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I rapporti con il Comune e col nuovo Stato

Il nuovo Regno d’Italia portava notevoli cambiamenti anche per la Chiesa. La formazione di registri anagrafici e di stato civile sminuiva il ruolo rivestito fino a quel momento dalla Parrocchia che, annotando i sacramenti, registrava nascite, matrimoni e morte e, con lo Stato della anime, operava dei censimenti seppure con criteri non scientifici. Ma la costituzione degli uffici comunali e la norma sui matrimoni prevista dal codice civile del 1865, entrato in vigore il 1 gennaio 1866, portavano a una laicizzazione inaccettabile per la Chiesa che vedeva svuotare il suo sacramento di ogni valore civile. Da quel momento il solo matrimonio valido agli occhi dello Stato era quello che si celebrava in comune dinanzi al sindaco o a un suo delegato; anche se gran parte dei nuovi coniugi organizzava pure la cerimonia in chiesa, fu subito chiaro, a partire dai primi mesi del 1866, che la laicizzazione dello Stato aveva avuto una accelerazione inarrestabile. La Chiesa, così, perdeva parte del suo potere sulla popolazione e a poco valsero, in una società abbastanza aperta come quella di La Maddalena, gli anatemi contro le persone sposate solo in comune, concubinarie per la Chiesa e allontanate dai sacramenti; il primo matrimonio civile celebrato in Comune il 15 marzo di quell’anno deve essere stato subito come uno schiaffo da Mamia: lo spretato garibaldino Luigi Gusmaroli sposava dopo anni di convivenza la vedova Maria Antonia Gavini.
Un altro colpo veniva dalla gestione del cimitero. La legge comunale e provinciale del marzo 1865 con le norme sulla sanità pubblica toglieva la gestione del cimitero al Parroco che fino a quel momento ne aveva avuto piena disponibilità. Questi non poteva più proibire che vi si tumulassero anche persone defunte senza battesimo o eretiche. La questione ebbe un momento drammatico per una storia apparentemente banale: non si trattava di seppellire inglesi scismatici, come nel passato, ma una bambina maddalenina nata morta e, quindi, senza battesimo. La reazione di Mamia provocò una altrettanto dura risposta dell’assessore Volpe nella quale, oltre all’orgoglio del ruolo di capo dell’amministrazione comunale, si scorge chiaro quello per il nuovo assetto dello Stato e per le leggi che lo ammodernavano.
Mamia scriveva: ” la chiave è stata sempre in mano al parroco non essendo (il cimitero) un cortile profano, ma benedetto secondo le leggi della chiesa per cui appartiene alla parrocchia e la vigilanza al parroco perché non vi si seppelliscano né bestie, né turchi fra i cattolici”. Affermava di ignorare il motivo per cui l’amministrazione comunale manteneva per forza la chiave che era stata fatta da lui che la richiedeva ” per ribenedire la terra dove è stata sepolta la bambina di Onorato… sepolta a prepotenza, contro le leggi canoniche …un atto così incivile e vandalico… La SV è pregata pure di destinare un’ora ad intendersi anche col parroco per lasciare un angolo profano” nel cimitero: più che una “preghiera” sembrava un’ingiunzione.
