità in funzione del successivo inserimento nella formazione titolare. Deve poi lasciare l’Isola per motivi di lavoro; si trasferisce infatti a Porto Torres e – compatibilmente con il nuovo impegno professionale – gioca ancora al calcio; di questo periodo si ricorda una felice esperienza nello Stintino (allenata dal maddalenino Guido Pocobelli) ove si segnala andando in gol con grande facilità. Carlo Bartolozzi è una punta pura che gioca sia al centro che all’ala destra, si avvale di buone doti tecniche e atletiche, aggredisce bene gli spazi e sa concludere con efficacia. Appartiene alla schiera di ragazzi isolani che hanno dovuto lasciare il calcio maddalenino per affrontare una nuova situazione di vita. (G. Vigiano)

luglio

Michelangelo Antonioni gira a Budelli (spiaggia rosa) il film “Deserto Rosso” primo film a colori del maestro di Ferrara.

8 agosto

Il presidente Segni è colpito da trombosi.

10 agosto

Inaugurato il porto turistico di Porto Cervo.

settembre

Parte un nuovo corso Allievi Operai dell’Arsenale di Moneta, del corso fanno parte: Aversano Gian Paolo, Carta Mario, Cossu Pino, Cuomo Pietro, Di Maio Antonello, D’Oriano Giuseppe, Lenzi Giovanni, Mallio Gian Piero, Marras Domenico, Moriani Giuseppe, Pala Antonio, Piccotti Giovanni, Piredda Mario, Pirina Luigi, Rieco Vincenzo, Scampuddu Salvatore, Sulas Antonio, Torturu Mario, Totaro Adriano e Usai Adolfo.

ottobre

Dopo 196 anni dalla sua istituzione (gennaio 1768), la parrocchia di Santa Maria Maddalena subiva una sostanziale riduzione. Nasceva infatti, per volontà del vescovo mons. Giovanni Melis, la Parrocchia dell’Agonia di Nostro Signore Gesù Cristo di Moneta, territorialmente insistente dal lato ovest dell’attuale via Aldo Moro e della strada Panoramica, e comprendente il Villaggio Piras, i quartieri Barabò, Murticciola, Carone, Moneta (storicamente intesa), l’Isuleddu e tutta l’isola di Caprera. La necessità di una maggiore attenzione pastorale e di una più costante presenza della Chiesa a Moneta, fin dal 1954 indusse la Curia Vescovile di Tempio ed il vescovo mons. Carlo Re ad iniziare le procedure per l’erezione della nuova parrocchia. Nel 1956 l’ordinario diocesano don Renato Volo accelerò l’istruzione della pratica sia presso la parrocchia madre (era parroco don Salvatore Capula) che presso il Comune di La Maddalena. Si procedette alla istituzione della dote beneficiaria (tratta dalla parrocchia di Santa Maria Maddalena, non comprendente però la proprietà dell’Isuleddu) ed alla delimitazione territoriale. Il 15 maggio 1956 l’Amministrazione Comunale di La Maddalena (sindaco Pietro Ornano, assessori Impagliazzo, Pedroni, Fabio, Canolinatas, Antonetti e Campus) dichiarò formalmente necessaria l’istituzione di una nuova parrocchia e deliberò l’impegno a concorrere alle spese dell’edificio di culto (si trattava della vecchia chiesetta costruita nel 1908). Tuttavia pere alcuni anni la pratica si arenò. Vi era preoccupazione da parte del parroco don Capula di mantenere sotto di sé “l’unità di direzione spirituale dell’Isola”, come scrisse in una delle tante corrispondenze col Vescovo. Nel 1957 intanto, lo stesso don Capula, in qualità di parroco pro tempore aveva acquistato dalla famiglia Serio un vasto appezzamento di terreno adiacente la chiesa e declinante verso il mare (terreno poi attribuito alla parrocchia di Moneta). Nell’ottobre del 1963 mons. Giovanni Melis, da pochi mesi vescovo di Ampurias e Tempio, riprese in mano la pratica dell’erigenda parrocchia e, dopo aver riesaminato la situazione di La Maddalena, giudicò “opportuna in Domino l’erezione della seconda parrocchia di Moneta”, incaricando don Nanni Columbanu di raccogliere i documenti necessari per il riconoscimento civile. Nell’ottobre 1964 mons. Giovanni Melis, appena ottenuto il Decreto di Riconoscimento Civile della nuova Parrocchia, nominò parroco il 43enne don Giuseppe Riva, maddalenino.

4 novembre

Muore Renzo Larco. “Vasto cordoglio per la morte del giornalista Renzo Larco. La salma è stata tumulata nel cimitero dell’isola. Telegrammi alla vedova dai maggiori giornali d’Italia.”
Nel pomeriggio del 5 novembre, la salma di Renzo Larco, decano dei giornalisti italiani dell’ultimo cinquantennio, accompagnata da un folto stuolo di maddalenini di ogni ceto e condizione e da tutte le autorità civili, militari e politiche dell’Isola. Il corteo funebre, senza particolare pompa, secondo il desiderio più volte espresso dall’estinto, ha attraversato le vie del centro fra il profondo cordoglio dell’intera popolazione. Seguivano il feretro la moglie signora Alma, la sorella, il cognato, il sindaco dott. Josto Tramoni e la Giunta Comunale con il labaro del Comune, il capitano di vascello Mario Bruti Liberati, l’on Sebastiano Azara, l’assessore provinciale Pasqualino Serra, oltre a un folto stuolo di cittadini e di estimatori.
Numerose sono state le manifestazioni e le attestazioni di cordoglio che sono pervenute nella giornata di oggi ai familiari dell’estinto. Oltre, infatti, alle visite che si sono susseguite da ieri nell’abitazione della famiglia Larco, particolarmente significativi sono stati i telegrammi indirizzati alla vedova dalle direzioni dei giornali che conobbero in veste di inviato, redattore e collaboratore, dal Presidente della Federazione della Stampa Mario Missiroli, dal Presidente della Giunta esecutiva della stessa Federazione, Adriano Falvo e dal Presidente della Stampa Sarda Aldo Cesaraccio.
La partecipazione di una larga parte della popolazione maddalenina al cordoglio che ha colpito tutta la famiglia e le numerose attestazioni pervenute dai rappresentanti più qualificati del giornalismo nazionale, stanno a dimostrare la stima che Renzo Larco, con le sue doti precipue aveva suscitato non solo presso i concittadini, ma anche in quegli ambienti che conobbero più da vicino e altamente apprezzarono, la sua preparazione, la sua cultura, l’integrità del suo carattere e la sua intelligenza.
Nato a La Maddalena il 28 settembre 1885, Renzo Larco, dopo aver compiuto gli studi medi nella sua città natale, completò la sua preparazione in Continente, laureandosi poi giovanissimo in giurisprudenza presso l’Università di Siena. Intrapresa prestissimo la carriera giornalistica, fin dal 1911 fu iscritto al Sindacato Nazionale dei giornalisti professionisti. Iniziò giusto nel 1911 esordendo come redattore del quotidiano “La Vita” di Roma e nello stesso anno partecipò al concorso Nazionale di critica d’arte indetto dalla segreteria della mostra internazionale di arte moderna per la celebrazione del cinquantenario dell’unità d’Italia, vincendolo unitamente a Emilio Cecchi e ad critico belga. Nello stesso anno partecipò alla campagna di Libia, nella quale si distinse, meritando una medaglia di bronzo al valore e là ebbe modo di conoscere Luigi Barzini che ne apprezzò le sue qualità professionali e lo invitò a collaborare per il grande e quotato quotidiano milanese. La firma di Renzo Larco, giusto dalle colonne del “Corriere della Sera” divenne presto famosa e nota, non solo in Italia ma anche all’Estero. I servizi di Renzo Larco, che insieme a Barzini divenne uno degli inviati speciali più seguiti e letti, occuparono le colonne del quotidiano milanese per circa tredici anni, dal 1912 al 1925.
