Premessa di “Il Cimitero Vecchio – La demolizione – epitaffi e tombe”
Parzialmente tratto da “Il Cimitero Vecchio” di Claudio Ronchi
A La Maddalena c’è chi sostiene che se nel 1948, il sindaco Giuseppino Merella non fosse stato di Florinas e il parroco don Salvatore Capula di Castelsardo, probabilmente il “Cimitero Vecchio”, quello degli “antichi isolani” non sarebbe mai stato demolito. Forse è vero sebbene “con i se e con i ma” non si faccia la storia, e il contrario non è dimostrabile.
All’epoca, comunque, non ci furono apprezzabili manifestazioni di protesta. La cultura e la mentalità contemporanea è volta alla conservazione, al restauro, allo studio e quasi al culto del passato. Allora, da poco e tragicamente conclusasi la seconda guerra mondiale, esisteva invece, prorompente, la necessità di dimenticarlo, il passato, di vivere il presente e di costruire il futuro, il migliore possibile.
E di questo non si può non tener conto, non solo per un giudizio su questo “fatto”, ma anche per altri, spesso affrettatamente e superficialmente giudicati con la mentalità contemporanea, piuttosto che con quella dell’epoca nella quale si sono svolti. Certo è, comunque, che con la demolizione del Cimitero vennero cancellate, per sempre, le antiche memorie della comunità isolana, i segni più forti e visibili delle proprie radici e della propria identità storica, il suo più profondo legame con le proprie origini. I nipoti perdettero le tracce dei propri nonni e bisnonni, i maddalenini dei loro piccoli-grandi eroi. Le antiche tecniche di seppellimento inoltre non sempre consentirono il riconoscimento dei resti mortali.
Nelle tombe, infatti, le casse di legno venivano spesso adagiate su travi di granito, sollevate rispetto ad un corridoio comune. Con gli anni le bare marcivano e le ossa cadevano, attraverso le feritoie, sul piano sottostante, mischiandosi tra loro. Demolite le cappelle, le tombe, e dissodato in parte il terreno, alcuni resti furono collocati nelle tombe di famiglia del nuovo cimitero, tutti gli altri finirono nell’ossario. Centinaia e centinaia di isolani, nativi e sopraggiunti da ogni dove, sprofondarono nell’oblio.