A breve giro di posta Pasquale Volpe, nella sua qualità di assessore anziano rispondeva ricordando il dettato delle nuove leggi che attribuivano al comune la sorveglianza e la gestione del cimitero, ” restringendo la funzione dei parroci alle sole funzioni religiose” eventualmente richieste dai parenti del morto. “La citazione di certe date ricordano tempi che per nostro meglio non sono più e paragonandoli cogli attuali ci segna a chiare note i passi giganteschi che si sono fatti verso il progresso ed il miglioramento, e che ormai cessava il tempo in cui tutto si faceva per consuetudine, come se gli uomini fossero stati tanti automi mossi da una molla invisibile”. Poiché Mamia aveva ricordato che il cimitero era stato voluto da Vittorio Porcile e assegnato alla Chiesa, Volpe replicava che “don Vittorio Porcile ai nostri tempi avrebbe fatto come facciamo noi, cioè ci si sarebbe uniformato …. Grande merito aver istituito il cimitero smettendo la pratica di seppellire nelle chiese, facendo conoscere agli avversari di questo principio che non vi sono né eretici né protestanti in faccia alla morte e che le tombe ne uguaglia tutti”. Mamia aveva detto che nel cimitero non si dovevano “sotterrare turchi e eretici”: Volpe rintuzzava citando circolari nuove che prescrivevano, in caso di assenza di luoghi adatti, che gli acattolici dovessero essere inumati nei cimiteri del comune. E continuava con una stoccata che avrebbe dovuto scuotere la coscienza del sacerdote: “Se lo stesso ministero accorda l’inumazione di un acattolico fra i cattolici, potrebbe impedire che si dasse seppellimento ad una fanciulla nata morta da una donna religiosa, di cui non è colpa se non potè ricevere il benefico lavaggio del battesimo?”. Terminava dicendo a Mamia, gentilmente, che poteva andare in comune a parlare della cosa ricordando che l’ufficio era aperto dalle otto alle dodici tutti i giorni e ribadendo perentoriamente che “la chiave resta in comune e quando Lei vorrà entrare al cimitero sarà compiacente chiederne apposita licenza, che del resto non le verrà mai negata a meno che non intendesse porsi in opposizione alle attuali leggi”.
La questione fu sollevata in seguito, con ben altri toni, da Vico che stigmatizzava la mancanza di delicatezza nel consentire di seppellire bambini nati morti nel recinto dedicato agli acattolici (1896); non considerava, Vico, che non esisteva un luogo destinato ai bambini senza battesimo, neanche nel cimitero nuovo dove Raffaele Rossi, disegnando il suo piano regolatore, aveva invece identificato ben due spazi per gli acattolici, agli angoli nord-ovest e sud-ovest della facciata.
Anche la questione dei beni ecclesiastici ricadeva nella sfera legislativa del nuovo Stato Italiano.
Nel 1866 il Vicario capitolare Muzzetto scriveva ai parroci della diocesi che, per la nuova legge del Regno, tutte le parrocchie erano obbligate a compilare un elenco delle possidenze. Il vicario raccomandava la massima attenzione mettendo “sott’occhi gli imbarazzi che emergerebbero gravissimi laddove venisse Ella, ed i titolari anzidetti, richiesti della improvvisata consegna dell’asse in discorso nonché la facilità con la quale potrebbe sebbene tutto suo malgrado, trovarsi compromessa la sua onestà e decoro, ove nella denuncia accadesse una svista, la quale verrebbe, forse, imputata a dolo, di cui se ne subirebbero le pene designate nella medesima legge. Oltre di quelle espresse nel codice penale”.
Ma Mamia non era tipo da farsi scoraggiare dalla burocrazia e le sue risposte a tali richieste, ripetute negli anni, suonano sempre polemiche e tutt’altro che precise. Così ad una circolare simile inviatagli dal Vescovo nel 1876 rispondeva, con tono spiccio e seccato, di non aver risposto subito perché aveva mal di testa a causa di una caduta. Proseguiva poi non elencando con precisione i pochi beni, che pure esistevano quali i lasciti, le due tanche, l’Isuleddu, la fonte e i relativi proventi, ma affermando che la Chiesa “non avea verun censo ne legato in proposito eccetto un censo particolare per dire due messe e dava alla parrocchia lire quaranta per Voglio della lampada. La parrocchia non ha fondo alcuno eccetto un piccolo chioso ed un isoletto tutto scoglio lasciato dal municipio nella divisione dei terreni, che affittandoli può dare circa 60 lire per manutenzione della chiesa, del resto la parrocchia è mantenuta dalla sola elemosina che offrono i benefattori e dalla processione per portare la santa, che oggi è tolta. Qui non ci sono fondazioni, non ci sono cappellanie, non ci sono oratori, né altri beni che appartengano alla parrocchia. Ora la S. V. Ill.ma saprà come fargli entrare in senso (?) col governo per dire la verità di ciò che sanno, conoscono, e non sapendo io altro non posso dippiù“.

Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma