Il Cimitero Vecchio - La demolizione - epitaffi e tombeLa Maddalena Antica

Dalle chiese di San Michele e San Giorgio al Cimitero Vecchio

Prima dell’occupazione militare piemontese del 1767 e nei primi anni successivi, gli abitanti dell’arcipelago di La Maddalena seppellivano i loro morti presso la chiesetta di San Michele del Liscia, nelle campagne di Palau. Costruita nel 1730 la piccola chiesa, situata su una piccola collina di antichi olivastri e lentischi vicino al fiume Liscia, dipende dalla Parrocchia di San Pasquale. Di stile semplice ed armonico è estremamente dignitosa, invita al silenzio e alla preghiera; le pareti sono di intonaco dipinto di bianco; legno di ginepro per le travate sul soffitto. La facciata è sormontata da un piccolo campanile. Sull’altare una statua bellissima di un giovanissimo Angelo, San Michele. I defunti venivano portati in barca dalle isole dell’Arcipelago, perché’ la foce del fiume era aperta. Oggi con la diga che incamera le piogge invernali non sarebbe più possibile. Lì venivano sepolti anche quelli delle campagne circostanti, che allora erano molto più abitate, ed alcuni naufraghi della nave Sèmillante, naufragata alle isole Lavezzi; questo perché molti corpi furono trasportati dal mare sino alle coste di Palau e Santa Teresa Galura: nel naufragio perirono 695 uomini: 560 corpi riposano nei due cimiteri sull’isola di Lavezzi mentre 32 sono sepolti nel cimitero di San Michele, gli altri non vennero mai ritrovati.

Alcune sepolture venivano anche effettuate nella zona di Cala Chiesa e, pare, nell’isola di Santo Stefano. Dal 1770 si cominciò a seppellire, come era ancora in uso al tempo, all’interno della chiesa della Santissima Trinità appena edificata (allora chiesa parrocchiale e dedicata a Santa Maria Maddalena) e nel terreno circostante, dove una piccola area dovette essere destinata alle sepolture. Nel registro parrocchiale dei morti è annotato il nome della prima defunta, certa Maria Avigià (cognome poi forse trasformatosi in Vigiano) figlia di Pasquale, deceduta l’8 ottobre 1770, la quale “sepulta fuit in hac Paroquiali Ecclesiae Sanctae Mariae Magdalenae”. Non è escluso che alcune sepolture dovettero avvenire anche nella nuova chiesa di Cala Gavetta, edificata dopo il 1780. Un cimitero inoltre esistette, tra la fine del Settecento ed i primi dell’Ottocento, a Cala Chiesa.

Nel registro parrocchiale dei morti tuttavia, il parroco Giacomo Mossa, nel certificare i funerali di Francesco Antonio Biaggi, deceduto il 15 agosto 1797, attesta per la prima volta costui “sepultus fuit in Comiterio in dicta Insula esistente”, riferendosi proprio al Cimitero di cui si parla (Cimitero Vecchio), la cui costruzione ebbe inizio “dall’anno millesettecentonovantasei, dalla felice memoria in allora Comandante Provvisionale in Capo della Regia Marina, in questa della Maddalena, il Sig. Cav. Don Vittorio Porcile di Cagliari, mediante l’assistenza e forza Comunale” (come risulta dal verbale della seduta consiliare del Comune di La Maddalena, del 10 settembre 1846, essendo sindaco Pietro Alibertini). Una corrispondenza del comandante delle Isole Andreis al Vicerè di Cagliari, del 7 aprile 1820, testimonia poi le difficili condizioni igienico sanitarie del Cimitero. Scrisse infatti Andreis che “il camposanto è senza terra” e che “le malattie da tre estati a questa parte sono causate dalle esalazioni di corpi trovati ancora scoperti. Essendo la nostra caserma vicina (Andreis probabilmente si riferisce al casermaggio, la caserma ancora individuabile nella parte alta di via Balbo), l’estate scorsa quasi tutto il contingente si è ammalato”. Andreis chiedeva quindi che sia il Consiglio Comunitativo che attraverso il Parroco venisse chiesto agli abitanti “che intervenissero ogni festa per 2 ore al trasporto della terra necessaria …...”.

Il già citato verbale consiliare del 1846 ci informa di un primo ampliamento del Cimitero avvenuto in quegli anni (allungato di 46 metri ed allargato di 32, con un muro perimetrale dell’altezza di 2 metri e mezzo) e ci fornisce una prima descrizione dello stesso. “Nell’interno di detto Campo Santo – si trova scritto nel verbale – lateralmente alle mura, vi sono vasti depositi appartenenti a proprietari diversi, ad uso delle proprie famiglie. Alla porta settentrionale vi è una cappella, la quale venne eretta dalla felice memoria del Comandante di piazza di allora, il Sig. Cav. Agostino Millelire, ove vi si celebrano delle Messe a beneficio di chi le richiede”.

L’area cimiteriale era collocata su una collina dolce e poco granitica, alle spalle di Cala Mangiavolpe e di Cala Gavetta, posta tra gli attuali edifici dell’Opera Pia e gli studi di Radio Arcipelago. In quel cimitero trovarono sepoltura gli ultimi originari abitanti còrsi dell’isola, i loro discendenti, i militari che nell’arcipelago morirono per malattia o in seguito a scontri armati, i pescatori campani e via via tutti coloro che a La Maddalena giunsero, dal resto della Sardegna, dalla Corsica, dal continente e dall’estero.

Vi fu seppellita molta gente comune ed alcuni eroi, sia della storia isolana che nazionale: dal parroco Michele Mamia Addis al Maggior Leggero, da Antonio Ornano, sindaco ai tempi della costruzione della chiesa a Filippo Martinetti, primo cittadino all’epoca della visita di re Carlo Alberto, da alcuni illustri membri della famiglia Millelire al notaio rivoluzionario Vincenzo Sulis, dai coniugi inglesi Collins (sicuramente Clara) al loro connazionale Daniel Roberts.

Il cimitero aveva l’ingresso a sud, sul lato dell’attuale via Roma. Il grande cancello in ferro era sormontato da un architrave in granito. Sull’arco della porta era incisa la seguente epigrafe in latino, così come è stata trascritta, nel 1948, dall’allora parroco don Salvatore Capula, in un quaderno di appunti, conservato negli Archivi parrocchiali. Gli appunti tuttavia riportano la data 1816, probabilmente errata, in quanto in quell’epoca non risulta alcun Pasquale Volpe sindaco. E’ verosimile un errore di trascrizione di don Capula e siamo propensi a credere che la data giusta sia 1866.

SISTE BONE VIATOR NE PAVEAS QUAESO QUOD HODIE EGO SUM ERIS CRAS TU …… MEDITARE INTEREA NOVISSIMA TUA PENDET A FILO VITA A MORTE   PENDET AETERNITAS
Donabat Volpe Paschalis Sindacus Anno MDCCCXVI (Sic) Lapidem

FERMATI, O BUON VIANDANTE. NON TEMERE, TI PREGO. QUELLO CHE OGGI SONO IO SDOMANI SARAI TU ….. MEDITA, INTANTO, SUL TUO DESTINO ULTIMO. LA VITA E’ APPESA A UN FILO. ALLA MORTE SEGUE L’ETERNITA’
Lapide donata nel 1816 (sic) dal Sindaco Paquale Volpe

La scelta del luogo, alla lunga, non risultò felice. Il cimitero si trovava a poche centinaia di metri ad un abitato che ad un certo punto registrò una apprezzabile espansione. Nel 1887, istituita dal governo italiano la piazzaforte militare marittima, la popolazione maddalenina era rapidamente passata da meno di 2.000 ad oltre 10.000 abitanti. L’incremento demografico comportò, di conseguenza, un incremento dei decessi, dimostrando l’inadeguatezza della esistente struttura cimiteriale. L’inopportunità di un ulteriore allargamento e la ravvicinata presenza di due torrenti, uno che convoglia le acque di Guardia Vecchia e che scende verso Cala Gavetta, l’altro che convoglia quelle di Punta Villa, passando vicinissimo alle palazzine umbertine di piazza “Comando”, indussero le autorità dell’epoca alla scelta di un nuovo sito, più consono alle mutate esigenze. Nel 1894 fu terminato l’attuale cimitero e quello vecchio venne progressivamente abbandonato. Restaurato nel 1932 in occasione del cinquantenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, fu demolito nel 1948.

Altra Chiesa usata in passato per seppellire i morti era quella di San Giorgio (nella foto), sempre nelle campagne di Palau. La chiesetta campestre dedicata a San Giorgio martire, fu riedificata nel 1675, in piena dominazione spagnola, in una zona considerata tradizionalmente sacra, probabilmente già in epoche remotissime: vi si conservano tracce abbondanti di presenze del periodo pre-nuragico e nuragico, nonché vestigia romane e bizantine. Con ogni probabilità la chiesetta fu ricostruita da una setta di eremiti che popolavano queste zone di campagna in completo isolamento, attorno al XVI/XVII secolo, ma non è escluso che essi, a loro volta, avessero scelto un luogo ancor più antico ove già era presente qualche area sacra: vicino al lato esterno della chiesetta, verso sud, si possono infatti notare tracce di più antiche fondamenta. La chiesa fungeva a quei tempi, oltre che da tempio per la devozione dei pastori e contadini dei vicini stazzi, anche da cimitero: sotto la pavimentazione infatti, erano deposti i cadaveri, ma all’occorrenza, erano effettuate deposizioni nelle vicinanze. Attualmente la chiesetta e stata rafforzata con la costruzione di contrafforti aggiuntivi, resisi necessari a causa del cedimento di alcune strutture murarie; anche il tetto è stato completamente rifatto onde evitare crolli ai sostegni ormai ultracentenari.

Il fatto che la zona fosse da sempre considerata sacra affiora anche dalla presenza, sul costone nordoccidentale granitico a circa 200 metri di un’altra chiesetta che presenta una struttura rettangolare absidata posta verso est con annesso campanile di forma quasi quadrata tendente al rettangolare, di origine bizantina, risalente intorno al X – XI secolo, e probabilmente distrutta a seguito di incursioni saracene. I fedeli, sparsi nelle adiacenti campagne, si recavano nella chiesetta in occasione delle feste patronali e del santo eponimo e, all’esterno di questa, si mangiava e si festeggiava anche per vari giorni con cerimonie religiose e sociali che affondano le loro radici nella preistoria. Ancora oggi la cosa si ripete, specie nel giorno della festa di San Giorgio, che cade la prima domenica di maggio. I contadini si recavano nelle chiese campestri accompagnando i loro cari malati che erano lasciati di notte all’interno della chiesetta in modo che potessero avere, in sogno, l’indicazione da parte del Santo della cura più adatta a lenire i propri mali e le loro infermità; in altri momenti invece essi si recavano là per penitenza ad espiare colpe o peccati commessi nel loro vivere quotidiano.

Parzialmente tratto da “Il Cimitero Vecchio” di Claudio Ronchi