CronologiaMilleottocento

Correva l’anno 1822

Il Ministero della Marina francese fa effettuare rilievi lungo la costa da Santa Teresa fino al golfo di Arzachena. Le mappe che vengono redatte rappresentano le prime carte moderne delle Bocche di Bonifacio e sono ricordate come le carte Hell, dal nome del comandante di fregata che ha diretto i lavori.

Dopo il portolano del piloto Giaume (1786), nel 1812 ne fu redatto un secondo da Giuseppe Albini, sulla base dei rilievi idrografici compiuti nel 1808 col lancione Benvenuto. L’unico ancoraggio di una certa importanza militare era quello situato tra la Maddalena e la Sardegna, difeso dalle isolette di Santo Stefano e dall’Isola di Spargi, e utilizzato dai vascelli inglesi. Occupata nel 1767 e oggetto nel 1793 di una fallita incursione franco-corsa, La Maddalena aveva, nel 1794, 2 trinceramenti, 2 batterie (Balbiano e S. Agostino) e 5 forti (San Vittorio, Sant’Andrea, Santa Teresa, Carlo Felice e San Giorgio). La base era comandata da Agostino Millelire, fratello del più famoso nocchiero Domenico, entrambi decorati di medaglia d’oro al valore (come il capo cannoniere Francesco Moran e il tenente degli svizzeri Asmard). Le perdite francesi erano state di 114 prigionieri, un obice e un mortaio inviati come trofei all’arsenale di Torino. Bonaparte vi lasciò anche un “archipendolo” da lui stesso costruito per livellare la batteria: il viceammiraglio e senatore Giuseppe Albini lo regalò poi alla Regia Marina, e figurava nel 1854 nella Sala dei modelli a Genova).

Antonio Lamberti è sindaco di La Maddalena.

Arrivano i Preposti di dogana.

Giuseppe Maria Galleani, conte d’Agliano, assume la carica di viceré di Sardegna.

A Santa Teresa, il primo Consiglio Comunitativo è insediato dopo le elezioni: il sindaco è Filippo Oriccioni; consiglieri: Antonio Vincentelli e Antonio Pinna; segretario è Anton Pasquino Quilichini.

Nel 1822, mentre Luigi XVIII Re di Francia, su sollecitazione corso-bonifacina, con atto diplomatico contestava ancora il possesso dei Savoia delle Isole Maddalenine (occupate militarmente nel 1767 e difese strenuamente nel 1793) gli Stati Uniti d’America chiedevano in concessione un tratto di costa nell’isola di Maddalena (quale non è dato al momento sapere) dove poter costruire una base navale, avamposto strategico-militare nel Mediterraneo attraverso il quale poter difendere i loro interessi economici. A tale richiesta, che vedeva possibilista il Re Sabaudo Vittorio Emanuele I, s’oppose con forza il barone-ammiraglio Giorgio Andrea Des Geneys, che pochi anni prima aveva trasferito il comando supremo della Marina del Regno di Sardegna da La Maddalena a Genova. Proprio in quell’anno Des Geneys aveva fatto mettere in posa, ad opera dei forzati, il pavimento della chiesa parrocchiale e William S. Craig, un inglese con affari nell’isola (costantemente presenti, gli inglesi …) , ne aveva disegnato e fatto realizzare il portone d’ingresso. Nel 1822 tra Maddalena, Caprera, Santo Stefano e le isole minori si contavano circa 1600 abitanti, nettamente calati rispetto agli anni precedenti (quando la popolazione era salita a circa 2000 anime) dopo il trasferimento dei Comandi Militari e della Flotta a Genova. Il bailo in quell’anno era Virgilio Spano, il sindaco Pasquale Galloni, il parroco Giovanni Battista Biancareddu.

Fu sempre nel 1822 che iniziò a Maddalena, Caprera e Santo Stefano la raccolta del lichene tintorio (Roccella tinctoria), usato dagli artigiani prima e dall’industria tessile poi, per tingere. Le tinture a base di licheni avevano la caratteristica di una lenta scoloritura, oltre a preservare il tessuto dalle tarme. In effetti tale pianta, conosciuta nell’Arcipelago col nome di erba tramontana, era già stata raccolta quarant’anni prima, immediatamente dopo l’occupazione militare del 1767, ma si era interrotta pochi anni dopo, per scarsa richiesta del mercato e per i costi e le difficoltà di trasporto in Continente. Col suddito inglese William Sanderson Craig, commerciante e agente della ditta Mackintoshh di Glasgow, iniziò una raccolta sistematica, da destinare ad alcune industrie tessili britanniche, raccolta che durò per alcuni anni. In tale attività furono impiegate soprattutto donne e bambini e qualche anziano, sia perché secondo l’abitudine del tempo venivano pagati molto meno sia perché gli uomini, se non erano imbarcati sui reali legni e sulle barche private facevano gli ortolani, i pastori o i pescatori. William Sanderson Craig fu uno dei tanti inglesi che, nel corso dell’Ottocento, hanno frequentato l’Arcipelago. Lui lo fece, tra alterne vicende e tra alti e bassi per circa un ventennio. Fu console britannico a Cagliari dal 1867 e morì nel 1874. Fu legato sentimentalmente ad una giovane donna maddalenina, dalla quale ebbe 6 figli. Sempre nel 1822, mentre Luigi XVIII Re di Francia, su sollecitazione corso-bonifacina, con atto diplomatico contestava ancora il possesso dei Savoia delle Isole Maddalenine (occupate militarmente nel 1767 e difese strenuamente nel 1793) gli Stati Uniti d’America chiedevano in concessione un tratto di costa nell’isola di Maddalena (quale non è dato al momento sapere) dove poter costruire una base navale, avamposto strategico-militare nel Mediterraneo attraverso il quale poter difendere i loro interessi economici. A tale richiesta, che vedeva possibilista il Re Sabaudo Vittorio Emanuele I, s’oppose con forza il barone-ammiraglio Giorgio Andrea Des Geneys, che pochi anni prima aveva trasferito il comando supremo della Marina del Regno di Sardegna da La Maddalena a Genova. Proprio in quell’anno Des Geneys aveva fatto mettere in posa, ad opera dei forzati, il pavimento della chiesa parrocchiale e William S. Craig, un inglese con affari nell’isola (costantemente presenti, gli inglesi …) , ne aveva disegnato e fatto realizzare il portone d’ingresso. Nel 1822 tra Maddalena, Caprera, Santo Stefano e le isole minori si contavano circa 1600 abitanti, nettamente calati rispetto agli anni precedenti (quando la popolazione era salita a circa 2000 anime) dopo il trasferimento dei Comandi Militari e della Flotta a Genova. Il bailo in quell’anno era Virgilio Spano, il sindaco Pasquale Galloni, il parroco Giovanni Battista Biancareddu. Nello stesso anno, gli Stati Uniti chiedono ai Savoia la concessione di una base navale alla Maddalena. Carlo Felice, sentito il parere di Des Geneys respinge la richiesta e concede solo un approdo solo per la durata dell’operazione in corso. Infatti la marina USA era arrivata alla Maddalena, per dare la caccia ai pirati berberi. Vedi anche: Craig e i licheni

12 gennaio

Sulis, Pili e Marras vengono liberati, con l’obbligo di rimanere a La Maddalena.

22 gennaio

Un biglietto regio autorizza i Gesuiti a ristabilire la Compagnia in Sardegna. Nello stesso anno viene istituito un nuovo donativo straordinario in favore della regina Maria Teresa: resterà a carico dell’isola fino al 1832.

25 febbraio

Esplode a Cagliari il polverificio di Castello: muoiono 11 operai.

9 aprile

Al comando di Des Geneys, una divisione navale composta dalle fregate “Maria Teresa” e “Commercio di Genova”, dai brigantini “Nereide” e “Zeffiro” e dalla goletta “Vigilante”, con due mila uomini a bordo, salpò da Genova per il Marocco, per concludere con il Sultano un trattato di commercio fortemente voluto dagli armatori genovesi. Tuttavia il Bey di Tripoli continuava a sollecitare al Regno Sardo un tributo extra di 30 mila piastre turche, con la sottintesa minaccia di una ripresa della pirateria. Il successivo 24 settembre 1822 le fregate “Commercio di Genova” e “Cristina” ed il brigantino “Nereide” accompagnarono a Tripoli gli incaricati delle trattative che però si arenarono subito dopo al fermo rifiuto del Bey di ridurre il tributo anti-pirateria. Secondo le disposizioni già impartite dal Conte Des Geneys al Comandante della Divisione Navale Capitano di Vascello Barone Francesco Sivori il quale in sede di trattative disse chiaramente al Bey che nella santabarbara delle sue navi c’erano pronte 30 mila bombe nella notte del 27, dalle fregate Sarde si era staccata una dozzina di scialuppe, che con circa duecentocinquanta marinai comandati dai Tenenti di Vascello Giorgio Mameli (sardo, divenne poi Ammiraglio e fu padre del celebre Goffredo), Carlo Chigi ed Emilio Pelletta, avevano abbordato a remi fasciati e messo a fuoco un brigantino, due golette ed altro naviglio minore della flottiglia del Bey ancorate alle banchine del porto. Un grosso successo costato agli incursori un morto e alcuni feriti e circa sessanta morti e settanta feriti agli equipaggi tripolini. Impressionato dall’ardito colpo di mano, il Bey Jussuf rinunciò alle sue pretese, indennizzò alcune perdite subite da commercianti del Regno Sardo ma soprattutto si rese conto che la pirateria non avrebbe più potuto avere un futuro. Pochi giorni dopo le artiglierie di Tripoli salutarono con 29 colpi di cannone la Bandiera del Regno di Sardegna che veniva nuovamente issata sulla residenza consolare mentre le navi salpavano dirigendo per il rientro a Genova, ove l’entrata in porto fu accolta trionfalmente dalle autorità e dal popolo genovese. Nello stesso anno la Regia Marina Sarda intervenne anche a Tunisi dove solo mostrando la propria bandiera ottenne dal locale Bey la restituzione di una nave da carico sequestrata senza valida ragione.

luglio

Desgeneys è diretto a Tripoli, Algeri e in Marocco per un’importante azione diplomatica. In questa occasione, sosta a La Maddalena con la sua squadra navale. Resosi conto dei ritardi accumulati dai lavori della chiesa, dona il denaro necessario per il loro completamento. Nel mese d’agosto, subito dopo la partenza di Desgeneys, sono quindi avviati importanti lavori: viene poggiato il pavimento (donato dallo stesso ammiraglio e messo in opera dai forzati), si costruisce il portone su disegno dell’inglese William Sanderson Craig e si sistema la ringhiera di ferro.

22 ottobre

Fu stabilita anche la prassi per ottenere il permesso d’imbarco. Tutti i commercianti intenzionati ad esportare capi vivi o carni dovevano presentare agli agenti doganali un certificato, il «testimoniale», rilasciato dal Delegato di Giustizia della Curia più vicina, attestante che le bestie erano state acquistate secondo le modalità previste dalla legge. Il documento, che garantiva la legittimità della compravendita, doveva riportare le caratteristiche principali degli animali – il colore o alcuni segni particolari – per evitare che, dopo il controllo effettuato dalla Curia, potessero essere sostituiti con altri rubati. Il primo novembre dello stesso anno le medesime norme furono estese anche ai commercianti di pelli. L’osservanza delle prescrizioni non faceva che rendere più oneroso il ricorso alle vie legali. «I pastori della Gallura – si affermava in una memoria del 1823 –, i quali vivendo dispersi in una vastissima campagna in cui la pastorizia è l’arte primaria, […], non avendo per altro verso, che una sola Curia cui sono soggetti in Tempio, che dista più ore di strada da tutti i punti del litorale, si lagnano a ragione, che tante volte anche volendo, non sono in grado di osservare quelle formalità senza gravissimo dispendio». Il fatto di disporre di una sola Curia per attestare la legittimità della proprietà e di un solo porto autorizzato all’imbarco, costringeva i proprietari, gli spedizionieri e i commercianti a spostare i capi prima a Tempio e poi a Santa Teresa, con perdite gravissime dovute alle morie lungo il tragitto e alle difficoltà di condurre branchi di animali, per la maggior parte indomiti, attraverso la regione. La rigidità dell’organizzazione spinse nello stesso anno il Sotto Ispettore delle Gabelle a sostenere la richiesta di alcuni pastori che rivendicavano il diritto di verificare la liceità del titolo di proprietà nello stesso luogo ove il bestiame doveva essere imbarcato, nonché di caricare i prodotti anche da altri approdi. (Per dimostrare che il ricorso al contrabbando era da attribuire esclusivamente alla gravosità della normativa sull’esportazione, il pastore Bichitto si era impegnato al pieno rispetto della legge qualora fosse stato permesso di imbarcare il bestiame anche dalle cale di Vignola e di Monti Russu. A garanzia di questa promessa avrebbe versato a Tempio una cauzione di circa 1.000 scudi per risarcire l’amministrazione doganale delle eventuali esportazioni illegali. L’allevatore proponeva di «mettere una piccola brigata anche in casa sua se non si vuole piazzare nella vicina torre [quella di Vignola], rispondendo in tutto per essa, e che presentandosi una barca per estrarre alcuni capi di bestiame, dopo essere verificata dal servizio attivo, il proprietario si porterebbe in Longon Sardo per prendere le necessarie spedizioni, e pagarne i dritti spettanti alle Gabelle per poi passare direttamente in Corsica».

5 novembre

L’isola ormai da parecchi anni è stata abbandonata dalla piccola flotta di Des Geneys: la Restaurazione ha portato via, insieme alle navi, quel movimento di persone e merci, di fuoriusciti corsi e corsari, che aveva vivacizzato gli anni dell’avventura napoleonica. I disordini del tragico periodo del Corpo Franco, responsabile di crimini reiterati, sono lontani anche se non proprio dimenticati. La presenza dei forzati e dei prigionieri di stato non coinvolge in modo significativo gli isolani, anche se ogni tanto un condannato scappa o qualche soldato tenta di disertare. Una vita in tono minore ha ripreso l’isola; il piemontese Gaspare Andreis, già comandante di Capraia, ha sposato la giovane Vittoria Azara Millelire, nipote di Agostino Millelire, entrando così a pieno titolo nella comunità maddalenina. Si da molto da fare impegnando i forzati per i lavori di pubblica utilità: ha sistemato le strade che portano verso i forti di Santa Teresa e Carlo Felice, ha iniziato a far pavimentare la chiesa con il materiale donato dal solito benevolo ammiraglio Des Geneys, ha provveduto a far riparare i forti per metterli in condizione di di ricevere i prigionieri che sembra debbano arrivare dalla terraferma. I maddalenini convivono con i problemi di sempre: continuano a soffrire per la mancanza di carne e di grano, sono gravemente impediti nell’approvvigionamento del personale delle Regie Gabelle, di recente istituzione e mal accette nell’isola; nella perenne ostilità del Bailo, sempre insensibile ai loro bisogni e estraneo alla loro vita, cercano appoggio presso le personalità di origine isolana o a questa vicina, come il comandante Andreis o il capitano di porto Domenico Millelire; periodicamente una supplica al Viceré per gli approvvigionamenti e contro il Balio movimenta la vita sociale; le gondole e i buoi dei padroni isolani svolgono i loro piccoli commerci legali e illegali vivacizzando il porto; spesso arrivano e partono i regi legni portando, insieme alle novità del resto del mondo, i giovani imbarcati che rientrano per qualche giorno in famiglia. Gli uomini non imbarcati, i ragazzi e gli invalidi di marina svolgono le loro attività abituali, curando vigne ed orti. E’ in questa atmosfera sonnolenta che, all’improvviso, scoppia il dramma. La vittima è Battista Serra, appartenente ad una vecchia famiglia isolana: il padre, corso, era Giacomo Santo Serra (più noto come Sarreddu) e la madre Bianchina Ferracciolo: come molti della sua famiglia, era stato imbarcato sulle navi regie ed ora, in qualità di invalido di marina gode di qualche piccolo beneficio che gli consente di vivere serenamente la sua vecchiaia all’isola. E’ a sentire Andreis, uomo tranquillo, “di ottime qualità”, che non ha mai dato “Il ben minimo disturbo a Chi che sia”. Il 5 novembre 1822 Serra viene ucciso da un colpo di pugnale che gli perfora il polmone. L’assassino è Efisio Longo, un giovane bonifacino, maestro falegname che ha sedotto la figlia ventenne, Maria Luisa, “con promessa di matrimonio”, per cui pende una causa presso il tribunale ecclesiastico. I fatti sono chiari nella loro drammaticità: Serra sta rientrando a casa, è ormai presso la porta quando viene raggiunto da Longo: c’è un breve scambio di parole irose, interrotte dall’improvviso apparire, nelle mani del giovane, della lama del pugnale; un colpo vibrato con forza penetra nel costato del vecchi che ha appena il tempo di gridare “son morto” accasciandosi a terra. Il giovane Nicola Montese accorre: si trova casualmente alla Maddalena perché il regio brick “La Nereide” sul quale è imbarcato, è in porto a Cala Gavetta: è nipote dell’ucciso, quasi coetaneo della ragazza sedotta. Cerca di portare soccorso al povero zio, ma non ci riesce perché assalito dal Longo che rotea il pugnale gridando come un pazzo:”questa sera voglio che ci passiate tutti quanti“. Montese trova solo un bastone col quale cerca di difendersi parando alla meglio i colpi violenti: viene ferito alla coscia sinistra, ma riesce a colpire l’assalitore sulla testa e a metterlo in fuga. A terra, vicino al pugnale abbandonato e al berretto dell’assassino, Serra giace morente. Longo è evidentemente fuori di se: probabilmente non si è nemmeno accorto di aver ucciso “non sapendo neanche il barbarismo commesso” perché, incontrando un suo parente, Francesco Varsi, anche lui bonifacino, ha l’ardire di presentarsi dal comandante Andreis a chiedere giustizia per il colpo ricevuto alla testa. E’ Varsi che parla, e con aria piuttosto minacciante dice “Signor Comandante, vogliamo giustizia, veda che hanno dato un colpo di bastone al mio parente“. Andreis, convinto di trovarsi di fronte alle conseguenze di una semplice rissa, ordina alle guardie di andare sul luogo dei disordini per arrestarne i responsabili. Solo quando arrivano in prossimità della casa di Serra, Longo tenta di scappare e la realtà dei fatti si presenta in tutta la sua drammaticità. Le notizie a nostra disposizione si fermano qua. Non sappiamo quale sia stato l’esito del processo, anche se possiamo supporre la dichiarazione di colpevolezza nei confronti di Longo, data la chiara ricostruzione degli avvenimenti e la presenza di testimoni. Ho cercato di sapere qualcosa di più degli altri protagonisti della vicenda, in particolare di Maria Luisa Serra e di Nicola Montese. Dal momento dell’omicidio non troviamo più tracce della ragazza, malgrado la famiglia abbia continuato a risiedere a La Maddalena, quasi che sia stata cancellata dalla sua “colpa”. Di Montese, sappiamo che era figlio di Giuseppe, una delle vittime dello scontro contro i barbareschi presso Capo Teulada del 28 luglio 1811: imbarcato sulla mezza-galera “L’Aquila”, Giuseppe era morto insieme ad altri tre maddalenini, sotto i colpi dei pirati. Una cerimonia nella chiesa di Santa Maria Maddalena ne aveva ricordato il sacrificio, in assenza dei corpi che erano stati gettati a mare a 45 miglia dalla costa. Le famiglie delle vittime, grazie all’interessamento di Des Geneys, aveva ottenuto delle “razioni di pane” proporzionate al numero di figli ancora inabili al lavoro. Nicola aveva allora 12 anni e non tardò ad arruolarsi, come suo padre, sulle navi del Re. Anche suo fratello Giacomo seguì la stessa via: era sulla fregata “Des Geneys” quando morì di sincope il primo maggio 1842. Nicola ebbe 5 mogli, tutte di famiglie isolane (una Simone, una Alibertini, una Ornano, una Zicavo e una Zonza): evidentemente non riusciva ad abituarsi a rimanere vedovo. La famiglia Montese è scomparsa dalla Maddalena: resta la tomba nel cimitero, all’angolo del primo campo santo a destra vicino all’ingresso. (G. Sotgiu)

6 dicembre

Un manifesto della città di Cagliari stabilisce i prezzi delle varie quantità di pesci. Sono tariffate a quattro soldi per libbra, le triglie grandi, gli alici, i totani, le sardelle, i naselli, le aguglia, i fragolini, le trote, i saraghi, i dentici, etc.; a tre soldi e mezzo le aliuste d’ogni dimensione; e tre soldi, le morene; a venticinque centesimi, i gavenchi, i pesci capponi, li sparghi, i muggini, le scorpene, le seppie, i polpi marinati o no; a centesimi venti, le triglie, i sarghi ed acciughe di piccola dimensione; a quindici, i gamberi; a centesimi 10 il granchio e cent’altre quantità di pesci. Le folaghe grasse a centesimi 48 l’una; le magre a 28.