CronologiaMilleottocento

Correva l’anno 1872

Pierre Vincent Montepagano è sindaco di Bonifacio. Ricoprirà l’incarico fino al 1877. Gli abitanti sono 3616. Erasmo Carrega, futuro sindaco della città, fonda una fabbrica di tappi di sughero a Bonifacio e Porto-Vecchio.

Salvatore Culiolo è sindaco di La Maddalena. Ricoprirà l’incarico fino al 1875.

Anton Paolo Vincentelli è sindaco di Santa Teresa. Le vivaci proteste contro la tassa sul macinato provocano l’arresto di alcune donne che vengono trasferite a La Maddalena con i loro bambini: sconteranno 15 giorni di prigione nel carcere di Sant’Andrea.

Sembra che Garibaldi tenesse delle Bibbie e pare, addirittura, le facesse distribuire agli abitanti di La Maddalena. Non si trattava naturalmente di Bibbie cattoliche bensì di Bibbie protestanti tradotte in italiano da Giovanni Diodati. Scrive Cignoli, di aver scoperto la notizia “spigolando” nell’Archivio della ‘Società Biblica Britannica & Forestiera’ di Roma. In una relazione in inglese del londinese reverendo protestante Bergne è riportato quanto da lui ascoltato, a Milano, nel 1872, da un certo Rivera, ex militare dell’esercito ed all’epoca colportore (venditore ambulante di Bibbie protestanti). Rivera raccontò al rev. Bergne di aver fatto, tempo prima, un viaggio in Sardegna e di essere giunto fino a La Maddalena. Qui ebbe la gradita, per lui, sorpresa di trovare alcuni protestanti (il censimento del 1871 ne registrava in numero di 42). A loro e ad altri vendette alcune Bibbie. Poi, attraversando con una barca il braccio di mare che separa le due isole, approdò a Caprera. Qui, come tanti altri visitatori del tempo, il colportore Rivera poté incontrare Garibaldi. Con sorpresa Rivera scoprì che il Generale conservava a casa una cassa, piena a metà, di Bibbie, pronte per essere inviate a La Maddalena. Rivera informò Garibaldi di averne colà venduto parecchie nei giorni precedenti. Allora Garibaldi gli rispose che avrebbe conservato quelle Bibbie. Il Generale poi incoraggiò il colportore Rivera, dicendogli che stava facendo un buon lavoro perché stava “diffondendo la verità”. Dell’episodio Mario Cignoni, autore dell’articolo, non scrive altro. Ci domandiamo che cosa, di tutto ciò, potesse pensarne il parroco dell’epoca don Michele Mamia Addis, il quale fu amico di Garibaldi e più volte ospite del “suo modesto desco”.

27 febbraio

Muore Luigi Giuseppe Gusmaroli, nato a Mantova il 28 maggio 1811, uno degli otto preti che rinunciò alla scelta religiosa per seguire Garibaldi; Seguì il Generale a Caprera senza mai lasciarlo; quando morì a La Maddalena a 61 anni, Garibaldi dettò l’epitaffio per la sua tomba nel cimitero di La Maddalena, “ Qui giace il maggiore Luigi Gusmaroli dei Mille/ Egli vestì l’abito da prete/ quando in giovane età di ragione/ capì che non doveva essere/ della setta degli impostori/ e se fè uomo milite/ valorosissimo della libertà italiana/ pugnò in tutte le patrie battaglie/ e fu padre e marito onesto / ed amorossimo”: furono queste le parole che Garibaldi fece incidere sulla lapide che sembrava andata perduta dopo le vicissitudini seguite alla demolizione del cimitero vecchio- avvenuta nel 1948- ma che è stata riscoperta di recente, in occasione di un restauro avvenuto nel cimitero nuovo e ricollocata in un settore del campo comune, ben visibile al pubblico. Nell’Archivio Anagrafe del Comune di La Maddalena, all’atto n. 5 del Registro dei Morti per l’anno 1872, risulta l’identità dei suoi genitori ovvero Giuseppe e Maria Beolehi, il suo stato “pensionario militare”, anche se il suo nome non appare nella sopra citata Gazzetta Ufficiale fra i garibaldini che fruirono del provvedimento pensionistico a favore dei Mille di Marsala decretato con Legge 22 gennaio 1865 n. 2119, continuando risulta il nome della moglie Maria Antonia Gavini, (da cui ebbe due figli) e la sua abitazione, ove morì, ossia al civico 33 di Via Giuseppe Garibaldi ( l’attuale Via Garibaldi nella toponomastica di allora comprendeva anche l’odierno tratto di Via XX Settembre che in pratica ne costituiva l’inizio). Aveva moglie e due figli e perciò abitava a La Maddalena, dove per mantenere la famiglia si industriava a riparare le reti da pesca, ma trascorreva ogni minuto libero con i compagni della Casa Bianca. Era poverissimo. Il garibaldino Giuseppe Nuvolari scrisse in un suo libretto: “Pochi giorni prima che morisse, io fui al suo capezzale e tutto commosso mi disse:Mi dispiace, Giuspin, di morire senza averti restituito tutto quello che mi imprestasti“.

1 maggio

Esce ‘‘La Gazzetta di Sassari’’, primo quotidiano sassarese, diretto da Francesco Mariotti.

27 maggio

Brutta avventura a La Maddalena per il sarzanese Francesco Accorsi che due anni prima era stato mandato a La Maddalena quale Ispettore delle Gabelle. Costui, giunto nell’isola per adempiere alle sue funzioni in un ambiente da sempre dedito ai contrabbandi e ai piccoli traffici sui quali i suoi predecessori spesso chiudevano un occhio, oltre ad esercitare i suoi compiti con pignoleria borbonica, ma non scevra di qualche interessenza e cointeressanza, si distinse anche per le particolari attenzioni che rivolgeva alle belle maddalenine; cosa certamente non gradita ai galletti isolani, con la conseguenza che, a parte i numerosi esposti inoltrati alle autorità nei suoi confronti, non passava giorno che un anonimo e ben informato Pasquino isolano non affiggesse nottetempo un sarcastico libello a lui diretto che la mattina dopo dava occasione ai maddalenini di ”…ciattulari” non certo con molta benevolenza sia sui suoi traffici che sulle sue scappatelle. Vedi anche: Cacciato al suono dei corni marini

20 agosto

A seguito della denuncia dell’Accorsi, appena un mese dopo, veniva fissata per il 24 luglio 1872 la data del processo contro gli autori della gazzarra; l’Accorsi dovettero essere citato nella sua nuova sede di Ventimiglia ed il processo, rinviato al 20 agosto si concluse con una blanda sentenza di condanna dalla quale emergono i particolari della manifestazione inscenata dagli imputati. ”…nella notte del 21 maggio 1872 – scrive il giudice – i quattro imputati in compagnia di oltre centocinquanta individui si recarono lungo il porto di questo comune, e luogo detto la quarantena in vicinanza della quale è posta la casa ove abitava l’Ispettore delle Regie Gabelle Francesco Accorsi, e mentre colà passavano, suonavano degli strumenti che alcuni testimoni chiamarono trombe marine, altri corni da caccia, ed altri ancora portavoce, urlavano, gridavano e fischiavano. I dimostranti dopo che ebbero gridato, suonato e fischiato nella quarantena e lungo il porto, percorsero le principali contrade del paese cantando certa canzone il cui ritornello era questo: ”Ohi che partenza amara, Carolina cara”, ed accompagnando tali parole col suono delle trombe marine, o corni da caccia fossero, e con urli, grida e fischi”. Al dibattimento emerse che le canzoni allusive, oltre che in prossimità della casa dell’Accorsi. furono cantate, come riferì uno dei testi, ”…specialmente in vicinanza” di un’altra casa posta sul corso ove ”…i quattro imputati incoraggiavano i ragazzi, e le persone che li seguivano a cantare e suonare le trombe e i corni”. Evidentemente il secondo tempo del concerto era stato dedicato alla ”Bella Carolina”, circostanza che la difesa sfruttò a favore degli imputati sostenendo, molto eufemisticamente, che si era trattato ”…di una serenata che avevano voluto fare senza animo d’offendere a chicchessia, e tanto meno l’Accorsi col quale non avevano avuto a che fare”. Ma una serenata con molti solisti, con un coro di oltre centocinquanta persone ed una eterogenea strumentazione di corni marini, al cui suono, come vedremo, veniva attribuita una pesante carica offensiva, non convinse certamente il giudice, che nella motivazione della sentenza, pur facendo trasparire il suo chiaro pensiero sulla personalità dei protagonisti della vicenda, ed in particolare dell’Accorsi, commentava: ”…non è verosimile che persone della condizione