L’orologio della chiesa
Per molto tempo in tutti i paesi d’Italia il passare delle ore era scandito dai rintocchi delle campane della chiesa del borgo; questo sistema, antichissimo, era proprio di tutto il mondo cristiano e, più che indicare lo scorrere del tempo, ricordava ai fedeli le diverse ore canoniche della chiesa. Fino al 1830, la vita della comunità maddalenina era regolata dal campanile, ma in quell’anno qualcuno cominciò a pensare che fosse meglio affidarsi ad un orologio, pubblico e visibile a tutti; quale miglior luogo, quindi del campanile della chiesa, alto sulle piccole case del paese?
L’idea ebbe un seguito e si cominciò a perseguire il proposito di renderla concreta; mancavano, però, i mezzi finanziari e il problema sembrò raggiungere una soluzione solo due anni dopo, attraverso il contributo fornito da William Sanderson Craig, un commerciante scozzese residente nell’isola, amante delle cose dell’arte e di qualsiasi oggetto avente, in qualche modo, interesse storico.
Craig chiese di avere in sua mano una palla da cannone che circa quaranta anni prima Napoleone aveva sparato contro La Maddalena: uno di quei proiettili aveva colpito la chiesa Parrocchiale ed era stato recuperato e conservato da un ex consigliere comunale, Francesco Susini. L’accordo che fu raggiunto prevedeva che lo scozzese pagasse trenta scudi (altre fonti parlano di una somma leggermente superiore: trentadue scudi) che il Consiglio Comunitativo avrebbe utilizzato, per l’appunto, per l’acquisto di un orologio, da sistemare poi sul campanile della chiesa: a questa somma il vecchio Parroco Giovanni Battista Biancareddu aveva aggiunto i 20 scudi promessi fin dal 1822.
Forse perché sovrastato da affari più urgenti, il problema si trascinò a lungo e dovettero trascorrere diversi anni prima che l’orologio giungesse a La Maddalena: solo nel 1841, infatti, il generale Zicavo poté annunciare l’imminente arrivo del macchinario e di una campana, che il comandante Albini stava per spedire da Genova mediante una nave militare, l’Ardita”. Insieme ai due oggetti viaggiava anche un forzato esperto, incaricato di installare e regolare l’orologio; in più, il condannato sarebbe rimasto sull’isola fino alla ripartenza della nave con la quale era arrivato che doveva ancora proseguire il suo giro fino a Cagliari e ritorno; in questa maniera, avrebbe avuto modo di seguire per qualche tempo il complicato meccanismo garantendo così il suo corretto funzionamento.
Anche se mancano notizie dell’avvenuta sistemazione, è certo che l’orologio fu installato perché diversi documenti attestano, negli anni successivi, interventi di riparazione e di manutenzione. Manca qualsiasi documentazione, invece, circa il luogo in cui fu sistemato; si può ipotizzare, con buona certezza, che sia stato posto sulla facciata della chiesa e non sul campanile, perché quando anni dopo la torre campanaria fu in parte atterrata non si riscontra, nelle relazioni tecniche che precedettero la demolizione, nessun riferimento alla presenza nel manufatto di un orologio o di parti di esso. In ogni caso, in un periodo sicuramente antecedente al 1887, il macchinario smise di funzionare; alla fine di quell’anno, nel pieno del fervore delle opere di militarizzazione dell’arcipelago, con la conseguente trasformazione dell’intero arcipelago, il Comune chiese alla Parrocchia di poter installare un orologio sulla facciata. Forse gli amministratori intendevano collocare il nuovo nello stesso punto di quello vecchio?
Il Parroco non poteva dare una risposta senza aver prima interpellato il Vescovo, e l’alto prelato diede ordine di accondiscendere alla richiesta sempreché non vi fosse “pregiudizio in materiale né spirituale”.
In una data incerta, il macchinario fu posto in opera e subito s’innescò una nuova polemica, tra le tante, tra Parrocchia e Comune: per salire all’orologio (che doveva essere periodicamente ricaricato e mantenuto) dovette essere posizionata una scala che, probabilmente, partiva dal portone principale. Sembrerebbe che gli accordi, forse verbali, tra il Vicario e il Sindaco prevedessero che “appena finita la scala che mette all’orologio istesso, si sarebbe fatto il bussolotto nella porta maggiore, ossia seconda entrata per riparare all’estetica perduta causa della suddetta scala!’.
Nel 1901, il Parroco Don Vico lamentava che gli accordi non erano stati rispettati e denunciava lo “sconcio” in una lettera alquanto indispettita e invitava il Sindaco a “prendersi il disturbo di venire in chiesa ad osservarlo”, proponendo nel contempo la demolizione della scala o la realizzazione di un “bussolotto” che avrebbe nascosto lo scempio sopportato dalla facciata della chiesa. Ne riceveva, però, un esplicito rifiuto: il consiglio, pur aderendo a lavori di piccola manutenzione dell’edificio rigettava la richiesta di demolizione della scala perché la spesa era eccessiva e “secondariamente perché sarebbe [stata] un’opera più di lusso che di necessità”.
I rapporti tra autorità cittadine e la Parrocchia non erano evidentemente dei migliori: lo si deduce dall’ironico invito al Sindaco a presentarsi in chiesa, con tutto il “disturbo” che la visita avrebbe arrecato al primo cittadino; lo si deduce ancora da un’altra lettera, scritta sempre da don Vico nel 1906: il religioso, a distanza di circa cinque anni tornava a ribadire la richiesta di costruzione del bussolotto, segno evidente che nulla era stato fatto. E nulla fu fatto negli anni successivi tanto che nel 1946 il Parroco Salvatore Capula rappresentava al Sindaco che l’accesso all’orologio avveniva attraverso una stretta apertura dal campanile!
Fu lo stesso Capula che, nel 1938, tentò di risolvere la questione con il podestà Chirico; ricercò un accordo secondo il quale l’orologio passava alla proprietà della chiesa, che si accollava tutti gli oneri di funzionamento, di riparazione e di manutenzione. Null’altro si sa di quell’accordo ma, otto anni dopo, in un dopoguerra tormentato dalle difficoltà economiche e soprattutto dai pesanti contrasti tra una certa parte della società civile e la chiesa cattolica, Capula richiedeva ufficialmente al Comune di deliberare per la rimozione dei pochi componenti dell’orologio, non più funzionante perché usurato e danneggiato dagli eventi bellici. Il Parroco completava la sua lettera con una richiesta del dono di un nuovo orologio, ovviamente adeguato all’edificio nel quale sarebbe stato installato.
Alberto Sega