In questo lungo e brillante periodo della sua attività giornalistica, Renzo Larco, ebbe modo di seguire ben quattro conflitti. Nella veste di inviato speciale partecipò infatti alla prima guerra libica, alla prima guerra balcanica al seguito dell’esercito turco, alla seconda guerra balcanica al seguito dell’esercito greco, alla prima guerra mondiale, seguendo particolarmente gli avvenimenti sul fronte russo. L’esperienza acquisita nei suoi due anni di permanenza in Russia, lo convinsero a pubblicare per l’editore Laterza, in una collana facente parte della biblioteca di cultura moderna, un volume “La Russia e la sua rivoluzione”. Negli anni di permanenza presso la redazione del Corriere della Sera, ebbe tra l’altro, modo di conoscere Luigi Einaudi, che allora collaborava con la redazione della pagina economica del quotidiano milanese. Dal 1926 al 1928 fu inviato speciale del “Giornale d’Italia” in Sardegna. Fu poi collaboratore del “Giornale d’America” di New York, dell’Illustrazione Francese, delle riviste “Le vie ‘Italia” ed “Emporium”. Fu direttore della “Rivista” di Bergamo ed infine, per 14 anni collaborò per La Nuova Sardegna.
Nel 1952, dopo il suo ritorno nella città natale, avvenuto nell’immediato dopoguerra, partecipò attivamente alla vita maddalenina, prima con i suoi scritti, e poi, entrando a far parte dell’amministrazione comunale, risultando eletto con ampi suffragi in una lista civica e ricoprendo la carca di Sindaco. Fu proprio, anzi, in questa circostanza che Renzo Larco ebbe modo di incontrarsi (tra la sorpresa e lo stupore di quanti assistettero alla banchina dell’Ammiragliato all’amichevole e confidenziale incontro) con Luigi Einaudi, allora in veste di Presidente della Repubblica, in occasione di una visita ufficiale dell’eminente economista a Caprera. (In un articolo pubblicato sul quotidiano ‘La Nuova Sardegna’ Renzo Larco definiva la sua ambizione a ricoprire la carica di sindaco, quando aveva raggiunto i sessant’anni, come quella di “certi uomini che si rifiutano di accusare l’usura del tempo trascorso e che si abbandonato ciechi all’allettamento del demone che vuol persuaderli dell’intatta vigoria della giovinezza, si è aggiunto persino un altro filtro di seduzione, quello dell’esperienza”. E ancora “… io non mi conosco se non come vecchio giornalista che visse sempre lontano dall’isola… . Non ho attitudine alcuna al lavoro connesso a questa nuova carica… che si colora si di iridescenti splendori, ma tali che non hanno più consistenza di quelli di una piccola bolla di sapone…”)Con la dipartita di Renzo Larco, La Maddalena e la Sardegna perdono uno dei figli migliori e una delle più alte intelligenze di questo tempo.

8 novembre

Esordisce con la maglia dell’Ilvarsenal, Antonello Murri. Tira i primi calci e si forma nel gruppo dei ragazzi guidati dal Maestro Salvatore Zichina, tutti destinati ad approdare alla Prima Squadra. Nella trafila delle squadre Pulcini e Juniores già si segnala per le proprie innate doti che lo portano – ancora giovanissimo – al brillante inserimento nel nucleo della squadra maggiore. Esordisce a Sorso l’8 novembre 1964 (Josto-Ilvarsenal 1-4 con reti di Magni, Fadda e doppietta di Filinesi) ed al primo campionato registra una quindicina di presenze. Già maturo fisicamente, forte sotto l’aspetto tecnico-atletico e motivato a cercare sempre il massimo rendimento, l’anno successivo esplode disputando una stagione straordinaria. E’ l’anno dell’Ilva Baby (nella foto), e Murri gioca con una intensità ed una continuità di rendimento eccezionali imponendosi come il miglior mediano del girone. Punto di forza della rappresentativa regionale di Cenzo Soro guadagna anche la convocazione nella Nazionale Dilettanti. Gioca l’intera stagione su standard molto elevati, con l’intelligenza tattica e la regolarità di un veterano. Il suo valore non passa inosservato ed infatti l’anno successivo, con l’altro baby isolano Catuogno, passa al Cagliari e viene inserito nella squadra De Martino che comprende le riserve della Serie A. Si disimpegna bene e a fine stagione viene anche aggregato alla prima squadra per il torneo che il Cagliari disputa negli Stati Uniti, ove registra due presenze. Purtroppo quel viaggio oltre Oceano genera situazione anomale legate a vicende dal sapore “goliardico” che portano la società ad assumere alcune decisioni, tra le quali spicca l’esonero del mister Manlio Scopigno. L’anno successivo Murri passa al Quartu in Serie D, ed anche in seguito ed in momenti diversi si fa apprezzare nella stessa categoria con Tharros e Sangiovannese; da segnalare poi un impegno calcistico in Australia.
A queste importanti esperienze alterna altri tre campionati con l’Ilvarsenal che, ancora basata su un gruppo di elementi locali, compete ai vertici del massimo contesto regionale sfiorando la promozione. Nello stesso torneo lascia poi la propria impronta nell’Arzachena, con la quale nel 1974-75 perde a Nuoro la finale per la Serie D contro il Quartu, e l’anno successivo nel Porto Torres, squadra che prova a sollevare il livello delle proprie ambizioni; ormai maturo e vero uomo-squadra Murri disputa queste stagioni da protagonista.
Il richiamo dell’Isola, alla quale rimane particolarmente legato, lo porta a riassaporare l’aria di casa, e così nel triennio dal 1977 al 1980 si accorda con il Maddalena che allestisce un gruppo in grado di emergere nella Prima Categoria. Murri si mette al servizio della squadra ed è un solido supporto per i più giovani, compreso il fratello minore Mario, anch’egli destinato ad una brillante carriera culminata con la stagione in Serie C2 con l’Ilva.
Nel 1980-81 disputa un’altra stagione con la maglia bianco-celeste in un anno sfortunato caratterizzato da un avvio con l’Ilva in grado di contendere il primato al Sorso, ma poi concluso in tono minore; disputa la sua ultima gara con la maglia bianco-celeste il 29 marzo 1981 (Ilvarsenal-Ittiri 0-1). Dopo un altro anno in Promozione con il Palau di Ivo Zonza e altre tre stagioni con il Maddalena, Antonello Murri – dopo più di un ventennio dall’esordio del 1964 – lascia il calcio giocato a questi livelli, si diverte in tornei minori e di vecchie glorie ma si astiene dall’assumere incarichi di natura tecnica.
In carriera Antonello ha disputato circa 450 partite (di cui circa 150 gare e 15 reti con l’Ilva e oltre 100 e una ventina di reti con il Maddalena), ha giocato ad alti livelli ed ha sfiorato il calcio che conta. Lo ricordo come un centrocampista completo che univa qualità e quantità a un naturale senso tattico, vantava ottima tenuta atletica e giocava in modo semplice ma efficace. Ho sempre pensato che secondo le logiche del calcio attuale il suo percorso avrebbe potuto riservare ben altre soddisfazioni; giova infatti considerare che in quegli anni le rose della Serie A erano molto ristrette (il Cagliari vinse lo scudetto schierando solo 14 calciatori). Con i gruppi allargati, le tre sostituzioni ed il fitto calendario agonistico ora adottati si sarebbero formate ben altre opportunità, e poi il resto lo fanno le circostanze ed un pizzico di fortuna. Dopo una vita da mediano – e che mediano! (Gianni Vigiano)

22 novembre

Pietro Aresu è il nuovo sindaco di Palau.

6 dicembre

Antonio Segni si dimette da presidente della Repubblica; gli succede Giuseppe Saragat.