sociale degli imputati abbiano voluto fare una serenata di quel genere per divertirsi come essi asseriscono, ma è più conforme al vero il ritenere che essi siansi indotti a ciò, spinti da personali risentimenti verso l’Ispettore Accorsi, che è inutile indagare se tali risentimenti siano giusti o ingiusti o se v’abbia lo stesso Accorsi potuto dar causa”. Ovviamente, tutti i testi escussi al dibattimento, comprese le guardie doganali, dichiararono di non aver sentito gli imputati pronunciare parole offensive all’indirizzo dell’Accorsi, né di aver sentito cantare il ritornello ”…ohi, che partenza amara Carolina cara”, ma non poterono esimersi dall’ammettere che la manifestazione di era svolta al suono dei corni marini. Tale strumento altro non è che una grossa conchiglia del genere dei tritoni che, opportunamente forata all’apice e suonata a mo’ di tromba, emette un suono che da secoli è servito da richiamo ai pastori di tutte le valli, nonché da megafono e da segnalatore per le imbarcazioni che navigano nella nebbia. Uno strumento dunque indispensabile e presente su ogni barca o battello, il cui suono, tuttavia, tanto utile in mare, aveva a terra ben altra considerazione. Evidentemente, data la presenza di una consistente etnia campana nell’isola (in particolare di quella ponzese), la lunga nota emessa dal corno marino doveva essere considerata come una versione amplificata del leggendario e devastante ”pernacchio”, espressione sonora tanto cara a Eduardo e che il principe De Curtis non esitò a definire ”…l’arma segreta degli italiani”. Il giudice, pertanto, pur escludendo il reato di ingiuria pubblica verbale, che corrisponderebbe all’attuale reato di oltraggio a un pubblico ufficiale, ritenne gli imputati colpevoli del reato di ingiuria reale diretta alla persona e non alla funzione, riconoscendo nella manifestazione inscenata dagli imputati una precisa intenzione offensiva, in quanto: “…col suono dei corni, o trombe marine, o portavoce, che si vogliono chiamare …sonosi commessi atti ingiuriosi contro l’Ispettore Accorsi, e si è voluto esporre la persona dell’ingiuriato all’altrui sprezzo, ed è appunto ciò che costituisce la contumelia, che è l’essenza del reato di ingiuria, come ha deciso più volte la Corte Suprema, si commette reato di ingiuria con tutti i mezzi che sono idonei a gettare lo sprezzo sulla persona che si vuole ingiuriare, e poiché tale scopo si raggiunge talora, non meno coi fatti che colle parole, ne deriva l’ingiuria verbale o reale, consistendo quest’ultima in tutti gli atti, gesti o fatti contumeliosi, vale a dire dei fatti che secondo la comune opinione significano disprezzo ed espongono la persona che si è fatto segno dell’ingiuria all’altrui disistima e vilipendio”. Significativa dunque la motivazione delle sentenza che sancisce come fatto di costume locale la carica offensiva attribuita ”secondo la comune opinione” al suono dei corni marini e dunque, gli imputati, per averli suonati o indotto altri a suonarli, sia pure per un reato di minore gravità, furono condannati alla pena pecuniaria di trenta lire ciascuno. Immediato l’appello ed altrettanto immediato il successivo giudizio; appena due mesi dopo, il 4 ottobre 1872, la sentenza fu integralmente confermata dai giudici dell’impugnazione che condivisero in pieno la decisione del magistrato di primo grado. Ma lo scopo era raggiunto: l’inviso Ispettore Accorsi era stato trasferito ed a farne le spese era stata la Bella Carolina, rimasta a bocca asciutta.