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Giovanni Battista Millelire (Fabbriciere)

Il 2 dicembre 1829, veniva nominato dal Consiglio Comunitativo e “con ordine del Rev. Sig. Vicario Generale Capitolare Antonio BiancaredduGiovanni Battista Millelire, uomo facoltoso, padrone marittimo e commerciante, probabilmente un po’ troppo indipendente rispetto all’autorità della curia. Biancareddu, già parroco alla Maddalena, che ben conosceva l’ambiente, gli aveva affidato dei compiti delicati: recuperare i crediti lasciati da Gallone e Ferrandico e specialmente tutto quanto potesse trovarsi a casa sua o presso i suoi eredi, dall’olio d’olivo agli arredi appartenenti alla Chiesa e, soprattutto gli scritti (contabilità e inventari). Chiedeva, inoltre, di verificare se Ferrandico avesse già esatto per il 1829 le due pensioni dei censi Millelire e Martini che davano un reddito di circa 35 lire (poco più di una boccata d’ossigeno nella asfittica situazione creatasi) e avviare una nuova e sana gestione. Raccomandava, inoltre, di tenere gli oggetti preziosi in una cassa munita di tre chiavi in modo da impedire che si ripetesse l’infausto accidente occorso con gli eredi di Ferrandico.

Alla morte di Antonio Biancareddu, che era diventato a Tempio Vicario generale capitolare (1830), prendeva il suo posto il teologo Giorgio Scano, canonico parroco dell’insigne collegiata che, al controllo dei libri contabili, attribuiva a Millelire tante inadempienze che a noi possono sembrare di poco conto: il fabbriciere aveva indicato un acquisto di chiavi e di serrature senza specificare quante e dove erano collocate, aveva comprato della cera ma non aveva specificato per quali feste e in quale quantità per ogni funzione parrocchiale. A queste “gravi” manchevolezze il Vicario opponeva degli ordini perentori e pedanti: “vogliamo che nell’avvenire si prenda Voglio d’ulivo per la lampada all’ingrosso da conservarsi in vasi di terra verniciata, ossia giarra e profittare delle congiunture quando vendonsi a buon prezzo praticando quell’economia proporzionata al bisogno della chiesa mancante di fondi e mezzi”. Millelire era abituato a ben altra considerazione ma, malgrado le parole del canonico dovessero essergli apparse abbastanza offensive, non ne tenne alcun conto proseguendo, per l’anno 1831, secondo il suo metodo. Scano non accettò tale atteggiamento irriverente e, a dicembre, invitava Millelire a consegnare i libri contabili e i soldi a un nuovo fabbriciere da lui nominato, Simone Ornano. Forse non si aspettava la pesante reazione del Consiglio Comunitativo e della classe dei padroni marittimi che fecero quadrato intorno a Millelire rifiutandone la decadenza. Ancora il 9 febbraio 1833 la questione rimaneva aperta con il fabbriciere fermo al suo posto, protetto dal Consiglio che affermava che era sempre stato suo “diritto e privativa la scelta dell’operaio di questa chiesa, col consenso dei padroni mercantili dalla di cui volontaria elemosina si forma il lustro ed il sostegno di detta chiesa“. E assumeva la responsabilità di obbligare Millelire a mantenere l’incarico anche dopo la decisione del Vicario capitolare che aveva ritirato i libri contabili e non li aveva restituiti. Per tutta risposta Scano chiese al comandante Salvatore Ciusa di riunire il Consiglio e di ingiungere, a suo nome, a Millelire di passare la gestione al nuovo priore. Chiamare in causa il comandante militare equivaleva a una minaccia di arresto o di gravi sanzioni; il momento era grave e lo scontro ormai ad un passo, ma nessuno dei contendenti intendeva arretrare. Il Consiglio, appoggiato dai probi uomini, unanime respingeva l’ingiunzione dichiarando di voler attendere le decisioni in merito del Viceré al quale aveva presentato ricorso.

Cosa determinava tanta durezza nel Vicario capitolare Scano? Forse una reazione al blando controllo esercitato dal suo predecessore Biancareddu che, nei confronti dei maddalenini, manteneva un occhio di riguardo ricordando la sua esperienza di parroco amato e rispettato alla Maddalena, e i rapporti personali con Millelire che era, fra l’altro, suo compare. Scano, invece, rappresentava quei tempiesi che i maddalenini consideravano esosi e maldicenti, esemplificati nel poco simpatico Pietro Azara Bucheri che all’isola aveva fatto fortuna sotto la protezione di Agostino Millelire e del barone Desgeneys. D’altra parte, Scano aveva le sue ragioni di preoccupazione vedendo l’attivo del bilancio ridotto ai minimi. Fortunatamente per tutti, il 15 aprile 1833 fu nominato il nuovo vescovo, Diego Capece, che chiuse definitivamente la polemica innescata dal suo vicario. Millelire non cambiò di una virgola la sua gestione e continuò, come prima, a mantenere presso di sé il tesoretto: ce ne dà testimonianza un viaggiatore francese, Valéry, che assicurava di aver potuto vedere i doni di Nelson presso il “procuratore della fabbriceria, mercante di tele, il quale per maggior sicurezza li custodiva nel suo negozio”; segno evidente che la raccomandazione del vicario capitolare Biancareddu di depositare gli oggetti preziosi in una cassaforte non era servita a niente.

Diffìcile spiegare cosa poteva aver diminuito così drasticamente i risparmi della Chiesa durante la gestione Millelire. Una delle voci di entrata scomparsa era quella della casa dei quarantenari: malgrado fino al 1832 si registrasse ancora un gettito interessante, a partire da quella data il fabbriciere annotava che la Chiesa era “decaduta dal diritto di esigere quella elemosina che soleasi ritirare ab antico pella casetta sanitaria”. Inoltre per rifare il non meglio identificato sacro legno si erano dovute vendere alcune rame di corallo e liquefare molti cuori d’argento, segno di una diminuzione delle entrate ordinarie che non consentiva di attingere ai contanti.

Alla morte di Millelire, nel 1845, il bilancio era in passivo e la moglie poteva rivendicare addirittura un credito che, generosamente, abbonò.
Il Consiglio offrì la carica di priore a Giovanni Millelire, figlio di Antonio, già ufficiale di Artiglieria di Marina, che viveva alla Maddalena dopo essere stato degradato perché coinvolto nella rivolta di Genova del 1821. Il parroco Antonio Addis ne aveva caldeggiato la nomina presso il Vescovo che il 6 aprile lo autorizzava a darne solenne annuncio in chiesa nella prima predica festiva. Ma Millelire era troppo modesto per accettare una carica che lo avrebbe posto in vista, e, soprattutto, non voleva avere contrasti, come quelli avvenuti di frequente nel recente passato, fra parroci, vice parroci, Consiglio e Curia, per cui, pur considerando un onore la nomina che gli avrebbe dato modo di “seguire in uno all’orme dei miei, la propria inclinazione in cooperare a quanto di meglio si puole ottenere e per la popolazione e per la chiesa”, rinunciava “per la tranquillizza che bramo e che non potrei godere”. Millelire morì dopo 4 mesi dalla mancata nomina.

Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma